BERRETTINI, ASCOLTA FEDERER - "PARTENDO DALLE MIE DEBOLEZZE, HO SAPUTO COSTRUIRE CON PAZIENZA LA MIA CARRIERA" – ALLE ATP FINALS L’AZZURRO E’ ELIMINATO DOPO LA SCONFITTA CONTRO UN ROGER DIMESSO E AMMACCATO – BERRETTINI: “NON HO RIMPIANTI. MI SONO AVVICINATO. A WIMBLEDON CONTRO FEDERER ERO IN STATO CONFUSIONALE, UN GIORNO VOGLIO RIUSCIRE A BATTERE I BIG”
Riccardo Crivelli per la Gazzetta dello Sport
l a belva ferita non perde l' anima e ruggisce quando il duello con il giovane leone si fa più minaccioso. No, questo non è il Centrale di Wimbledon, dove Berrettini si sciolse di fronte allo sguardo magnetico della leggenda Federer prima ancora di incrociarlo: stavolta Matteo combatte, non si piega inerme al mito abbacchiato e ammaccato, lo trascina nei meandri di una sfida brutta, sporca e in equilibrio, fino a un tie break che indirizza il primo set e la partita.
È in quei momenti di tensione, quando il clima si riscalda, che un Roger fin lì appena ordinario alza la voce, cominciando con un ace e mettendo sempre la prima, mentre l' avversario lo omaggia di un dritto lungo in manovra e un doppio fallo.
Stille di classe del Divino, quanto basta per scrostarsi la ruggine di un finale di stagione al solito ansimante e prendersi subito il break nel game iniziale del secondo set, perché l' eroe azzurro ha avvertito il colpo. E quando finalmente Berretto si procura tre palle break nell' ottavo game, le prime e uniche del match nonché le chiavi per riaprire la contesa, Federer si affida di nuovo al servizio, anche se un paio di risposte di dritto non impossibili andavano gestite meglio da Matteo.
Il Maestro, che in carriera non ha mai perso il secondo match delle Finals, perciò sopravvive, e si giocherà le ultime chance con Djokovic, ritrovandolo dopo il trauma della finale di Wimbledon, mentre il Berretto, quando Thiem vince il secondo set contro Nole, non ha più speranze di qualificazione e contro l' austriaco metterà in palio solo l' onore. Intanto, continuiamo a inseguire una vittoria che al Masters non vuol proprio arrivare, nemmeno in un pomeriggio in cui, dimenticata la lezione di luglio, Roger è sembrato più vulnerabile che mai:
«Quando perdi - ammetterà Berrettini - non sei mai felice, ma non ho rimpianti. Ho avuto qualche chance, i tre break point, qualche suo game di servizio sul 30 pari, ma ha sempre servito bene e io ho mancato qualche risposta. Il tie break non è stato granché, ma lui non mi ha concesso nulla». Eppure quei dritti fuori misura di Roger, la lentezza di pensiero già palesata nel primo match potevano diventare il grimaldello per scardinare il monumento: «Quando stai giocando - analizzerà il terzo italiano di sempre tra i primi 10 del mondo - non immagini la tua partita sugli errori o le condizioni dell' altro. Io sono entrato in campo convinto che avrei potuto batterlo pure se lui fosse stato in gran forma. Mi sono avvicinato, non è bastato, ma non sono deluso».
Soprattutto pensando al percorso intrapreso da un paio di stagioni, agli enormi e repentini miglioramenti di un ragazzo che a marzo era numero 57 e finirà l' anno in top ten dopo essersi seduto, al Masters, alla destra dei padri nobili di questa generazione. E in fondo, pure questo senso di incompiutezza dopo una sconfitta contro il Più Grande, che le Finals le ha giocate 17 volte e vinte sei, testimonia che Berretto, in questi contesti, ormai si sente a casa e che terremoti come quello dei Championships di quattro mesi fa gli sono serviti per scuotersi verso l' alto:
«Ero nervoso, com' è normale che sia, ma ero anche sicuramente più pronto e deciso a giocarmi le mie carte. Sapevo cosa dovevo fare per metterlo in difficoltà, ho provato a vincere il match. Questi sono i più forti del pianeta, forse i più forti di sempre, e perdere contro di loro mi aiuterà in futuro a essere ancora migliore». Avrà pochi punti da difendere da gennaio ad aprile, Matteo, ma non gli basterà confermare una classifica già di lusso, nella sua testa lo step ulteriore sarà consolidare un livello cui sente ormai di appartenere: «Sono orgoglioso di quello che sto facendo, mi piace affrontare questo tipo di avversari e di situazioni.
