CRAZY BUL (LEE) – MANGA E TECNOLOGIA D’AVANGUARDIA: ALLA HAWYARD GALLERY DI LONDRA LA PRIMA, FANTASCIENTIFICA RETROSPETTIVA IN GRAN BRETAGNA DELL’ARTISTA CONTEMPORANEA SUDCOREANA – L’INSTALLAZIONE KARAOKE, L’OSSESSIONE PER I CYBORG E L'OPERA ICONICA DELLA MOSTRA: lL GRANDE DIRIGIBILE STILE "ZEPPELIN"
LEE BUL è un'artista nata in Corea del Sud nel 1964 (è della stessa generazione del più noto Do-ho Suh) da una famiglia di intellettuali di sinistra. Da sempre all'interno delle dinamiche dell'Arte Relazionale realizza lavori politicamente impegnati e vicini alle tematiche del femminismo coreano. Forse non è conosciutissima al grande pubblico italiano ma certamente è ben "piazzata" sul mercato: il suo lavoro è rappresentato in Europa da Thaddeus Ropac e negli Stati Uniti da Lehmann Maupin, due gallerie indubbiamente di peso.
Il suo percorso ha iniziato a diventare significativo negli anni 90 con una esposizione al MoMa di New York nel 1997 e una presenza alla Biennale di Venezia nel 1999. Questa alla Hayward Gallery è la sua prima importante esposizione in Gran Bretagna, ed è curata da Stephanie Rosenthal. Uno dei suoi motti è molto eloquente: "Il corpo è un campo di battaglia dove le questioni sociali e politiche si incontrano/scontrano". Le sue performances (che diventano poi anche dei video) sono radicali e dirette come un pugno nello stomaco.
"Abortion" (1989) mostra un gruppo di persone (provviste ironicamente di lecca-lecca per addolcire l'amara esperienza) mentre vengono bombardate di canzoni Pop, poesie e descrizioni delle esperienze cliniche personali dell'artista precisamente legate all'aborto. "Sorry for suffreing - You think I'm a puppy on a picnic ?" (1990) fa vedere Lee Bul con addosso uno stranissimo costume mentre si aggira goffamente per le vie del distretto finanziario di Tokyo provocando stupore, disprezzo e sconcerto. Le sue installazioni sono complesse e decisamente imprevedibili ed è anche eccezionalmente brava nel trovare sempre dei magnifici titoli per le sue opere.
Mescola aspetti della cultura Manga (Giapponese), forme naturali, elementi tradizionali coreani, tecnologia d'avanguardia e una moltitudine di materiali quasi infinita. Non manca niente: dalla seta a tutti i possibili tipi di plastiche, dal metallo ai led, dal legno di riporto alle resine sperimentali. "Civitas Solis" (2014), ispirata dall'omonimo libro del filosofo calabrese Tommaso Campanella, ricrea simbolicamente una destabilizzante e desolata landa ghiacciata con intorno acqua e fiamme virtuali. Tutto è dichiaratamente finto, disarticolato e posticcio ma non per questo meno forte sul piano emotivo. Proprio l'idea di un certo grado di scontrosa "artificialità" avvolge tutto il suo lavoro e anzi ne diventa, in un certo senso, il manifesto programmatico. "Majestic Splendor" (1991-2018) è una curiosa e macabra installazione che vede una serie di pesci, lussuosamente addobbati con perle e gioielli, marcire lentamente in uno spettacolo di coinvolgente e puzzolente decadimento. Certamente Body Art (nel senso del corpo del cefalo).
Uno dei lavori più intriganti alla Hayward è "Live Forever III" (2001). Una specie di capsula in vetroresina che assomiglia ad una lucida auto scoperta di stile avveniristico e il cui interno è arredato come un salottino di velluto (no, anzi sembra quasi l'interno di una gondola veneziana....). In realtà è una postazione dove a turno i visitatori possono entrare e fare l'esperienza del Karaoke. Dei video sono proiettati sulle pareti intorno. Ricorda una discoteca da fantascienza (un po' da incubo) con frammenti di realtà schizzati disordinatamente qui e là. L'artista è anche ossessionata dalla figura del "Cyborg" (un essere umano a cui sono state sostituite una o più parti del corpo con parti funzionanti artificiali). Molte sue installazioni in mostra hanno a che fare con questa immagine, direttamente o indirettamente.
Forse un tema già noto e dibattuto, ma qui elaborato visivamente con una personalità e un carisma di notevole spessore. Vari tipi di creature semi-artificiali penzolano dai soffitti delle sale come tecnologici vampiri in agguato. Curioso e disturbante (nella maniera giusta). Un altra frase cara a Lee Bul è: "Quello che mi interessa di più è come la gente del passato ha immaginato l'utopia del futuro". La scultura "Bunker" (2007) potrebbe essere la traduzione visiva di questa idea: una caverna sintetica dove un paesaggio sonoro racconta la vita del saggio Yi Gu, l'ultimo imperatore della Corea (la Corea è una repubblica - anzi due - dal 1948). Sembra una faccenda che si svolge su un altro pianeta tra alieni eruditi: sicuramente non banale. Il senso: Tradizione + Utopia = Futuro. L'artista collabora attivamente con diversi architetti perchè da parecchi anni è affascinata dal paesaggio delle città.
Alcune sue opere in mostra vertono proprio sulle contraddizioni e le speranze del vivere urbano: architetture e paradossi cittadini. Ricordiamo "After Bruno Taut" (2013) un omaggio quasi mistico al grande architetto tedesco (maestro insuperato di utopie architettoniche alpine) e "Sternbau N. 2" (2007) dove immaginari paesaggi occidentali interagiscono con immagini tipicamente orientali. L'opera decisiva ed iconica della mostra è senza dubbio "Be Vulnerable - Metalized Baloon" (2015). Di fatto un grande dirigibile - stile Zeppelin - che fluttua ad una certa altezza. E' tutto ricoperto di stagnola (devo onestamente dire che questo aspetto fa ricordare piuttosto da vicino il lavoro dell'artista svizzero Thomas Hirschhorn). Sembra sull'orlo di esplodere (o sgonfiarsi) da un momento all'altro: appunto fragile e vulnerabile. Ha pensato anche ad una opera per i bagni della galleria dal titolo "Artoilet". Idea senz'altro carina, non straordinaria vista nella realtà. Un'arte globale, seria e visionaria quella di Lee Bul. Ma anche un surreale ed eclettico manuale di cultura coreana contemporanea dove la tecnologia è la nuova mitologia.