MA A CHE GIOCHI, GIOCHIAMO? RAFFICHE DI VENTO, ATLETI CADUTI E GARE RINVIATE: L’OLIMPIADE COREANA NEL CAOS – GLI IMPIANTI RESTANO SEMIVUOTI, L’IMABARAZZO DEL CIO - SONO IN TANTI A CHIEDERSI: "PERCHE’ SIAMO ARRIVATI FIN QUI?" – PRIMO CASO DI DOPING: UN GIAPPONESE POSITIVO A UN DIURETICO
Emanuela Audisio per la Repubblica
Una sola parola: crash. È scritta su tutti i referti.
Cadute su cadute. Solo in 5 su 25 non sono ruzzolate sulla neve nello slopestyle. E su 50 runs, 41 sono finite sulla schiena. L' americana Jamie Anderson,27 anni, si definisce "sopravvissuta". E felice di non essersi rotta niente. Rivince il titolo olimpico, davanti a tribune vuote, ma anche lei è caduta. «Non sono orgogliosa della mia prova modesta, ho avuto un punteggio basso, 83, ma l' unica cosa a cui ho puntato è stata restare viva in equilibrio. Ero pietrificata, mentre tu stai in aria, c' è un tornado che ti sposta». Gli stessi brividi provati da chi doveva lanciarsi dal trampolino.
Gare rimandate, prove accorciate, sessioni posticipate, caos, quattro anni di allenamenti stravolti. Crash anche per il Cio. Adesso si chiedono, anche le teste coronate: ma chi l' ha votato un posto così? Il freddo a meno 31 (temperatura percepita lassù) ci sta, sono Giochi Invernali. Ma le terribili raffiche di vento che impediscono discese, acrobazie, salti, combinata nordica, sono proprio così inaspettate? No, come la bora a Trieste. Qui le tempeste siberiane sono di casa, tanto che le montagne sono piene di pale eoliche. Lo dice anche il fondista azzurro Federico Pellegrino: «Vedi le pale e ti fai subito l' idea di un posto dove il vento è sovrano». Altro che Generale inverno, nemmeno la Coppa America di vela si potrebbe disputare, per le raffiche troppo devastanti. Lo sanno tutti in Corea che questa è una regione inospitale, per il meteo e perché la bellezza non abita qui.
Il Cio è imbarazzato, in molti ora ci tengono a far sapere che non hanno votato a favore. Gli organizzatori all' esterno non riescono a parlarsi: i cellulari si congelano. I bus sotto la nevicata non riescono a salire?
Kang Hee-up, direttore dei trasporti: «Stiamo pensando a dotarli di catene». Evviva.
Sbagliano strada e non arrivano? «Possibile, 1.800 autisti non sono di qui e si perdono». Interessante, rimedi? «Abbiamo risorse limitate, ma aggiungeremo due milioni di dollari per i trasporti.
Qui ci sono molte montagne e poche infrastrutture». Be' la geografia non era sconosciuta. I turisti? Mai pervenuti. Il pubblico? Poco. Soprattutto parenti e famiglie degli atleti.
Da Seul hanno ridotto i voli a cinque (anche perché c' è il treno). Perfino Sung Baik-you, portavoce del comitato organizzatore, che è andato a vedere l' hockey, ammette: «C' erano molti posti vuoti». Già, e allora? «Diremo ai volontari di occupare le tribune, anche perché è molto brutto vedere in tv i palazzetti deserti». Anche dal vivo non è che sia entusiasmante. Gli sponsor asiatici spingono in questa parte del mondo: i Giochi estivi e invernali si sono spostati qui, PyeongChang 2018, Tokyo 2020, Pechino 2022.
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Ormai si pensa a esportare i format, non ai contenuti, anche perché il matrimonio del mondo con le Olimpiadi non è più né affettuoso, né conveniente.
Il direttore di gara dello slopestyle, Roby Moresi, si difende: «Non potevo rinviare la finale un' altra volta per il forte vento. Anche se nessuna delle 26 atlete è riuscita a mettere giù due run. Ammetto, non è stata una gara spettacolare per lo snowboard, ma in queste condizioni atmosferiche era inevitabile».
La canadese Laurie Blouin argento, con un occhio nero per la botta e la finlandese Enni Rukajarvi, due non proprio da clima mediterraneo, parlano di «ugly day», di condizioni feroci, «di gara da rimandare». Silje Norendal, quarta: «Tutto quello che volevo fare era sedermi e mettermi a piangere».
L' austriaca Anna Gasser, finita sul ghiaccio due volte: «Siamo sembrate ridicole, molto peggio di quello che siamo». La ceka Sarka Pancochova, 16esima: «Il vento soffiava a 70 km orari, è stato disumano». L' inglese Katie Ormerod si è rotta tallone e polso, l' australiana Tess Coady i legamenti crociati. Via col vento. Ma è il film sbagliato.