BELLA “ZIO” - SCARPE CHE PARLANO E BAFFI ALLA MAGNUM P.I, COSÌ BEPPE DIVENTÒ 'ZIO' BERGOMI - IL ROMANZO BIOGRAFICO FIRMATO DA ANDREA VITALI DELLO STORICO CAPITANO DELL'INTER, CAMPIONE DEL MONDO A SOLI 18 ANNI - "IN QUEGLI ANNI PIÙ DI QUALCUNO FU TENTATO DAL PENSIERO DI CONTROLLARE SE I BAFFI CHE PORTAVO FOSSERO VERI O POSTICCI. ERANO..."
Estratto del libro ("Bella Zio") di Andrea Vitali pubblicato da la Verità
Sono ancora un ragazzo, ho gli occhi sgranati e non è Natale. Ma sotto il mio sguardo, e sotto quello dei miei di casa, c' è il borsone che l' Inter mi ha affidato dopo avermi preso. È un pozzo senza fondo, una cornucopia dalla quale, anziché frutta e fiori, escono maglie, magliette, tute, scarpe. Mi vien fatto di pensare che il il magazziniere, dopo il provino fatto in quel di Rogoredo, si sia sbagliato e mi abbia dato la dotazione dell' intera difesa.
Penso all' esiguità con la quale la Settalese mi vestiva, lasciando quasi tutto alla fantasia e all' imprenditoria domestica, e mi viene un po' di magone. Tutto ciò che adesso ho sotto gli occhi vuole significare una sola cosa: la mia vita sta cambiando. Anzi, è già cambiata. E quel magone che provo, quel po' di nostalgia è un modo come tanti per ringraziare chi mi ha permesso di arrivare fino a lì, con la garanzia che non dimenticherò.
L' ultima cosa che esce dal borsone è un profumo di storia, quello di una squadra nata nel 1908 e che adesso posso chiamare la mia squadra.
[...] Sono ancora lì, davanti al borsone aperto, un sogno a portata di mano, non posso permettere che svanisca.
«Sarà meglio che mi abitui», dico tra me e me.
«Infatti», mi risponde una voce.
Sono indeciso su chi abbia parlato.
Mia madre, no.
Tace, osserva, forse sta facendo un conto rapido di cosa possa costare tutta quella roba. Semmai avrebbe aperto la bocca per invitarmi a non sciuparla. Mio padre nemmeno, ma se l' avesse fatto se ne sarebbe uscito con una battuta delle sue, magari chiedendomi a che squadra appartenessero quei colori nerazzurri. Il Carlo per niente, visto che si è allontanato, già sapendo che gli toccherà fare da autista a un giovanissimo difensore dell' Internazionale.
Il dubbio mi resta fino a quando la misteriosa voce si rivela nuovamente. Chiudo gli occhi poiché non posso credere a quello che mi è sembrato, cioè che a parlare sia stata una scarpa.
Eppure è così.
Che esistano al mondo delle scarpe parlanti, con la «p» minuscola, è confermato dalla letteratura, basta leggere il libro di Rachel Anderson, appunto Le scarpe parlanti, per non avere alcun dubbio in proposito. Circa quello che dicono non posso essere esaustivo poiché sono in grado di riferire unicamente dell' esperienza toccatami.
REAL MADRID INTER BIGLIA BERGOMI
Ebbene, a conversare con me è un paio di scarpe da tennis. Non ricordo se a parlare con me sia la destra oppure la sinistra ma ricordo perfettamente ciò che mi dicono. Cioè che loro, le scarpe, sono state create per essere indossate, usate, per camminarci insieme. Devo smettere quindi di guardarle come se fossero delle reliquie e dare corso alla voglia che mi ha preso sin dal momento in cui le ho viste.
«Provaci!», dicono entrambe.
Le provo.
Non solo.
Col beneplacito della mamma vado anche a fare un giro.
Un giro per Settala con ai piedi un paio di scarpe del Football club Internazionale.
Poi comincia l' avventura.
È settembre, settembre 1977, è il primo passo, per giungere sul tetto del mondo ne serviranno parecchie altre migliaia.
[...] È pura fantasia ma mi piace pensarlo.
Nessuno si senta obbligato a crederci.
Ma secondo me in quegli anni più di qualcuno fu tentato dal pensiero di avvicinarsi a me e controllare se i baffi che portavo fossero veri o posticci.