Anche con Djokovic, nonostante il punteggio severo, sono rimasto in campo con le mie qualità. E questa volta sono entrato negli spogliatoi e ho detto a Vincenzo (Santopadre, il coach, ndr) e ai ragazzi del team "Ehi, io voglio essere ancora migliore di così". Io voglio mettermi nelle condizioni di battere questi campioni. Con rispetto, ma sento che potrò riuscirci». Il primo passo verso la gloria eterna.
LA LEZIONE DI FEDERER
La lezione di Roger, stavolta, non arriva dal campo bensì dalle parole. “Per tutta la carriera – dice Mister 20 Slam – gli avversari hanno giocato sulle mie debolezze, ma arriva un momento in cui l’esperienza ti insegna come fare, come prendere forza da ciò che ti rendeva debole. Oggi sono certamente un giocatore migliore di quello che si presentò alle Finals la prima volta”.
Matteo Berrettini saprà far tesoro di questi spunti, come delle due sconfitte con cui ha cominciato il torneo con i migliori 8 tennisti al mondo. Il romano è – comunque vada – uno di loro. E fa bene a ricordare a chi ha la memoria un po’ corta che il suo primo punto Atp arrivò giusto giusto una settimana prima di compiere i 19 anni. A quell’età, Rafael Nadal sollevava al cielo il suo primo trofeo del Roland Garros, Novak Djokovic e Roger Federer erano tra i top 50. Ora i tre fenomeni sono ancora lì, ma insieme a loro c’è pure un ragazzo che nel giro di nemmeno un lustro è passato dal non avere classifica a entrare nell’Olimpo.
PROGRESSI E LEZIONI
Basterebbe questo per fugare ogni dubbio, per togliere ogni possibile scoria di delusione dopo aver ceduto a Novak Djokovic all’esordio e al basilese nel secondo incontro. Una partita, quella con Federer, nella quale comunque Berrettini ha fatto la sua parte: ha annullato un set-point nel primo set per poi cederlo al tie-break, ha lottato con quello che aveva nel secondo di fronte al mito che stava di là dalla rete. “Ho fatto progressi – ha detto l’elvetico – rispetto alla sconfitta con Thiem, dalla quale pure avevo tenuto qualche nota meno negativa.
Nel giorno di pausa ho ricaricato le batterie, ho staccato e ha funzionato. Sapevo che contro Matteo avrei dovuto fare attenzione: col servizio che ha può fare male in ogni momento. Spero di giocare ancora meglio il prossimo match, poi vedremo dove sarò in classifica. Certo è strano tornare in campo dopo aver perso, ma in fondo non è la prima volta che mi capita”.
LONDRA È GIÀ UNA VITTORIA
Prendere qualcosa di buono, di utile, anche laddove gli altri vedono solo una sconfitta, magari con un punteggio severo, è un altro insegnamento che può tornare utile. L’azzurro è approdato a Londra al termine di una stagione lunga e faticosa, durante la quale praticamente ogni mese ha ritoccato le sue ambizioni e il suo ranking. La vittoria è essere presente, mentre c’è gente di qualità straordinaria che non è riuscita nell’impresa.
La pazienza che Matteo ha già dimostrato di avere servirà anche adesso, al termine di questo evento. Servirà perché lui, l’allievo di Vincenzo Santopadre, non ha mai nascosto di essere un tipo esigente, in modo particolare con se stesso. Non ha mai nascosto di perdonarsi poco, di pretendere il massimo. Ebbene, adesso deve calarsi nella parte non di un giudice, ma di un amico che ascolta.
Che magari si dà pure una pacca sulla spalla per dirsi che, tutto sommato, va benissimo pure così. Va bene – alle volte – perdere con attenzione, perdere con la coscienza sveglia per portarsi tutto a casa e riavvolgere il nastro. In attesa di avere un’altra occasione. In attesa che tutto quanto, cinque anni fa e magari ancora oggi, gli altri vedono come una debolezza, si trasformi presto in un pilastro su cui costruire la carriera.
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