UN DJOKO DA UOMINI - IL NUMERO 1 DEL TENNIS MONDIALE RILANCIA LA GUERRA DEI SESSI: “INGIUSTO CHE LE DONNE GUADAGNINO COME NOI. DOVREMMO FARCI SENTIRE PERCHÉ I NOSTRI MATCH HANNO PIÙ SPETTATORI DEL TENNIS FEMMINILE”...
Gaia Piccardi per “www.corriere.it”
Oplà, quarantatré anni dopo la battaglia dei sessi - Billie Jean King batte Bobby Riggs 6-4 6-3 6-3 davanti ai 30.472 spettatori dell’Astrodome di Houston - rieccoci a parlare di maschi, femmine e soldi, che volgarità, e di una parità dei sessi nei guadagni che a molti tennisti, nel 2016, non va giù.
Indian Wells, deserto californiano. Un torneo da sogno, iniettato di denaro dal suo proprietario: Larry Ellison, Ceo di Oracle, uno degli uomini più ricchi del globo terraqueo. Evento combined, cioé misto. Succede che il direttore del torneo, Raymond Moore, ex doppista, in fase di bilancio con i media si lasci andare a dei commenti poco politically correct:
«Le tenniste sfruttano la scia dei tennisti. Non prendono mai decisione proprie, sono molto fortunate a poter godere degli stessi vantaggi economici degli uomini: se io fossi una tennista, bacerei tutti i giorni i piedi a Roger Federer e Rafa Nadal per aver lanciato e trascinato il nostro sport a questi livelli». Anche se, deve ammettere Moore, «Eugenie Bouchard e Garbine Muguruza sono due prospetti molto interessanti del Wta Tour: fisicamente e sportivamente attraenti», Bang.
Il tema in senso lato viene poi raccolto dal numero uno del mondo, il serbo Novak Djokovic, fresco del titolo di Indian Wells ai danni del canadese Raonic. «Le ragazze hanno combattuto per ciò che pensavano di meritare ma penso che adesso sia il turno di noi ragazzi. Dovremmo farci sentire perché i nostri match hanno più spettatori del tennis femminile: vendiamo più biglietti e riempiamo di più gli stadi».
Quindi dovremmo partecipare maggiormente agli introiti dei tornei, è il ragionamento del Djoker. Soprattutto negli Slam, dove i maschi giocano tre set su cinque e le donne due set su tre. Una vecchia querelle che mezzo secolo di rivendicazioni sindacali sembra non aver sopito. «You've come a long way, babe» recitava un famoso slogan del circuito femminile negli Anni Settanta. Ne hai fatta di strada, ragazza. Forse, non abbastanza.
Apriti cielo. Il duetto Moore-Djokovic, benché condotto con toni e modi molto diversi (l'indignazione popolare si è soprattutto scatenata contro le frasi sessiste di Moore), è rimbalzato sui social, sollevando un polverone. Serena Williams, appena battuta da Vika Azarenka nella finale di Indian Wells, ha definito lapidaria i commenti «molto inappropriati e offensivi».
Billie Jean King, l'anziana pasionaria, ha ritrovato l'antico vigore: «Sono molto dispiaciuta da ciò che ho sentito. Le donne hanno combattuto molto per i loro diritti. Ciascuna contribuisce in modo determinante al successo del tennis».
Conta, in questa bega di quartiere (ricco) che butta benzina sull'eterno tema del confronto tra generi, il momento delicato del tennis femminile, esposto al pubblico ludibrio dall'inopinata positività di Maria Sharapova, reso fragile e attaccabile dall'assenza di una dominatrice.
Serena non vince più, l'albo d'oro dei tornei è esposto ai capricci della più in forma del momento. Pennetta a New York. Kerber in Australia. Le donne leggono questa molto femminea volubilità come un valore aggiunto, gli uomini come un deterrente. Ma non siamo solo noi ragazze, forse, a trovare terribilmente noiosa la dittatura di Djokovic, che quest'anno ritenta il Grande Slam. O no?