PER CHI SUONA LA BIENNALE? - BONAMI ATTACK! DA DOCUMENTA A MANIFESTA LE BIENNALI SONO DIVENTATE MERE SCUSE PER FAR BALDORIA E GRANDI RIUNIONI DI QUEL CONTEMPORARY ROTARY CHE È DIVENTATO IL MONDO DELL’ARTE - IL MODELLO BIENNALE VA CONSIDERATO DEFUNTO O CON ONESTO CINISMO AMMETTERE CHE È DIVENTATO COME DAVOS, EVENTO RISERVATO AI RICCHI DEL PIANETA SENZA FAR FINTA CHE SIA ALLA PORTATA DI TUTTI
Francesco Bonami per La Stampa-Tuttolibri
Per chi suona la Biennale? Non quella di Venezia, che anzi resiste e aumenta i propri normali spettatori, ma il concetto generico di biennale diffusosi dagli anni 90’ ad oggi a macchia d’olio in tutto il mondo. Concetto sfruttato come se fosse un ufficio del turismo o i caschi blu dell’ONU.
Non sono stato lo scorso anno a Documenta 13 sparpagliata fra Kassel ed Atene, né quest’anno a Manifesta 12 a Palermo. Non sono andato per saturazione visiva e per saturazione sociale. Anche se paradossalmente grazie ai social si riesce a capire a spanne di cosa si tratta, se merita o meno sobbarcarsi interminabili viaggi per vedere cose a volte gia’ viste e persone straviste.
Biennali, Triennali, Quadriennali e Quinquiennali sono diventate sia scuse per far baldoria che grandi riunioni di classe del club esclusivo degli addetti ai lavori dell’arte contemporanea.
Il guaio è che pure gli artisti prendono come riferimento questo club dimenticando il pubblico generalista che all’inaugurazione non è invitato e che spesso arrivando a vedere la mostra trova alcune delle migliori o piu’ instagrammate opere chiuse.
Caso esemplare l’installazione video nell’Archivio di Stato a Palermo dei Masbedo, le cui immagini sono finite dovunque dai social alla carta stampata ma che pare non sia più visibile al pubblico. Chi l’ha vista l’ha vista. Ma Manifesta 12 durera’ fino al 4 di Novembre. Chi andrà a Palermo alla ricerca della mascotte della mostra non la troverà. Pace all’anima sua.
Di casi di questo tipo tutte le Biennali del mondo sono piene. Nel padiglione tedesco della scorsa Biennale di Venezia se uno non arrivava quando c’erano i ballerini e i cani vedeva solo un bel pavimento di vetro dove per onor di cronaca si poteva camminare.
Curatori ed artisti se ne sbattono alla grande dell’arbasiniana casalinga di Voghera. A loro interessa il Financial Times, i direttori dei musei del mondo, gli influenti collezionisti e galleristi e poco più. Nulla di male, io stesso sono interessato quando curo una mostra che i soci del club dell’arte contemporanea siano soddisfatti.
C’è pero’ un problemino queste manifestazioni sempre piu’ autoreferenti sono nella maggior parte dei casi finanziate con i budget per la cultura di città, regioni e nazioni non dalle quote d’iscrizione pagate dai soci di quel Contemporary Rotary che è diventato il mondo dell’arte.
Palermo da Manifesta 12 ha ricevuto enorme visibilità. Per l’immagine della città il gioco è valso la candela. Ma quando la città non è affascinante come Palermo ma anonima e poco sexy, dopo il vernissage a visitare la mostra non ci va più nessuno e i pochi che ci vanno con molta probabilità non potranno vedere alcune opere riservate all’elité del contemporaneo.
Auschwitz on the Beach documenta
Il modello Biennale va rivisto se non considerato defunto o con onesto cinismo ammettere che è diventato come Davos, evento riservato ai ricchi del pianeta senza far finta che sia alla portata di tutti.