CALCIO FALLITO – DAL 2012 SONO SALTATE 153 SOCIETA’: IN B SPARISCONO ANCHE IL CESENA E IL BARI - NICOLA LAGIOIA, TIFOSO DEL CLUB PUGLIESE: "NON VOGLIO INVECCHIARE GUARDANDO MAIELLARO SU YOUTUBE" – “IL CALCIO PROFESSIONISTICO E' COME L'ORCHESTRA DI SANREMO SENZA VESSICCHIO” - IL TITOLO NELLE MANI DEL SINDACO DECARO: "NE PARLEREMO IN CURVA VENERDÌ" – VIDEO
Matteo Pinci per la Repubblica
Dieci milioni di italiani, negli ultimi sedici anni, sono scomparsi dalla mappa del calcio professionistico. Gli ultimi a Bari e Cesena, perché l' onda di fallimenti che da anni travolge le squadre di Lega Pro, ha contagiato pure la Serie B, spazzando via gli incolpevoli tifosi.
Non serve che l' infezione arrivi alla Serie A perché la pandemia dei conti in rosso diventi preoccupante. Ogni anno otto club professionistici spariscono in media, nel 2018 tocca all' Akragas di Agrigento e Modena, Mestre e Reggiana, Andria e Vicenza (ricomparirà per la fusione col Bassano di Renzo Rosso, mister Diesel).
Dal 2002, quando a morire fu la Fiorentina, sono saltate 153 società, per un totale di 10 milioni di cittadini italiani che hanno perso la propria squadra del cuore. Un milione e mezzo negli ultimi 12 mesi. Non è finita. Le prossime rischiano di essere Cuneo, Matera, Pro Piacenza, persino l' Avellino, intrappolato in un dedalo di fideiussioni al limite.
In molti casi le avvisaglie erano note: il Modena, deceduto a dicembre ma in agonia già da ottobre, dopo poche settimane di campionato, era nella black list della Covisoc da giugno. Così come altri club che si sono arresi nelle ultime settimane, dopo un anno a collezionare mancati pagamenti e penalizzazioni.
Se a pilotarle verso il fallimento sono presidenti poco attenti e programmi disastrosi, spesso chi potrebbe salvarle preferisce aspettare. Anche senza il lodo Petrucci che consentiva di ripartire dalla categoria inferiore. Ripartire dai dilettanti consente di rinascere con una società senza debiti, senza stipendi gravosi a bilancio, con costi di partenza bassissimi.
Costruire dalle fondamenta e salire rapidamente: il Parma - ma pure il Venezia - è un esempio lampante. A farne le spese, sono dipendenti e fornitori: i creditori privilegiati sono le banche, gli altri si vedono cancellare senza preavviso contratti su cui avevano costruito un' aspettativa di vita.
Federico Agliardi, ex portiere del Cesena, l' ha appena vissuto sulla pelle: « Io mi ritengo fortunato dice - ma chi pensa alla tutela del lavoro? Chi pensa a quei dipendenti che erano da 20 anni al Cesena e ora devono ricollocarsi. Ci sentivamo responsabili e speravamo che con la salvezza si riuscissero a raddrizzare le cose, non credevamo le difficoltà fossero così gravi » . Non era l' unico club in quello stato. «A tanti colleghi è successo spesso e ogni volta fa malissimo. La situazione è preoccupante, pochi investono nel calcio con idee. Più norme vengono fatte e peggio è: serve controllo. Ma nessuno pensa che una squadra, per la gente, è più di una semplice passione».
2. II FUNERALE SCRITTO DEL BARI "COM' È STATO POSSIBILE?"
Giuliano Foschini per la Repubblica
Non si è mai vista tanta gente a un funerale. In banca: «Guardi, davvero non riesco a parlare, andiamoci a prendere un caffè. Ho bisogno di aria». Fuori dal tribunale civile un giudice poggia la mano sulla spalla di un avvocato: «Ho dedicato una vita alla giustizia. E poi... che giustizia è questa?».
«È un disastro: non voglio invecchiare su You Tube a guardare i video di Joao Paolo e Maiellaro» sillaba Nicola Lagioia, lo scrittore premio Strega tre anni fa. È sparito persino il sole, a Bari.
Per un giorno si aprono gli ombrelli, si chiudono gli ombrelloni. Le persone si abbracciano, si stringono le mani.
Ieri sera, dopo 110 anni, il Bari calcio è fallito. Il presidente Cosimo Giancaspro - un carneade imprenditore della vicina Molfetta che due anni fa rilevò la società dall' ex socio Gianluca Paparesta non è riuscito a iscrivere la squadra in serie B. Troppi debiti.
