
CHE ARTE CHE FA A LONDRA – REPORTAGE IN FORMA DI TELEGRAMMI BY RIELLO DALLA FIERA D’ARTE “FRIEZE LONDON”: “COLORI VIVACISSIMI LA FANNO DA PADRONE OVUNQUE. SEMBRA DI ESSERE IN UN NUOVA ERA POP LUCCICANTE E VIVACE. L’ARTE DIGITALE/ELETTRONICA SEMBRA QUASI ESTINTA. L’ARTISTA PIÙ ESPOSTO IN FIERA È IN FIERA È YINKA SHONIBARE. MENO FOLLA DI QUALCHE ANNO FA. PREZZI DELLE OPERE NELLA MEDIA ABBASTANZA RAGIONEVOLI…”
Antonio Riello per Dagospia
Telegramma in sei punti.
E’ cominciata in Regent’s Park “FRIEZE LONDON”, la fiera dell’arte londinese più attesa ed ambita della capitale britannica (finisce Domenica 15 Ottobre):
1) Dominano le opere che hanno un forte gradiente manuale (ceramica, vetro, ricami, arazzi, tappeti e naturalmente anche pittura e disegno). C’è più ceramica qui comunque che alle sagre di Faenza e di Deruta messe assieme. Colori vivacissimi la fanno da padrone ovunque. Sembra di essere in un nuova era Pop luccicante e vivace, ma questa volta niente “American Way of Life”, i connotati sono vagamente esotici e terzomondisti.
L’Arte digitale/elettronica sembra quasi estinta. L’opera che meglio incarna (tutti assieme) questi trend è “Wooden Wood 44” dell’artista giapponese Yuichi Hirako, esposta in una galleria coreana, è un lavoro molto felice. L’artista più esposto in fiera è in fiera è Yinka Shonibare.
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2) Meno folla di qualche anno fa. Prezzi delle opere nella media abbastanza ragionevoli (carucci invece bibite e caffe’, in linea con i biglietti a pagamento per entrare). Niente audaci esperimenti ma invece suggerimenti (interessati) per solidi investimenti.
3) Le edizioni di questi ultimi anni si assomigliano parecchio, sembra di ripetere la stessa visita anno dopo anno. Di vedere dei cloni. Sono presenti sempre le solite gallerie e (piu’ o meno) gli stessi artisti (i lavori cercano perlomeno di cambiarli o almeno alternarli). Ci sono ovviamente delle belle opere ma è una storia che sta diventando un po’ noiosetta. Nessuna galleria brilla particolarmente. Idem per Frieze Masters.
Il lavoro più memorabile di Frieze quest’anno è probabilmente quello di un artista libanese: Walid Raad. Una grande scultura, “I long to meet the masses one again” (2019) fatta con le casse in legno che contenevano i pezzi dei monumenti pubblici (smontati) di Beirut.
4) Le opere di Frieze Sculpture (all’esterno, in Regent’s Park) invece quest’anno sono decisamente interessanti, merito della bravissima curatrice Fatos Ûstek. Una bella passeggiata nel parco è, direi, obbligatoria. In particolare il lavoro di Tony Matelli e’ geniale: un sonnambulo semi nudo che si aggira per il prato del parco.
5) Per l’inaugurazione molti visitatori si sono messi in ghingheri. E c’è sicuramente chi ha investito tempo e denaro per farsi dei look particolari. In certi casi, banalmente, per essere notati. Ma soprattutto (la maggioranza) per dimostrare che sono all’altezza del contesto, per non sfigurare insomma. Mi ricordano un po’ i paesotti della provincia Italiana all’inizio degli anni 60 quando le persone si “vestivano bene” per la Messa della Domenica mattina. Fanno quasi tenerezza, forse pensano che Frieze sia un rituale in odore di Santita’.
6) La comunicazione è dominata (come ovunque del resto) dalla Sostenibilità Ambientale. Ma allora perché muovere opere d’arte da un capo all’altro del mondo per una manciata di giorni (ci sono gallerie dal Messico, dalle Filippine, dagli Stati Uniti, dalla Cina, dalla Corea, dall’India, dal Libano, dall’Arabia Saudita) se il mantra è non inquinare? Se ci tengono davvero tanto al “Pensiero Green” che facciano una fiera su Zoom (oppure solo con gallerie britanniche, ovvero “local”) e smettano di bombardare la gente con slogan vuoti e di maniera.
Da Frieze London è tutto.
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