PADRI CHE “UCCIDONO” I FIGLI - DALLE “TORTURE” DI MIKE AGASSI ALLE CRITICHE DI BABBO PELLÈ PER IL GOL SBAGLIATO DAL FIGLIO CONTRO IL BELGIO, L’INESORABILE LEGGE DEL PADRE-PADRONE - “NON SAPREMO MAI SE MOZART SAREBBE DIVENTATO MOZART SENZA UN PADRE SEVERO E AUSTERO COME IL SUO”
Elvira Serra per il “Corriere della Sera”
Suo figlio, lunedì sera, ha segnato il gol che ha chiuso la partita: 2-0 per l' Italia. Quando si sono sentiti, l' attaccante gli ha chiesto: «Contento, papà?». Risposta: «No, perché hai sbagliato un gol di testa. Io ti dico sempre che quando stai sul secondo palo non devi girare il collo». Roberto Pellè lo ha raccontato scherzando, ma non troppo, al telefono con Giorgio Lauro durante la puntata di martedì di Un giorno da pecora , su Radio 2. Geppi Cucciari, in diretta, non si è trattenuta: «Che palle questi padri perfezionisti!».
Eppure quanto gli sono debitori i figli?
Quanto conta, per esempio, nella carriera del centravanti del Southampton, essere stato chiamato Graziano in onore di Ciccio Graziani, campione del mondo nel 1982 con Bearzot?
Quanto ha inciso, nella sua scelta a dieci anni di abbandonare il ballo latinoamericano che condivideva con la sorella Fabiana per dedicarsi soltanto al pallone, il fatto che il papà fosse stato un calciatore del Lecce in Serie C? E quanto contano, ancora oggi, i consigli non richiesti che si sente dare da questo rappresentante di caffè, nonno di quattro nipotine? Roberto Pellè, con noi, minimizza: «Cerco di stuzzicarlo in alcuni momenti per caricarlo. Per quel poco che ho giocato provo a dargli qualche suggerimento. Ma quando l' allievo supera il maestro bisogna arrendersi».
Da una madre te lo aspetti. A parte quella interpretata da Anna Magnani per Luchino Visconti in Bellissima , ma era un film, una per tutte, vera verissima, è Amy Chua, professoressa di Legge a Yale, passata alla storia come la «mamma tigre». È lei che in questo terzo millennio ha rotto gli schemi, determinata sul serio a togliere cena, casa delle bambole e feste di compleanno alla piccola Lulu se non avesse imparato con il pianoforte l' impossibile Piccolo asino bianco di Jacques Ibert pur di farle scoprire quanto è bello poter imparare qualcosa che non considerava alla sua portata.
Ma ci sono anche loro. Nel nome del padre o padre padrone, lo scarto è minimo. Basta una parola di troppo. Era certamente un padrone Mike Agassi, quando torturava Andre con la macchina spara palle nel giardino di casa. Nonostante tutto in Indoor, la replica letteraria all' Open del figlio, lui non cerca assoluzioni, anzi: Andre avrebbe potuto vincere molto di più e giocare molto meglio.
È stato certamente un padre Giorgio Cagnotto, quando ha saputo farsi (un po') da parte e affidare la sua bambina a Oscar Bertone, con cui lei ha ricominciato a vincere. E hanno il marchio di fabbrica «Richard Williams» le coppe vinte da Venus e Serena, le sue campionesse. «Ci allenavamo mentre tutt' attorno fischiavano le pallottole delle gang rivali», avrebbero raccontato le due sorelle.
«La verità è che non sapremo mai se Mozart sarebbe diventato Mozart senza un padre severo e austero come il suo», ragiona a voce alta Daniela Lucangeli, docente di Psicologia dello sviluppo e della socializzazione all' Università di Padova. Ma suggerisce di dare il giusto valore all' intonazione, al peso di un complimento o di un rimprovero, perché è l' emozione cui viene associato che condiziona il processo di autodeterminazione. «Soltanto Graziano Pellè può sapere se la risposta del padre al telefono sia stata uno scherzo tra di loro o no», aggiunge. «Per lui sarà determinante quello».
Motivare i figli al successo va bene, purché non lo si consideri l' unica modalità per l' affermazione di sé. E conta il come. Per Malka Magalit, dell' Università di Tel Aviv, un incoraggiamento vale più di 89 rimproveri. «Purtroppo la maggioranza dei genitori ha l' atteggiamento di chi ha messo al mondo un grande campione quando non lo è. C' è un esercito di piccoli aspiranti al successo, in più ambiti, foraggiato da padri e madri che investono esageratamente su di loro», interviene Marco Dallari, ordinario di Pedagogia generale e sociale a Trento.
Il corto circuito tra aspettative e proiezioni è pericoloso, la frustrazione è la sua naturale conseguenza. La psicologa dello sport Marisa Muzio non ha dubbi: «Siamo sicuri che un successo agonistico corrisponda alla felicità del ragazzo? Un genitore dovrebbe avere il coraggio di chiederselo. E di continuare a spronarlo e incoraggiarlo senza smettere di porsi questa domanda: mio figlio è contento?».