CAFONALINO SOCHI – SENZA UN FILO DI NEVE, LE OLIMPIADI PIU’ TRISTI DEL MONDO – ALL’INTERNO DEL VILLAGGIO SENZA COLORI, NÉ SIMBOLI, L’ITALIA COME GLI USA SI NASCONDE: ‘NON È IL POSTO DOVE DARE NELL’OCCHIO’

Foto di GMT-Mezzelani

1. PAROLA D'ORDINE MIMETIZZARSI - L'ITALIA NASCOSTA COME GLI USA
Giulia Zonca per ‘La Stampa'

Italia e Usa sono una di fronte all'altra ma è difficile distinguerle e purtroppo non siamo a una partita di hockey. Siamo dentro il Villaggio olimpico di Sochi, zona Sud e trionfo del beige. La palazzina 20 è la casa degli azzurri, quella dall'altra parte della strada ospita gli Usa e non c'è un segno, un nome, un simbolo. Per dire il vero un tricolore esiste ma è un azzardo, un'iniziativa estemporanea della stanza che ospita parte del team del pattinaggio artistico. È una trasgressione romantica e sembra quasi una scommessa.

Gli appartamenti sono lussuosi, più della media, i nostri hanno persino la veranda e i televisori nelle stanze al piano terra, «mai visti prima». Tanto spazio extra, utile per creare un'area massaggi degna di una spa, una sala trasformata in chiesa e una mensa compatta dove c'è meno offerta delle ultime edizioni e anche meno confusione. Funziona, piace, solo che il Villaggio soffre sbalzi di umore e di colore.

C'è chi come noi preferisce il basso profilo e l'anonimato delle casette a schiera e chi come gli olandesi occupa la facciata e sparpaglia macchie di arancione con le 100 biciclette monocromatiche che si sono portati da casa. Fanno invidia anche all'organizzazione che aveva tentato uno scatto ecologico con il bike sharing ma ha messo in circolazione due ruote blu con rapporti durissimi e nessuna visibilità.

Il patriottismo in questi Giochi viaggia via gadget: gli svizzeri saettano su monopattini bianchi e rossi, l'Australia srotola il solito maxi canguro in guanti da boxer (più grande nella versione del Villaggio alpino dove ci sono gli snowboarder che animano la squadra) e la Russia scegli l'evidente sobrietà dietro i manifesti ufficiali.

Noi nel nostro piccolo proviamo ad affrontare paure e sospetti con gli occhiali a specchio: montatura spessa azzurra con bandiera sulla stanghetta. Certo, il dettaglio non è proprio appariscente. Non abbiamo ancora deciso da che parte stare e diamo anche versioni discordanti. Non è uno sdoppiamento e nemmeno un tentativo di depistare, solo che davvero l'Italia non sa se farsi notare o no.

Da una parte c'è l'identità che noi, a differenza degli americani abituati a viaggiare con l'ansia da avvistamento fin dalle Olimpiadi di Salt Lake City, quelle post 11 settembre, abbiamo sempre ostentato. Dall'altra questo Villaggio che sta praticamente a ridosso del confine con l'Abkhazia, regione filorussa che agita il Cremlino, non lascia per niente tranquilli. Le fioriere sono da riviera ma dalla strada sbuca il silicone usato per blindare i tombini e proteggere gli atleti da possibili agguati fognari.


La squadra non è preoccupata, si sente protetta e il comfort del posto aiuta, però c'è chi dice «stavolta meglio così, non è il posto dove dare nell'occhio» e chi incolpa le valigie mancanti, «tanto materiale non è arrivato, qualche bandiera e gagliardetto la metteremo anche noi». Sono vere entrambe le versioni, due anime in conflitto e un piccolo segno di incoraggiamento, la bandierina quadrata appesa a una singola ringhiera. I pattinatori ne vanno fieri: «Ieri siamo usciti per andare a mangiare e ci siamo chiesti come fare a ritrovare casa. Sono tutte uguali. In realtà c'è il numero, però che tristezza».