Erano veri naturalmente e nessuno mai tentò di controllare se invece fossero incollati come volessi dimostrare più anni di quelli che avevo.
Erano baffi e basta. Che, fosse già stato in auge il campionato mondiale di barbe e baffi, sarebbero rientrati nella sottocategoria stile libero, secondo la classificazione utilizzata nel 2007.
Erano solo baffi, simili, se qualcuno vuole farsene un' idea, a quelli celeberrimi del pilota Nigel Mansell.
Peraltro qualcuno non voleva credere che la mia adolescenza, almeno in termini di caratteri sessuali secondari, si fosse spinta un po' più avanti e più velocemente rispetto ad altri pari età, così da farmi avere un paio di baffi alla Magnum P.I.
Ne ho una prova lampante durante quell' estate quando, finito il campionato, iniziano i tornei estivi.
Tra i numerosi, issimi anzi, che ho giocato ricordo con un certo divertimento quello di Leffe, in val Seriana. In quell' occasione i miei baffi svolsero un ruolo fondamentale, furono in un certo senso i migliori in campo.
La faccio breve.
Si parte, si va, si vince, si arriva in finale.
Con chi, sarebbe quasi superfluo rivelarlo, è il classico, e ormai solito, avversario, il Milan.
Lo battiamo ancora.
Ai rigori ma è pur sempre una soddisfazione.
Cui si aggiunge quella personale di meritarmi un riconoscimento per il più giovane giocatore in campo.
E qui cominciano i problemi.
Quello lì, quel Bergomi il più giovane?
Ci sono mormorii, occhiate da cui colano dubbi come lacrime.
Eppure, sul cartellinoIl cartellino dovrebbe parlare chiaro.
Dovrebbe!
Ma non si sa mai.
Piuttosto guardatelo!
Con quei baffi, quelle sopracciglia mefistofeliche, quel cespuglio di capelli neri come inchiostro.
E il fisico.
Quello a parer mio, sentenzia qualcuno, non è l' aspetto di un giovane di tredici anni e mezzo. Minimo minimo, ma solo per non essere troppo puntigliosi, quello c' ha una quindicina di anni.
E allora, si tagli la testa al toro, fuori la carta d' identità!
Ora, non ricordo che fotografia impreziosisse il mio documento a quei tempi, se avessi, sul mio ritratto, i baffi o meno.
A giudicare dall' imbarazzo con cui la corte giudicante la mia età oggettiva guardò e riguardò la carta d' identità, passandosela e ripassandosela di mano per almeno tre volte, mormorando, sogguardando e stupendo, ritengo che o al momento dello scatto non li portavo oppure erano appena accennati.
Sta di fatto che alla fine di quella sorta di camera di consiglio, quando poco mancava che mi chiedessero di giurare sulla Bibbia circa i miei natali e relativa data, i giudici dovettero arrendersi alla più banale delle realtà.
Io, Giuseppe Raffaele Bergomi, nato in Milano il 22 dicembre 1963, ero il giocatore più giovane del torneo, forse anche uno dei migliori, e quella coppa era destinata a me.
Eppure mentre ritiro il trofeo noto ancora una coda di perplessità nello sguardo di alcuni.
È ciò che mi spinge a fare un esame di coscienza.
Mi spiego.
Non avendo alcun dubbio riguardo a ciò che la mia anagrafe denuncia chiaramente, mi metto davanti a uno specchio e mi guardo con occhi come se non fossero i miei.
Mi rendo conto così che quel mio aspetto così serioso può indurre in tentazione.
Qualche donna sicuramente, ma è argomento che un certo pudore costituzionale mi impedisce di rendere pubblico. Però avrei solide prove a sostegno. Lo sguardo ha un po' del bel tenebroso. E i capelli che tendono ad arricciarsi possono invitare una mano femminile a capricciosi giochetti dentro quella selva oscura.
Ma anche, e soprattutto, può mettere in allarme chi mi crede più vecchio di quanto non sia.
E un diavoletto infine, di quelli non del tutto convinto di aver intrapreso la carriera infernale, mi suggerisce di non sottovalutare l' equivoco sulla mia età, farlo rendere invece: in campo gli sbarbatelli non inducono alla compassione gli avversari e spesso divengono i capri espiatori della determinazione altrui.
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CARESSA BERGOMICARESSA BERGOMI - 1beppe bergomi e giancarlo marocchi alla festa skyBERGOMI CARESSA 3