“SPERIAMO DI VEDERNE DELLE BELLE E DELLE BRUTE, NEL SENSO DI BRUTALI” - GIANCARLO DOTTO PRESENTA JUVENTUS-ROMA: “LA RIVALITÀ LATENTE TRA ALLEGRI E MOURINHO, FIN QUI MORMORATA, ALLUSA, SOFFIATA, POTRÀ FINALMENTE DICHIARARSI SENZA MEZZI TERMINI - I DUE SONO INCOMPARABILI. ALLEGRI È UN ALLENATORE, UN DISCRETO GESTORE DI RISORSE. FURBO, DUTTILE, REALISTA. MOURINHO STA FACENDO A ROMA QUELLO CHE DRAGHI STA FACENDO IN ITALIA: UNA PROVA SCHIACCIANTE DI LEADERSHIP. PERDERÀ A TORINO? NON IMPORTA. SAPRÀ COME RACCONTARE LA SCONFITTA E RIPARTIRE”
Giancarlo Dotto per il “Corriere dello Sport”
giancarlo dotto foto di bacco (3)
Ne vedremo, questo è sicuro. Delle belle, ma, perché no, speriamo anche brute, nel senso di vere, brutali, passionali. Da questa sera Josè e Max saranno finalmente liberi di detestarsi esplicitamente. Doverosamente tra l’altro, visto che parliamo di Juventus-Roma.
La rivalità latente tra i due, fin qui mormorata, allusa, soffiata, potrà finalmente dichiararsi senza mezzi termini sotto il grande alibi-ombrello della rivalità più grande, quella ormai quarantennale tra lupi e zebre. La Roma nella Torino bianconera, da Turone in poi, è quasi sempre roba incendiaria, basti ricordare per tutte l’immagine del galantuomo Rudi Garcia che si mette a fare Paganini la sera di quel 3 a 2 del molto fantasioso arbitraggio di Rocchi.
Aggiungi i rissosi precedenti di Mourinho a Torino, all’Olimpico con l’Inter (folla bianconera sfidata in puro stile gladiatorio, da one man show, prima dell’inizio) e poi allo Stadium con il Manchester (il non meno bravaccio gesto delle orecchie). Aiuteranno, ci puoi giurare, la sinfonia di guerra. Questa, la minaccia. La miccia? I novanta minuti, che ci si augura incandescenti e votati di qua e di là a non farsi bastare la mediocre caramella del pareggio. Mettici poi, magari, qualche estro dell’arbitro, un’Orsataccia delle sue, e ne parleremo per almeno 48 ore, un’eternità di questi tempi.
Si straparla dall’inizio che questo sarà il campionato degli allenatori, la sfida della panchina accanto più che delle squadre, dei giocatori o dei tifosi. Di fatto solo parole e nemmeno quelle. Poca roba. Il tanto atteso Mou contro Mau di Roma ha partorito un topolino, anche se va riconosciuto all’uomo di Setubal d’aver tentato almeno d’incendiare gli animi a fine derby inventandosi un po’ di casino sulla storia delle interviste in assenza o presenza, mentre il toscanaccio si limitava di suo alla provocazioncella nemmeno troppo fumante di fare da trespolo sotto la Nord alla più pacifica aquila di sempre.
Ci si aspetta molto, da qui a una settimana, per Roma-Napoli, ma le premesse, lo sketch benevolo quasi affettuoso tra Specialone e Spallettone in televisione, non sembrano incoraggianti.
Si dice e ci si lascia dire per tutta la settimana che Allegri e Mourinho sarebbero accomunati nel loro calcio dal pragmatismo. Concetto un po’ vago e troppo comodo. Anche San Francesco quando parla ai passeri è un uomo pragmatico convinto di fare squadra. Da questo punto di vista, Mourinho e Allegri sono distanti anni luce. Talmente distanti da essere incomparabili. Allegri è un allenatore, un discreto gestore di risorse. Furbo, duttile, realista. Josè Mourinho è ben altro. Molto altro.
