1. LA ROMA C’È. SOLIDA E STAVOLTA ANCHE FLUIDA. LA JUVENTUS È UN CANTIERE. DUE SCONFITTE IN SEQUENZA A INIZIO CAMPIONATO NON SI VEDEVANO DA UNA VITA O FORSE DUE 2. TROPPE FACCE NUOVE E SCELTE NON SEMPRE COMPRENSIBILI. QUEI TRE CHE SE NE SONO ANDATI, TRA MONACO, NEW YORK E BUENOS AIRES HANNO LASCIATO UNA VORAGINE
Giancarlo Dotto per Dagospia
Pjanic la mette ma è tutto l’Olimpico a soffiare con un flauto magico che spunta da ogni tasca. Capolavoro che lascia secco il mondo intero e specie quello bianconero. Buffon impotente mima ai compagni e mimerà stasera potente a Ilaria: “Che ce potevo fa’?”.
La Roma c’è. Solida e stavolta anche fluida. Lo show bosniaco continua con il gol di Dzeko, un’iniezione bomba di personalità anche quando non segna. E, invece, segna. Di capoccia. Come i bomber che la Roma non vedeva dai tempi di Batigol. Il 2 a 0 fa dell’Olimpico una pappa di cuori allo sbando. Dieci minuti di strizza finale fanno solo più gaudioso il tormentone.
La Juventus è un cantiere. Due sconfitte in sequenza a inizio campionato non si vedevano da una vita o forse due. Troppe facce nuove e scelte non sempre comprensibili. Quei tre che se ne sono andati, tra Monaco, New York e Buenos Aires hanno lasciato una voragine.
Vittoria che ribalta il peggior copione. Quando giochi con la Juve, da romanista, ulcera garantita e sbocchi di fiele due volte l’anno. Storia maledetta e maledettamente uguale a se stessa.
Sai quei petulanti mocciosi che se cambi una virgola della favola e per una volta il lupo fa un culo così a Cappuccetto Rosso s’incazzano di brutto e scalciano come isterici? Tutti pietrificati nella parte. Puoi metterci Rizzoli o Messina, Rocchi o Racalbuto. Ne puoi mettere dodici di arbitri. Un ciclope con duecento occhi. Non cambia nada.
Stavolta bastano quaranta secondi e da romanista sei lì a bestemmiare, da juventino a sogghignare. Il rigore su Florenzi. Troppo netto per essere fischiato. Rizzoli sbraccia per cancellare l’evidenza. Difficile scrivere qualcosa quando tutto è già scritto. Ma troppa Roma e troppo poca Juve.
Sconosciute anche a se stesse, le nuove Roma e Juventus si trovano, non per scelta ma per necessità, a capire chi sono o quanto meno si accingono ad essere in un frontale puro, una contro l’altra, sparandosi in faccia in un tardo pomeriggio di fuoco in un putiferio di scarpe rosa, rosa anche il pallone, dentro un Olimpico strapieno e variamente umorato (c’è chi tifa appieno e chi tifa a metà).
Primo raduno di massa a Roma dopo i funerali di Casamonica, ma qui a celebrare è Don Rizzoli. Mezz’ora magnifica della Roma. Stupisce ma convince la scelta di Rudi, quel De Rossi arretrato nel ruolo di Castan, ancora troppo lontano da se stesso. Stupisce la personalità di Lucas Digne al debutto. Non si vedeva da un pezzo, dal miglior Balzaretti un laterale sinistro così.
Bene Mohamed Salah born to run e bene Iago Falque born to cross. Mostruoso per novanta minuti Nainggo, oggi uno dei migliori tuttocampisti al mondo. La Juve si affida all’unica cosa che al momento gli resta, una difesa ferrigna. Anche troppo.
Il polifemico Chiellini cerca di asportare di netto la tibia di Pjanic. Rizzoli si scorda di ammonirlo. La Juve si chiude come fosse il Carpi. E lo sa fare dannatamente bene. Non basta questa volta.
Pjanic e Dzeko scrivono una storia che sembra nuova. Solo due partite, troppo poco, ma già abbastanza.