Oggi «il materiale» sbarcherà a Sochi: computer, cancelleria e italianità. A Vancouver avevamo arredato i balconi, tutti con lo stesso tricolore, sembravano lenzuola bianco, rosse e verdi stese al sole. Qui si latita e ci si chiede se sia il caso di cedere e tornare appariscenti o mantenere il rigore più totale.

Si vedrà. C'è chi non ha questa possibilità e non potrà sventolare la bandiera nemmeno alla cerimonia di apertura, l'indiano Shiva Keshavan, unico rappresentante del suo Paese a Sochi, è in realtà un apolide perché l'India è in punizione. Problemi di corruzione così il Cio ha squalificato la nazione e salvato l'atleta dello slittino che sfilerà con la bandiera del Comitato olimpico. Sarebbe bello se gli olandesi si presentassero in bicicletta e gli svizzeri sul monopattino. Si chiedeva agli sportivi di tenere alti i diritti dell'arcobaleno eppure ora si corteggia l'anonimato.

L'America non si fa problemi, si è tolta pure dalla mappa del Villaggio per essere meno tracciabile. Noi guardiamo con nostalgia i finlandesi che occupano palazzine con stendardi crociati e ci sentiamo surclassati dalla Repubblica Ceca foderata dai colori nazionali. Stiamo lì in mezzo, tra il beige e l'azzardo.

2. NEL VILLAGGIO SENZA COLORI E BANDIERE DOVE GLI ATLETI SI SENTONO BERSAGLI ECCO LE OLIMPIADI TRISTI DELLO ZAR
Emanuela Audisio per ‘La Repubblica'

Benvenuti nel villaggio anonimo a cinque cerchi. Irriconoscibili le nazionalità delle palazzine. Dov'è l'America? Boh. Stelle e strisce tornate invisibili. È un welcome spento, senza nome. Quattro anni fa a Vancouver l'orgoglio yankee era tornato a splendere. Per la prima volta dall'11 settembre le bandiere erano ricomparse sulla palazzina americana: Usa ad alta visibilità. Dieci piani di vetrate stars and stripes.

Non come ad Atene (2004) e Pechino (2008) dove l'America era scomparsa dal villaggio, quasi in missione segreta, nessuna segnalazione, palazzina isolata, e una raccomandazione agli atleti: girate con la tuta all'incontrario, non fatevi riconoscere, non mettete la maglietta con la scritta ad asciugare sulla finestre, siete facili bersagli, non tutto il mondo ci ama. Adesso siamo tornati al profilo basso: non facciamoci riconoscere, noi siamo i campioni dei diritti civili, ma è meglio non ostentare.

La sorpresa è che anche l'Italia, palazzina 20, si è adeguata e non ha segni. Tricolore? Scritte? Macché. Altro che ciao mamma. Solo una bandierina formato francobollo nell'angolo meno visibile. Anonimato assoluto, forse perché ha davanti l'America o per via delle minacce? Anna Cappellini e Luca Lanotte, coppia del ghiaccio azzurro, non ci possono credere: «Non esiste che la nostra palazzina non abbia qualcosa che la contraddistingua, dobbiamo rimediare».

Una volta il villaggio degli atleti era un tuffo nei colori, nella fantasia geografica: la Gran Bretagna con le sue cabine telefoniche rosse, l'Australia con le figure dei canguri, Cuba che tirava fuori il poster gigante dei suoi campioni, Fidel Castro e Che Guevara che giocano a scacchi. Ora si cammina nel grigio di un villaggio che ha belle costruzioni, ma niente anima.

Dove qualche bandiera (piccola) sventola di nascosto, è dal lato mare, per chi dalle navi può vederle con il cannocchiale. Sì, qualcuno è ancora fiero di dipingersi la faccia: Austria, Giappone, Repubblica Ceca, Lettonia, Nuova Zelanda, e l'Olanda che dentro ha riprodotto un mulino e si è portata dietro 110 biciclette arancioni, ma per il resto si potrebbe essere in un outlet di periferia.

Con i tombini blindati e siliconati, con falsi giardinieri, ma veri poliziotti. Il comitato olimpico austriaco ha confermato la lettera in cui ignoti minacciano il sequestro di due atlete, la sciatrice Marlies Schild e Janine Flock dello skeleton. Ora protette da funzionari dell'antiterrorismo. Passa un triste e ombroso Plushenko, 31 anni, lo zar russo del pattinaggio artistico, scortato da due persone. Evgeni, per favore una foto? Riga dritto e fa un segno con la mano: «No». Viva la fratellanza olimpica, Bolt vi avrebbe fatto anche due capriole.

