DAL CONTE ANTONIO AL CONTE MAX – IL PRETESTO DI CONTE: “IL BAYERN STA COSTRUENDO LA CIMA DEL GRATTACIELO, NOI SIAMO ANCORA CON PALETTA E SECCHIELLO” – A PARTIRE DA PIRLO CACCIATO, PERCHÉ ALLEGRI NON È LA SCELTA MIGLIORE
1. VOLEVO UN CARRO ARMATO - TROPPO FACILE VINCERE IN ITALIA, ANTONIO CONTE PRETENDEVA DI PIÙ
Malcom Pagani per “il Fatto Quotidiano”
C’è chi dice no e c’è Antonio Conte. Uno che sognava di essere uno e trino e si è ritrovato solo. Suo padre Cosimo, nella juventina Lecce, era presidente, allenatore, massaggiatore, magazziniere e anche ufficio stampa. In altri contesti, Antonio sperava di emularlo. In base ai risultati, straordinari almeno dentro i patri confini, si augurava che Andrea Agnelli e Marotta gli riconoscessero se non l’onnipotenza di Alex Ferguson, almeno quella del suo antico sodale Luciano Moggi.
Poter stabilire il mercato, gestire i fondi, giocare da duro abbandonando nell’angolo i soldatini dell’adolescenza per dare l’assalto all’Europa: “Il Bayern Monaco sta costruendo la cima del grattacielo, noi siamo ancora con la paletta e il secchiello”.
Lo disse nel 2013, dopo una delle poche sconfitte del suo triennio juventino perché perdere “è come morire” e a casa di Conte Antonio: “Contano solo le vittorie. Chi vince scrive e fa la storia, gli altri possono fare solo chiacchiere”. Con la Juventus, il tempo delle parole era finito. Il fair-play finanziario, il realismo, il consiglio di amministrazione, la quotazione in B orsa, le anguste stanze della realtà. Gli hanno opposto un rifiuto, hanno cercato di farlo ragionare, di blandirlo, di calmarne le smanie di fuga. È stato inutile.
antonio conte e massimiliano allegri
Da un pezzo Conte si diceva “stanco”, rifiutava prolungamenti contrattuali, denunciava lo iato tra aspirazioni planetarie, conti societari e concretezza. Il piccolo pianeta del pallone italiano, da anni regolarmente irriso appena un metro al di là di Chiasso, gli stava stretto.
Marotta sosteneva che la Juventus potesse competere ad armi pari con il Real? Conte riannodava il gusto per le metafore e dentro il cesto, scopriva solo pistole a salve: “È inutile prendersi in giro, loro sono un carro armato, noi un’automobile”. Nell’ex feudo della Fiat, per volare, quattro ruote non bastavano più. Prima di intuire un certo logico disimpegno dalle parti di Milanello, Conte aveva persino pensato di trasferirsi alla corte di Berlusconi.
C’è chi con ragionevole approssimazione giura che i primi dissapori con una proprietà che anche all’epoca della squalifica per omessa denuncia lo aveva atteso e difeso vigorosamente, risalgano ad allora. Può darsi. Come non è escluso che già in vacanza, quando i fotografi lo avevano colto incupito su una spiaggia pugliese, Conte stesse meditando come Dagospia scriveva da mesi, il suo colpo di teatro.
Un addio anomalo, in corsa, assolutamente impensabile all’epoca in cui sulla tribunetta di Villar Perosa, pascolavano Platini e Boniek e l’Agnelli vero, Gianni, assisteva alla tradizionale gara in famiglia di inizio stagione sul trono papale. Ora che in piena estate sulla Juventus è piovuto l’inverno e dopo settimane di stucchevoli trattative con il Verona anche le promesse primaverili come Iturbe emigrano più a sud, la scomunica è nell’aria: “Ci ha tradito, non doveva” e la distanza da quell’epoca sembra incolmabile. Per ridurla e restituire l’alone transnazionale che tra il ’70 e il 2000 rendeva Juve sinonimo di dominio, non sono bastati tre scudetti consecutivi.
TEVEZ E PIRLO IN JUVENTUS TORINO
Conte temeva di non raggiungere il quarto, disperava sulle prospettive extracampionato, ipotizzava di perdere Vidal e Pogba e osservava non senza dispetto aprirsi il portafogli altrui e tramontare i propri desideri. Sanchez, Suarez, Cuadrado e tutti gli altri fratelli dall’eccessivo ingaggio.
Il prototipo del top player necessario per arrivare in vetta, assoldato sempre altrove, lontano da Torino. Al termine della notte, nel dubbio che la corda lo impiccasse, Conte ha sciolto il nodo. Separazione consensuale, qualche urlo, un turbato comunicato di ringraziamento societario, arrivederci e grazie.