Troppo diversa la scala di grandezza. Decisamente più accostabile, Mou, al predicatore di Assisi. Togli saio e sandali, metti un abito e scarpe firmate, la sostanza non cambia. San Josè parla ai calciatori come San Francesco parlava ai passeri, una predica incessante votata all’obiettivo comune, esaltare e servire il Creatore che, nel caso di Mourinho, ha un’identità più auto-riferita: “Fratelli miei, uccelli o giocatori che siate, dovete lodare molto e sempre il vostro Creatore perché vi diede piume per vestirvi e ali per volare…”. Che sia dipinta da Giotto o raccontata da noi, passeri e calciatori ascoltano e, ispirati, spiccano il volo.
Mourinho è un alchimista che usa la parola per trasformare il ferro in oro. Un seduttore naturale. Lo ha dimostrato in due mesi di Roma. Ha trasformato giocatori spenti, insicuri e ondivaghi, più votati alla buona condotta che alla guerra, in emuli di Lancillotto. Ha trasformato tifosi derelitti e apatici in una comunità che brucia di passione.
mourinho gesto ai tifosi bianconeri
Ha trasformato una piazza feroce e anche un po’ bastarda che strepita verdetti dalla mattina alla sera in una conventicola di adepti che, tutt’al più, sussurrano tiepidi dissensi. Servono altre prove? Chiamatelo allenatore, allora, ma solo se è l’unica parola che vi resta. Esagerando ma non troppo, Mourinho sta facendo a Roma quello che Draghi sta facendo in Italia: una prova schiacciante di leadership. Perderà a Torino? Non importa. Saprà come raccontare la sconfitta e ripartire.
Il miglior Allegri, quello dei cinque anni alla Juve, è una testa scaltra, sa mettere insieme i pezzi, non avendo un pensiero forte e nemmeno una personalità debordante, non si fa confondere da fumisterie che non gli appartengono. Gli va dato merito. Va al sodo. Come comunicatore non è un granché, carisma al lumicino, se lo provocate o lo fate incazzare, va in corto, fa tilt.
Fate incazzare Mourinho e avrete il miglior Mourinho. Lo invitate a nozze. Allegri, per funzionare, ha bisogno di un Agnelli che sborsa, di dirigenti che lo assecondano, di giocatori che si prestano. Mourinho ha bisogno soltanto di se stesso. Quando è in sintonia con sé, tutto il resto discende naturale. Dirigenti generosi, calciatori e tifosi disposti a buttarsi nelle fiamme.
Pretendendo di conoscerlo un poco per averlo raccontato, lo Special deve solo fare i conti con il suo comprensibile complesso di superiorità verso il mondo dei colleghi. “Francescano” anche qui, nella versione inedita che si presenta a Roma. A Milano si gasava ad ascoltare il rumore dei nemici, oggi gli piace (fino a quando?) ascoltare il cinguettio degli amici. Una buona parola per tutti.
Ruffiano? No, spietato. L’intelligenza spietata di capire che, se non hai una squadra di marziani, devi fingere di volare basso da uomo saggio e canuto, oltre che pluridecorato, perché se e quando volerai alto lo farai da assoluto mattatore. E sarà la più assurda delle sue imprese.
Oggi, l’antipatico non è Mou, ma è Max. Che ha, probabilmente, sottovalutato i problemi che c’erano e non previsto gli altri che si sarebbero aggiunti. Ora, passato lo sconcerto, sta facendo il suo, rimettere insieme i pezzi, ma ha bisogno di risultati. Chiari, espliciti, inequivocabili. Una vittoria sulla Roma di Mourinho sarebbe oro.
Josè, di suo, detto tra noi e detto tra sé, dentro il suo pigiama, non vede l’ora di rispolverare il suo vero sé, quello di Josè che va alla guerra, del nemico bello riconoscibile. Domenica è l’occasione.
Dopo aver perso il derby, Josè sa che non può perdere anche a Torino. Sa che sarebbe un lunedì complicato persino per lui, una storia difficile da tenere in piedi. Sa che ripartirebbe puntuale la solfa della Roma inadeguata contro i grandi club e, a seguire, l’immancabile illazione: ma dunque, da Fonseca a Mourinho allora non è cambiato niente? Sa anche che oggi e da molti anni in qua, per la maggioranza della gente romanista, lo scalpo più eccitante è quello di Bonucci e compagni.