VENTO IN POPPE - FRANCESCA CLAPCICH, 29 ANNI, PRONTA A SALPARE PER LA “VOLVO OCEAN RACE”, IL GIRO DEL MONDO IN BARCA A VELA LUNGO 8 MESI - LA VELISTA OLIMPICA SARA’ L’UNICA ITALIANA IN GARA: “MI ASPETTERANNO CIBO LIOFILIZZATO E ATTACCHI DI PIRATI” - “FLIRT? NON È LOVE BOAT”
Gaia Piccardi per il Corriere della Sera
«Il giro del mondo in equipaggio è un' avventura a numero chiuso. Settanta velisti su sette barche. Ci sono anch' io. Una follia, ma mi piace».
Francesca Clapcich, 29 anni, triestina, parte per l' Università della vela domenica da Alicante, lasciando in banchina i parenti («I miei avevano una barca da crociera di 10 metri. Sono nata a gennaio, a febbraio ero nel pozzetto: in culla») e l' età dell' innocenza.
È l' unica italiana - la prima dall' edizione '89-'90, quando Annabella Bini s' imbarcò su Gatorade di Giorgio Falck - impegnata a sfogliare quello straordinario romanzo di formazione chiamato Volvo Ocean Race, 45 mila miglia attraverso quattro Oceani e sei continenti, 12 città sedi di tappa, 70 marinai di 18 Paesi (lo spagnolo Vila a 55 anni il più anziano, l' australiano 21enne Piggott il più giovane), tra cui 18 donne perché la grande novità, in tempi di parità di genere, sono gli equipaggi misti.
E considerando che si tratta di almeno otto mesi di regata, si prevedono interessanti complicazioni a bordo. «Sesso e amore? Su uno yacht di 20 metri lanciato sulle onde, il tempo per i flirt sarà poco - sorride Francesca -.
Il nostro skipper su Turn the Tide on Plastic, l' inglese Dee Caffari, non ha nemmeno dovuto puntualizzarlo: questa non è Love Boat, siamo professionisti che si rispettano, pagati per far correre la barca».
Reduce da due campagne olimpiche, a Londra 2012 nel Laser e a Rio 2016 nei 49er, Clapcich aveva cercato gli sponsor per mettere in piedi un sindacato italiano, «ma da noi nella vela non ci si crede fino in fondo, ho raccolto solo chiacchiere e promesse non mantenute, peccato perché le potenzialità di marketing di un evento così sono enormi».
Ogni scafo della flotta, infatti, avrà in pancia un media man (esentato dalle manovre) addetto a audio, video, social e comunicazione. A bordo Francesca si occuperà della regolazione della randa («Ma nei turni di 4 ore nelle tappe lunghe, tutti faranno tutto») e della cambusa.
In vista di Città del Capo (2a tappa) caricherà 275 kg di cibo liofilizzato da riattivare con l' acqua calda (per bere c' è il desalinizzatore), vietata la plastica («Le posate sono numerate, in mare non viene gettato nulla: siamo inquinanti zero») ma non l' alcol perché di solito è con una bottiglia di whiskey (e bel un sigaro) che si brinda al passaggio di Capo Horn (7a tappa): «Saranno i veterani a decidere come festeggiare».
Rischi, scomodità, disagi. La vela oceanica non è sport per signorine. «Il bagno sarà sigillato per non sforzare troppo le pompe idrauliche». I bisogni solidi si faranno in sacchettini biodegradabili e le gentili veliste faranno in modo di pilotare il ciclo lontano dalle undici tappe della Volvo Race.
Per tutto il resto, c' è lo specchio di poppa (o, per chi lo preferisce, il secchio). «Non partiamo per vincere: non abbiamo né l' esperienza né il budget e su altre barche c' è gente che ha sette giri del mondo alle spalle. L' obiettivo è migliorarsi strada facendo.
Per me, comunque vada, sarà un' esperienza pazzesca». Di cosa hai più paura, Francesca? «Non dei pirati, che in teoria potremmo incontrare nell' Indiano: ci hanno istruiti sulla procedura in caso di attacco.
Mi eccita e mi spaventa la stessa cosa: il Pacifico del Sud, di cui ho sentito tanto parlare».
Appuntamento a L' Aia a fine giugno 2018, per i racconti.