DATEGLI LA MOTO GIUSTA E VALE ROSSI VI (RI)SOLLEVERÀ IL MONDO
Alessandro Pasini per "Il Corriere della Sera"
Datemi una moto e vi solleverò il mondo. Era un concetto molto semplice, Archimede/Valentino lo aveva ripetuto per tutti i due anni trascorsi in Ducati eppure molti avevano cominciato a non credergli: ma come, dicevano, l'uomo che nel 2004, passando dalla Honda alla Yamaha, ha dimostrato che è il pilota a fare la differenza adesso si lamenta di non avere una moto buona? Che contraddizione. Che trasformismo da politico mediocre. Che caduta di stile per un nove volte campione del mondo. Anzi, già che ci siamo, siamo sicuri che quel palmarès valga così tanto come dicono i suoi agiografi?
La verità è che la Yamaha è una cosa e la Ducati un'altra. Per conferma, chiedere ad Andrea Dovizioso, il quale dopo la gara di Losail ripeteva che la Desmosedici «non torna», cioè si rialza tardi dalle pieghe, insomma è di legno. Guarda caso, proprio quello che diceva Rossi. La M1 blu, invece, un'altra faccenda. Nel 2004 Rossi l'aveva incontrata lenta ma disponibile al cambiamento, l'aveva plasmata e resa vincente; ora l'ha ritrovata persino migliorata.
E siccome la capacità di guida non è mai svanita (anche questo Vale diceva nei due anni neri, ma il dubbio dei polemici serpeggiava: capirai, un conto è vincere al Ranch di Tavullia con gli amici al motocross, un conto è farlo a 34 anni in pista contro Lorenzo e soci) ecco spiegato il risultato di domenica.
Naturalmente, non basta salire su una moto veloce per andare forte. Dietro, c'è altro.
1) La capacità di riconoscere l'errore di aver scelto la Ducati e di non aver saputo mai innescare il dialogo con la parte tecnica di Bologna, due mondi ugualmente colpevoli divisi da un muro mentale come personaggi di Antonioni.
2) L'umiltà di fare marcia indietro, ridursi lo stipendio, rischiare la propria immagine e farsi riaprire la porta che aveva sbattuto perché si era sentito trascurato. «Una scommessa vinta», ha detto Lin Jarvis, direttore del team Yamaha. La leggenda vuole che sia stato proprio lui, capo della corrente lorenziana, a spingere Valentino al divorzio. Tre anni dopo, la pace è siglata: «Siamo di nuovo un dream team. E Vale mi ha fatto battere il cuore».
In questo senso l'ironia di Biaggi che di recente ha paragonato Rossi al mago Copperfield perché ha saputo trovare una moto competitiva anche dopo due anni negativi risulta fuori luogo. La Yamaha non ha regalato nulla a Rossi, ma ha fatto un investimento. Evidentemente anche a Iwata sapevano che il campione era ancora solido di testa e di fisico, con la disponibilità a lavorare duro a un'età in cui gli sforzi per mantenersi in forma devono essere doppi. Se Rossi è stato mago, insomma, lo è stato solo nei sorpassi in pista.
3) La voglia di rischiare con un compagno come Lorenzo, ormai un fuoriclasse. Un duello con lui è ormai imminente: lo aspettano tutti dal 2010 e prima o poi arriverà . Lì, forse, l'attuale armonia fra i due si incrinerà ma, dice Jarvis, «l'importante sarà gestire tutto in sicurezza e senza errori».
Rossi non ha paragonato il secondo posto di domenica alla leggendaria Welkom 2004, quando vinse all'esordio in Yamaha, perché ovviamente «la vittoria è sempre un'emozione più speciale», però sa che è stata un'impresa battersi già da subito «con avversari fortissimi: ho fatto una gara quasi perfetta e sono felicissimo». Ora il Texas fra 15 giorni è un'incognita, poi si arriverà a Jerez, l'Europa, casa sua: «Lì ci sono le piste che amo, dove sono cresciuto e dove ho imparato a guidare...». Asfalto amico e curve old style per un pilota vintage che più alla moda non si può. La prima vittoria della nuova vita non sembra poi così lontana.
2. QUEL TALENTO RITROVATO
Giorgio Terruzzi per "Il Corriere della Sera"
Aveva addosso una fregola, una foga, persino un'emozione da rivincita immediata. Il primo giro di Valentino in Qatar ha ricordato il primo giro di Alonso in Malesia. Con dentro, per entrambi, quella scheggia di fretta che dilata il rischio. Rossi ha sfiorato Pedrosa. Alonso ha toccato Vettel. Ã bastata una manciata di centimetri a separarli, a dividere i due destini.
Rossi, ricacciato indietro ma incolume, intatto; Fernando cacciato fuori da quell'ala infranta come un sogno. La differenza non sta semplicemente nei punti da classifica. Sta nel tempo che è rimasto a Rossi per ritrovarsi e ritrovare un'armonia, quello stato di grazia intimo e prezioso prodotto da una lezione, da uno schiaffo che porta realismo, una paradossale quiete.
Abbastanza da permettere a Valentino di liberare finalmente e armonicamente il proprio talento, conquistando a rate, giro dopo giro, il podio, la scena, un repertorio davvero rassicurante. Per se stesso, per chi guarda.
Così, la rincorsa di Rossi illuminata a giorno, ha proposto un suggerimento implicito proprio per Alonso. Tutto e subito non è cosa, non si può, nemmeno quando il carattere scalpita, quando una ricompensa pare un diritto da acquisire nell'immediato. Ci sono gli altri, c'è da ristabilire un equilibrio, con la consapevolezza dei mezzi propri ed eccelsi.
Nel gioioso ritorno di Valentino nel reparto giocattoli dello sport c'è qualcosa che ad Alonso potrebbe servire. Il godimento segreto e poi evidente di un patrimonio che riguarda i vincenti, anche quando perdono. Il piacere di poter fare cose grandi, emarginando quella parte di se stessi che reclama giustizia da un angolo in ombra dell'anima.
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