Ora, nella storia tra Conte e la Juventus, Odissea fitta di capitoli e puntellata da andate, ritorni, rotture e nuovi abbracci, si è arrivati all’ultima pagina.
Il ragazzo di Lecce che catapultato al nord, molti anni fa, era in dubbio sul dare del tu a Tacconi, Baggio e Schillaci, perso il formalismo degli esordi, ha iniziato a parlare di sé in terza persona. Questione di carattere, boria direttamente proporzionale alla sapienza tattica, meriti acquisiti sul campo, legittime ambizioni, noia, saturazione.
Mentre osservava l’ultima goccia, la Juventus ha aperto l’ombrello accontentandosi di Max Allegri. La tifoseria non l’ha presa bene. Dopo l’esperienza di Siena, Conte rianimò un malato reduce da due settimi posti. Il timore, inconfessabile, è ricadere nel vizio e nell’affezione. Tornare normali. Immolarsi alla legge del più forte senza più poterla dettare, neanche in casa propria.
2. ECCO PERCHÉ MAX NON È LA SCELTA MIGLIORE
Stefano Agresti per il “Corriere dello Sport”
Il popolo della Juve è schierato, compatto, contro Allegri. E’ un’opposizione di pancia, com’è normale e giusto che sia quando il giudizio arriva dai tifosi, ma anche di testa. Pure noi abbiamo più di una perplessità sulla scelta del nuovo allenatore bianconero. Le sintetizziamo in tre punti.
1. Pirlo. Allegri, al suo primo anno nel Milan, l’ha messo ai margini e poi, forte dello scudetto conquistato, l’ha spinto all’addio.
Le successive straordinarie stagioni di Andrea alla Juve hanno dimostrato quanto il suo accantonamento fosse sbagliato: ancora oggi, a trentacinque anni suonati, continua a essere uno dei centrocampisti migliori del mondo, oltre che unico e insostituibile per il modo in cui caratterizza ogni partita alla quale partecipa. Pirlo non è un centravanti o un portiere, uno che se fa bene il suo lavoro lo metti in campo e se gioca male lo lasci fuori, sostituendolo con un pari ruolo: attorno a lui devi costruire la squadra. Allegri al Milan non l’ha fatto perché, evidentemente, riteneva più adatti alle sue idee altri interpreti, più muscolari, certamente più scarsi.
E’ quanto meno legittimo pensare che quelle idee non siano cambiate radicalmente in quattro anni. Al di là delle dichiarazioni distensive delle ultime ore, è opportuno chiedersi se e come verrà utilizzato Pirlo nella nuova Juve, dopo che per tre stagioni è stato l’uomo chiave dei trionfi bianconeri. E questo senza entrare nei rapporti personali tra i due, che difficilmente saranno idilliaci.
2. L’ambiente. Quando, in estate, Conte era già arrivato vicino all’addio, la Juve aveva scelto Mihajlovic.
il liverpool saluta suarez in direzione barcellona
Decisione intelligente: tra i tecnici sul mercato (Mancini, lo stesso Allegri) era senza dubbio quello che avrebbe incontrato meno ostacoli da parte del popolo bianconero. Allegri, invece, è in questo momento il più inviso alla piazza: in tutti i sondaggi almeno otto tifosi su dieci - un’enormità - hanno osteggiato la sua candidatura, e nelle classifiche di gradimento era decisamente alle spalle di Mancini e Spalletti. E’ chiaro che una società non può far scegliere l’allenatore alla gente, ma la benevolenza - o almeno l’indifferenza - del pubblico è preziosa, soprattutto quando si deve sostituire un tecnico amatissimo come Conte. Invece si è puntato sull’uomo meno gradito.
3. Allegri. Vincere non è mai facile, lui ci è riuscito al primo anno di Milan e questo indubbiamente conta. Non bisogna trascurare, però, che è arrivato allo scudetto con una signora squadra: aveva Ibrahimovic, Thiago Silva, Boateng, Cassano, Pato, più tantissimi campioni un po’ avanti con gli anni, ma pur sempre fenomenali (Abbiati, Nesta, Zambrotta, Gattuso, Ambrosini, Seedorf, Inzaghi). Una volta andati via i top, in particolare Ibra e Thiago, a causa della crisi societaria rossonera, Allegri è pian piano naufragato. Non è stato il principale responsabile del crollo rossonero, ma certo non si è inventato niente per frenare il declino. Insomma, qualche perplessità - anche di questo tipo - è legittimo nutrirla.
Così come, quando la Juve puntò su Conte, definimmo subito azzeccatissima la scelta (lo avevamo apprezzato in tutte le sue precedenti esperienze, benché in club meno importanti), oggi ci permettiamo di avanzare più di un dubbio su Allegri. Giudicare dopo è comodo e meno rischioso, noi riteniamo doveroso parlare prima. Il campo dirà.