Gli stessi che hanno portato la Lega B a dover rimandare i play off prima di infliggere una penalizzazione al Bari (mancati versamenti all' Inps) costata alla squadra una possibile promozione in A; gli stessi debiti che hanno costretto la Procura di Bari a indagare per bancarotta fraudolenta e la Guardia di finanza a effettuare varie perquisizioni. In una delle ultime, in un cassetto di un ufficio all' interno dello stadio, è stata trovata una busta piena di soldi.
Era scritto: "Nero parcheggi"
MARIA ELENA BOSCHI NELLO SPOT ELETTORALE PER DECARO SINDACO DI BARI
Eppure il Bari sembrava potesse salvarsi. Fino a lunedì (termine ultimo per l' iscrizione) c' era una cordata pronta all' acquisto. Era formata da un imprenditore locale, Ferdinando Napoli, un ingegnere 40enne che da un sottano del centro città ha creato e lanciato, insieme con due soci, Edilportale, una specie di bibbia del mondo dell' edilizia, che ora ha sedi a Milano e Dubai. E da Andrea Radrizzani, presidente del Leeds, 44enne fondatore (poi uscito) di Mp Silva, quelli dei diritti televisivi, che aveva visto in Bari una «straordinaria opportunità»: l' ottavo bacino di tifoseria in Italia, con supporter in tutta Europa. E accanto la possibilità di acquistare l' unico stadio, il San Nicola, firmato da un archistar, Renzo Piano.
«Sembrava fatta» ammette il sindaco, Antonio Decaro. E poi?
Poi sono arrivate le carte. E nemmeno tutte.
E così il presidente Giancaspro, che aveva festeggiato i 18 anni della figlia all' interno dello stadio all' interno del quale aveva preso la residenza nello stadio, sfrattando e licenziando lo storico giardiniere; il presidente cui avevano tagliato l' acqua perché non pagava le bollette, ha mostrato quello che aveva combinato: 19 milioni di debiti, 45 contenziosi per potenziali altri 30 milioni, non una carta sulla situazione finanziaria dal 1 aprile al 30 giugno. La squadra con quei conti rischiava di non riuscire a iscriversi comunque al campionato. La trattativa è saltata.
Ora il titolo è nelle mani del sindaco, Antonio Decaro. Si dovrà ripartire dalla serie D, forse dalla Lega Pro (c' è il precedente del Napoli) se la Federazione dovesse riconoscere i meriti sportivi della città. Ieri era il compleanno del sindaco. E dice: «È uno dei giorni più brutti della nostra storia. Ma non possiamo soltanto disperarci». Per decidere cosa fare ha convocato per venerdì i tifosi in curva. «I luoghi sono sostanza. Il Bari ora è nostro, dunque loro.
Dobbiamo decidere insieme». La cordata Radrizzani-Napoli è ancora in pista. In queste ore si sono però fatti avanti in tanti, avventurieri e non. Lunedì sera, con il cadavere ancora caldo, Nicola Canonico, imprenditore e politico (a Bari tra dieci mesi si vota) e presidente del vicino Bisceglie, Lega Pro, ha cambiato il nome e i colori della squadra: «Ora siamo il Bari» ha detto, pronto a portare il titolo nel capoluogo, scatenando la rabbia dei tifosi del Bisceglie e anche quelli del Bari: «Non siamo ladri, ripartiamo dalla serie D» hanno scritto.
«In fondo le squadre di calcio raccontano anche le città» dice Lagioia. E ha ragione: Bari è la città dell' accoglienza e in curva esponeva uno striscione: «A Bari nessuno è straniero, nemmeno Guerrero», centrocampista di colore brasiliano. «La domanda da farsi: come è stato possibile?» si chiede Giovanni Sasso, socio di Proforma, la società di comunicazione che in questi anni ha contribuito al rilancio dell' immagine della città. Tutti sapevano cosa fosse il Bari di Giancaspro.
Eppure nessuno è intervenuto: la Lega ha permesso che mettesse sotto contratto più di 33 giocatori, ancora lunedì mentre il Bari falliva la squadra era in ritiro. «È stato come perdere un parente: abbiamo pianto» dice Christian Galano, la stella della squadra. «Quanto perde la B senza un bacino come questo? - si chiede Sasso - il calcio professionistico senza il Bari è come riso, patate e cozze senza cozze, come l' orchestra di Sanremo senza Vessicchio». «Il pallone non è più un gioco: nell' estate di Ronaldo, diventa importante come immagine di un territorio» aggiunge Lagioia. «Ora servono imprenditori seri».
I tifosi piangono. Un gruppo di loro, l' altra notte, è andato al cimitero. Davanti alla tomba dell' ex presidente Vincenzo Matarrese - che ha guidato la squadra per 28 anni, quelli della curva lo chiamavano«il maiale», chiedendogli di lasciare il Bari hanno srotolato uno striscione: «Tu sì che sei un presidente».
stadio san nicola di barigiancaspro