GLI 80 ANNI DA CORSA DI ARTURO MERZARIO, IL PILOTA CHE SALVO’ DALLE FIAMME NIKI LAUDA AL NURBURGRING NEL ‘76: "SE NON FOSSE SVENUTO, NON CE L’AVREI FATTA. LUI NON MI HA MAI RINGRAZIATO E SOLO 30 ANNI DOPO L’INCIDENTE ABBIAMO FATTO LA PACE. MA IO HO CONTINUATO A CHIAMARLO STRONZO - ENZO FERRARI? ERA UN GRAN FIGLIO DI…DISSI NO ALLA ROSSA E QUASI GLI VENNE UN INFARTO" - E POI PARLA DI HAMILTON, VERSTAPPEN E LECLERC - VIDEO
Estratto dell'articolo di Umberto Zapelloni per “il Giornale”
Sono un uomo fortunato. Sono qui a festeggiare gli 80 anni con mia moglie, sempre la stessa da quasi 60 anni, i miei figli, i nipoti, la famiglia allargata. Ho detto più fortunato, non più bravo», Arturo Merzario centra subito l’argomento. Per un uomo che ha cominciato a correre nel 1962 non era per nulla scontato arrivare fin qui. Lui c’era quando le auto erano pericolose e gli incidenti mortali.
Ha visto morire davanti ai suoi occhi un amico come Ignazio Giunti, ha salvato dalle fiamme un “nemico” come Niki Lauda. «Io ho rischiato di finire come Frank Williams che poteva muovere solo la testa. Molto peggio del Clay (che era Regazzoni ndr). A Magione nel 1991 con i prototipi mi ruppi la seconda e la terza vertebra cervicale, muovevo solo gli occhi. Poi è arrivato un mio amico specialista, professore a Terni, mi ha messo la corona di Cristo, un anello attorno alla testa con dei fili, un busto di gesso e un millimetro al giorno mi ha rimesso in piedi, mi ha rifatto l’assetto».
(...)
Non indaghiamo. Torniamo in auto: è vero che era l’unico a dare del tu a Enzo Ferrari?
«Quando l’ho visto per la prima volta gli ho detto “Ciao Commendatore come stai?”. E ho continuato con il tu, anche quando ho cominciato a chiamarlo Grande Vecchio Saggio. Ma la mia non era mancanza di rispetto. Io ero abituato con Carlo Abarth e poi noi a Civenna eravamo abituati così, davamo del lei solo se non ci sentivamo amici e volevamo mantenere le distanze. Noi ragazzini del paese davamo del « tu a Calvi, Sindona e a Bonelli, quello di Tex... tutta gente a cui papà aveva costruito la casa».
Ma come era Enzo Ferrari?
«Un gran figlio...»
Bip.
«Mi diceva in modenese i piloti vanno e vengono, ma la mia fabbrica sta sempre qui. In pole position devono esserci sempre gli interessi dell’azienda».
Perché è finita con la Ferrari?
«Sono stato io a dire di no a Ferrari, non il contrario e al Grande Vecchio quasi gli viene un infarto. Mi disse che ero il primo pilota a rifiutare un contratto con la Ferrari. Sapevo che non ci sarebbe stato futuro coi nuovi ingegneri».
Che anni sono stati?
«Io sono stato lì cinque anni dal 1969 al 1973 e rimango l’ultimo ad esser andato sul podio di Le Mans proprio 50 anni fa e adesso ci tornano finalmente».
Lei si è fatto pure una scuderia tutta sua.
«L’errore più grande della mia vita, ho avuto debiti per 10 anni».
Chi è stato il pilota più forte contro cui ha corso?
«Jim Clark. Io ho cominciato che lui e Graham Hill, Jochen Rindt erano già in pista. Clark e Hill con la Ford Cortina, Rindt con la Giulietta, io con il millino Abarth. Allora correvamo tanto anche con il turismo».
Chi era il più simpatico?
«A me piaceva molto Jo Siffert perché era terra terra come me. Anche Hill era simpatico, era un burlone, non come suo figlio, ma aveva quell’impronta austera dell’aviatore. Poi faceva anche lui le cag... come noi, ma sempre stando un po’ sulle sue, come Jackie. Clark invece era come Chris Amon, era un allevatore di pecore, più alla mano. Hill e Stewart oggi diremmo che sono un po’ dei fighetti...».
Ma qualcuno antipatico c’era?
«Eh... non ti basta il giornale a raccontarli tutti. Ma sai perché diventano antipatici? Perché pagano per correre. Io sono stato l’ultimo ingaggiato e pagato dal Grande Vecchio. Dopo c’è stato solo Gilles. Gli altri li pagava tutti lo sponsor delle sigarette».
Lauda non le stava simpatico?
«Un amico-nemico. Mi stava un po’ sulle scatole perché mi aveva soffiato un campionato europeo. Poi voi ci avete un po’ marciato su, ma certo non avete inventato nulla. Dopo l’incidente ci sono voluti 30 anni per diventare amici».
Raccontiamo come andò?
«Quando ho visto l’auto tra le fiamme. Non ci ho pensato su due volte. Ma se non sveniva non lo salvavo... Si muoveva, si dimenava per uscire con le fiamme sotto il sedere e io non riuscivo a slacciare le cinture. Poi è svenuto e l’ho liberato. Non so come uno magrolino come me, sia riuscito a tirarlo fuori. L’adrenalina mi ha trasformato in superman».
Poi gli ha fatto anche la respirazione artificiale?
«Il massaggio e la respirazione. Lo avevo imparato a militare, facevo il corso di primo soccorso per avere cinque giorni di permesso premio».
Però non l’ha mai ringraziata davvero e solo trent’anni dopo l’incidente avete fatto la pace.
«Merito di Bernie. Eravamo al Nurburgring. E lui mi dice come on, vieni con me. Mi carica su una Mercedes e mi porta là dove c’era stato il fuoco di Niki. Ci sono una troupe di Rtl e Niki. Se lo sapevo magari non ci andavo. Poi Bernie mi dà un orecchio di plastica e mi dice dai dallo a Niki, digli che l’hai trovato nel bosco.
Per un attimo ho avuto la tentazione di mandare tutti a quel paese. Poi invece sono stato al gioco e da quel momento da nemici siamo diventati amici. Io continuavo comunque a chiamarlo stronzo e lui mi mandava i whatsapp firmandosi il tuo amico stronzo».
E oggi chi le piace?
«Dal primo giorno che ho visto Hamilton vincere a Monza la gara di Gp2 ho detto questo qui farà strada».
E tra i giovani?
«Verstappen ha già superato Hamilton. Ma prima di arrivare ha perso un sacco di gare e almeno un mondiale per la sua esuberanza da ragazzino. Aveva il piede giusto, ma non aveva nel team una persona come era stato Niki per Hamilton. Lui gli ha insegnato che per vincere devi anche imparare a perdere. Non devi dimostrare ad ogni giro di essere il migliore».
E Leclerc le piace?
«Sì, ma la sua rovina è che lo hanno fatto campione ancora prima di vincere la prima gara».
Auguri Arturo, ci risentiamo tra 20 anni.
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