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ARTEMISIA, “L’ANIMO DI CESARE NELL’ANIMA DI UNA DONNA!” - NELLE SALE DI PALAZZO BRASCHI A ROMA LA MOSTRA SULLA GENTILESCHI, LA PITTRICE RIBELLE CHE NEL SEICENTO DENUNCIÒ IL SUO STUPRATORE AGOSTINO TASSI - SARA’ UN?ESPOSIZIONE A SINGHIOZZO: CERTI QUADRI — A PARTIRE DAL CELEBERRIMO «GIUDITTA CHE DECAPITA OLOFERNE» POTRANNO VEDERSI SOLO DA DA FEBBRAIO

Edoardo Sassi per il Corriere della Sera - Roma

 

Più ancora delle sue qualità pittoriche, prima dell’artista, la donna- simbolo: Artemisia (conosciutissima anche senza cognome: Gentileschi), colei che nella Roma dei primi del Seicento seppe sfidare ogni convenzione accusando e denunciando il suo stupratore, il pittore Agostino Tassi.

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Una vicenda notissima, che ha fatto di lei un mito, parola stra-abusata ma che nel caso di Artemisia ci sta tutta. E un mito protagonista — aperta al pubblico da mercoledì 30 novembre — di una mostra nelle sale del Museo di Roma a Palazzo Braschi. Titolo della rassegna, «Artemisia Gentileschi e il suo tempo».

 

Scelto perché oltre a una trentina di sue creazioni, l’antologica intende fornire al visitatore un viaggio nell’arte della prima metà del XVII secolo, con opere di altri artisti, compreso quel grandissimo pittore di Orazio, che di Artemisia fu padre, maestro e sodale.

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«Ritroverà l’animo di Cesare nell’anima di una donna […]»: c’è già tutto l’eccezionale temperamento di Artemisia in questa frase (da una lettera della Gentileschi, del 1649, a don Antonio Ruffo) scelta come epigrafe per l’esposizione romana, che ha tre curatori: Nicola Spinosa, che la mostra l’ha anche ideata, per la parte napoletana; Francesca Baldassari per la sezione fiorentina; Judith Mann per quella romana. Ci sono (alcuni) dei quadri che ci aspetta da un’esposizione così.

 

A partire da quelli molto tragicamente ispirati, e assai intensi, dipinti nel periodo del grande trauma subito nel 1611 dall’aggressore Tassi, collega del padre. Ma è una mostra a tappe, anzi a singhiozzo: motivo per cui certi quadri — a partire dal celeberrimo «Giuditta che decapita Oloferne» del Museo di Capodimonte di Napoli, potranno vedersi solo da una certa data in poi (questo, da febbraio). Posticipata anche, tra le altre, la visione di «Susanna e i vecchioni» (in mostra addirittura da fine marzo) o quella dell’altrettanto celebre «Autoritratto come suonatrice di liuto», dal Wadsworth Atheneum Museum di Hartford (che invece c’è, ma se ne andrà a febbraio).

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Tant’è: nonostante la massiccia presenza di opere da collezioni e gallerie private, la selezione offre al visitatore una sufficiente campionatura, sia della produzione dell’artista che seppe farsi strada in un mondo fatto solo di uomini — — di cui copre l’intero arco produttivo, a partire dai dipinti della prima formazione presso la bottega del padre Orazio — sia di alcuni suoi contemporanei con la logica dei «confronti » che tanto piacciono alle mostre prodotte in Italia. Circa cento in totale le opere esposte, alcune provenienti da musei internazionali (Uffizi, Galleria Palatina di Palazzo Pitti, Prado e Metropolitan tra i prestatori).

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