Anche Thomas Bach, presidente Cio, ha preferito dormire nel villaggio. Forse perché fuori c'è molta desolazione e nulla funziona: gli alberghi non sono stati costruiti, le camere mancano, insieme al riscaldamento. Invece, il village è funzionale, le vie sono
dedicate ai campioni olimpici russi. L'acquitrino fangoso che si attraversa per arrivare all'Italia si chiama parco ornitologico (qualche papera c'è). E nella mensa come al solito tutti cibi sono segnalati con valori nutrizionali: proteine, grassi, sodio.

Nella parte asiatica il riso thai con polpette non è male, per le pizze c'è l'italiano Michele, di Figline Valdarno, che da tre anni si è trasferito a Mosca: «Oggi l'impasto mi è venuto un po' tenero». Lasciamo perdere le fette di salame sopra. La carpa e il tacchino devono avere pasticciato insieme perché non si capisce quale sia pesce o carne. E al momento di buttare il vassoio scordatevi il rompicapo di Londra 2012 dove bisognava riflettere amleticamente mezz'ora per dividere l'umido dalla carta dalla plastica. Qui niente riciclo:
unico secchio, a parte le posate.

L'Italia che in genere sceglieva sempre il posto più vicino alla mensa, stavolta è accanto all'uscita, così è più comodo raggiungere gli impianti. Fabio Fanton che si occupa con altri tre colleghi dell'infermeria azzurra parla di manipolazione viscerale e di nuove generazioni che vivono troppo nel virtuale. «In mensa i ragazzi, soprattutto quelli alla prima volta, tendono magari a strafare, piccoli particolari, ma se sei un'atleta e non digerisci, tutto si blocca nello stomaco e il fegato si appesantisce».

Don Mario Lusek, marchigiano e cappellano olimpico, si presenta in calzini e si scusa per la mise non troppo religiosa, ha detto messa («Alla fine di ogni percorso c'è sempre un traguardo»), ma al momento della comunione un azzurro ha rifiutato: «Non mi sono confessato». Anche se stavolta nessuno parla della distribuzione dei profilattici. A Vancouver si erano segnalati per il generoso ottimismo: 60 a testa, per 14 giorni. Al building 33 al secondo piano c'è il centro multireligioso, proprio un piano sotto l'antidoping.

Strano connubio: prima pisci, poi vai a raccomandarti l'anima a Dio oppure l'incontrario. Camere separate per l'Islam che divide uomini e donne, cattolici e protestanti insieme, come anche induisti e buddisti. Il Dagba Lama è più moderno: vi lascia il numero di cellulare e soprattutto con le cuffiette sta trafficando su un tablet. Dal barbiere ci sono solo atleti giapponesi, sempre attenti al look. Ad Arianna Fontana, azzurra dello short track, piace che gli impianti siano vicini, raggiungibili a piedi.

Inutile chiedere agli atleti se sono disturbati dal pensiero di eventi esterni: la tv nelle stanze non c'è, e ora conta solo la forma e non farsi male. I muscoli preoccupano più del terrorismo. Il tema gay ossessiona Svetlana Zhurova, 41 anni, ex campionessa del pattinaggio di velocità, sindaca del villaggio olimpico in montagna: «Basta fare propaganda. Agli spettatori frega solo chi vince, non quale sesso preferiscano gli atleti».

Si coordini con Putin che invece magnifica la capacità sessuali dei leopardi. Et voilà sistemati in un colpo solo Martina Navratilova, Billie Jean King, Greg Louganis (appena sposato con il suo compagno), Matthew Mitchan, e il pattinatore Johhny Weir che tre anni fa si è unito in matrimonio con il suo partner, Victor Voronov. Tutti convinti che bisogna allenare anche le libertà civili e che il successo non è solo quello che ti dà le medaglie, ma anche la coscienza di saper lottare e rispettare le libertà altrui.

 

 

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