“PAPA’ MORI’ A SUPERGA. HO PROVATO A INCONTRARLO CON LE SEDUTE SPIRITICHE” – PARLA IL FIGLIO DI FRANCO OSSOLA, UNO DEI CADUTI DEL GRANDE TORINO: “PAPÀ NON L’ABBIAMO MAI TROVATO IN QUELLE SEDUTE. MIA SORELLA DANIELA, A SUA VOLTA MORTA GIOVANE IN MODO TRAGICO, INVECE SÌ, GRAZIE A UNA MEDIUM. MIO PADRE L’HO SOGNATO UNA VOLTA, QUANDO USCÌ IL “ROMANZO DEL GRANDE TORINO”. MI MISE UNA MANO SU UNA SPALLA E MI DISSE…”
Flavio Vanetti per il “Corriere della Sera” - Estratti
Franco Ossola junior, figlio di uno dei caduti del Grande Torino a Superga, il 4 maggio 1949, ha un aneddoto per iniziare a parlare del padre: «Mio nipote Leonardo, 7 anni, nato da mia figlia Francesca, ha scritto questo: “Oggi al mercato un signore mi ha chiesto se fossi del Toro.
Mi ha detto di essere un tifoso granata e mi ha recitato i nomi della squadra dell’epoca, tra cui quello del mio bisnonno. È proprio vero: gli eroi sono sempre immortali agli occhi di chi crede in loro”». Un sorriso: «Ha usato — spiega Franco jr —, una frase di Indro Montanelli». Lo scritto del bimbo è su un foglio a quadretti: un emozionante «pizzino» del cuore.
Quando ha cominciato a pensare al papà, mai conosciuto perché lei nacque 8 mesi dopo la disgrazia?
«Dai 20 anni. Prima vivevo situazioni strane. Incontravo chi mi dava una pacca sulla spalla e mi diceva: “Franchino, ho conosciuto tuo papà”. Oppure: “Io ho giocato con tuo padre”. Poi però c’erano i racconti della mamma: quelli mi hanno segnato».
Ha detto che questa vicenda le scivolava sempre via.
«Ero “impermeabilizzato”. Poi ho afferrato che era importante, non perché Franco fosse mio padre, ma perché con i compagni aveva creato la meraviglia del Grande Torino.
Da lì è nato tutto, come una valanga che si ingrossa».
franco ossola figlio di franco ossola del grande torino
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Ha immaginato suo padre in carne e ossa al suo fianco?
«Sì. E volevo proteggerlo: pensavo di abbracciarlo e di rincuorarlo per quello che gli era capitato. Però non l’ho mai sognato, tranne una volta, quando uscì il “Romanzo del Grande Torino”. Fu un flash: eravamo in mezzo alla gente, lui era in doppiopetto e ben pettinato. Mi venne incontro, mi mise una mano su una spalla e mi disse: “Bravo Franco”. Sì, mi parlò. Lo incontrai solo quella volta, eppure ci riprovai spesso...».
Prego, racconti.
«Da giovane ero in un gruppo che teneva sedute spiritiche. Papà non l’abbiamo mai trovato; mia sorella Daniela, a sua volta morta giovane in modo tragico, invece sì.
Quando papà mancò, lei aveva 4 anni e mezzo: la incontrammo grazie a una medium».
Perché quel Torino è ancora oggi un mito?
«Soprattutto perché era formato da persone normali. Lo prova un aneddoto di Giampaolo Ormezzano: era ragazzino ed era andato al cinema con gli amici. Si ritrovarono a fianco Valentino Mazzola. Giampaolo lo fissava per sincerarsi che fosse lui. Ad un certo punto Valentino gli disse: “Cerca di guardare il film”...».
Chiaro il messaggio: io sono come quelli che incontri per strada.
«Esatto. L’umanità di quei ragazzi ha lasciato una forte eredità di affetti in un momento in cui la gente ne aveva bisogno».
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C’è un progetto per cementare il ricordo di quel Toro?
«Tra due giorni ricorrono i 75 anni dalla tragedia: chi si rammenta del Grande Torino è avanti con l’età. Però la tradizione orale continua. Ho incontrato ragazzi di 12-13 anni che vogliono conoscere il passato del club: è la magia — eterna — di una squadra irripetibile».