“IO E EGONU NON SIAMO AMICHE. LEI HA UN TALENTO NATURALE, IO DEVO PROVARE E LAVORARE” – KATE ANTROPOVA, PALLAVOLISTA RUSSA NATURALIZZATA ITALIANA, HA TRASCINATO SCANDICCI IN FINALE SCUDETTO BATTENDO LA RIVALE. IN NAZIONALE GIOCHERA’ SOLO UNA DELLE DUE: “PER LA MAGLIA AZZURRA SONO DISPOSTA A FARE TUTTO” - SULLA ESCLUSIONE DELLE SQUADRE RUSSE DALLE COMPETIZIONI INTERNAZIONALI: "NON MI CAPACITO DEL FATTO CHE..”
Kate Antropova, 21 anni, ha trascinato Scandicci alla prima finale scudetto di pallavolo femminile. Hanno vinto in casa di Paola Egonu che in Italia non l’aveva mai mancata dal 2018: doppio 3-0 all’Allianz Milano e doppio premio di miglior giocatrice. Il Corriere della Sera l’ha intervista, anche sulla Nazionale e sulla rivalità sportiva con Egonu.
Come vive questo eterno confronto con Egonu?
«Più che altro, non lo capisco. Siamo diverse. Divido gli opposti in due categorie: in una ci sono Paola e Vargas, dotate di un talento naturale incredibile. Nell’altra ci metto Boskovic, Haak che hanno raggiunto quel livello col lavoro. Non so chi sia più forte, ma se Paola salta due metri e attacca una diagonale strettissima, bisogna solo applaudire. Io posso fare altro, faccio parte della categoria di chi deve osservare, provare, riprovare e continuare lavorare».
Ma tra voi c’è un po’ di competizione?
«Il nostro è uno sport di squadra e le rivalità personali lasciano il tempo che trovano. La sfida Kate contro Paola non fa vincere le partite».
Compagne, non amiche, giusto?
Antropova: «Non è necessario essere amiche in una squadra, l’importante è lavorare per il bene comune».
Anche perché in Nazionale ne giocherà solo una.
«Io darò sempre il massimo, in allenamento e in partita. C’è il c.t. per queste scelte. Di sicuro, per la maglia azzurra sono disposta a fare tutto ciò che l’allenatore mi chiederà».
Tornando alla Russia, come vive l’esclusione delle squadre russe dalle competizioni internazionali?
«È un discorso molto complicato, ma non capisco come nel mondo possano esserci conflitti che non sia possibile risolvere col dialogo. Sarò anche infantile da questo punto di vista, ma ho sempre creduto nell’arte della parola. E non mi capacito del fatto che debbano essere gli sportivi, in questo caso, a pagare per le azioni di altre persone».