L’ANTIPATICO VINCENTE - DA BERLINO ALLA CINA, LIPPI DICE ADDIO ALLA PANCHINA - AMATISSIMO DAGLI JUVENTINI E DETESTATO DA TUTTI GLI ALTRI, NON HA FATTO MAI NULLA PER MOSTRARSI SIMPATICO MA HA VINTO TUTTO: 5 SCUDETTI, LA CHAMPIONS E IL MONDIALE 2006
Fabrizio Bocca per “la Repubblica”
Dopo esser stato sbatacchiato per aria da Gilardino e Diamanti, e soprattutto dai cinesi del Guangzhou Evergrande — che se dicessimo Canton saremmo tutti assai meno stupiti di dove abbia passato gli ultimi due anni e mezzo il nostro — Marcello Lippi si è aggiustato la tuta e ha detto con quel tono serio che incute soggezione: «Basta, non allenerò più, presto farò 67 anni, sto invecchiando».
Cederà il posto probabilmente a Fabio Cannavaro, suo luogotenente ai Mondiali 2006. Lo ha detto mentre festeggiava il terzo scudetto consecutivo della squadra con cui ha deciso di chiudere la carriera in panchina. Che va dal Pontedera alla Cina, e già questo fa capire quali e quante strade abbia aperto il calcio oggi.
Quando chiuse come calciatore 30 anni fa faceva il libero nella Samp, ruolo preistorico ormai estinto, per finire a fare il Marco Polo del football. Lo avevano preceduto altri tipo Materazzi Sr., ma insomma fra le spedizioni non c’è nemmeno confronto. Il Guangzhou Evergrande è finito per metà nelle mani del boss di Alibaba, l’Ebay d’Oriente ma ora mondiale, e paga senza battere ciglio parecchi milioni di euro calciatori europei, brasiliani e pure qualche solenne scarpone.
E a Lippi qualche decina di milioni per la scomodità di soggiornare a Canton invece che a Viareggio, con la sua comunità-staff (Pezzotti, Maddaloni, Rampulla, Gaudino, Del Rosso, Castellacci, Cotti, Innocenti), un’intera Little Italy in una megalopoli di 13 milioni di abitanti.
Tra la partenza a Pontedera e l’arrivo a Canton ci sta l’epopea dell’allenatore col toscano in bocca — Lippi sta al sigaro come Bearzot alla pipa, Zeman e Scopigno alla sigaretta, Ferguson al chewing gum — che prima riporta la Juve alle glorie perdute, lì dove cioè non si vedeva più uno scudetto da 9 anni, e poi porta addirittura l’Italia a vincere il suo 4° mondiale, 24 anni dopo il precedente. L’Italia del ‘34 fu di Meazza, quella del ‘38 di Piola, quella del 1982 di Paolo Rossi, quella del 2006 di Marcello Lippi, una spanna più in alto di qualsiasi giocatore (Cannavaro compreso).
Lippi conquistò quel mondiale e sbatté la Coppa in faccia a un mondo che, nel caos di Calciopoli, lo aveva messo nel mirino non tanto per la targa Juventus, ma soprattutto per il figlio e per la sua strettissima vicinanza alla ditta Moggi & Giraudo, il Gatto e la Volpe del grande scandalo. E infatti se ne andò.
Gli juventini collocano Lippi in una sacra Trimurti ideale insieme a Trapattoni e Conte, che in comune con lui hanno o hanno avuto il protagonismo, il carattere forte e il timbro di continuità del calcio all’italiana. A tutti gli altri, ai non juventini, Marcello Lippi è o è stato sullo stomaco, perché ha vinto tantissimo, e anche perché non fa molto per mostrarsi cordiale e simpatico. “Il cattivo vincente” è un ruolo che gli è sempre piaciuto, e con l’“io contro tutti” ha portato a casa tutto quello che c’era da portare.
MARCELLO LIPPI JUVENTUSMARCELLO LIPPI
Ha allenato due volte la Juve e due volte la nazionale. Entrambi i ritorni non furono onusti di trionfi quanto le prime esperienze. Però lo scudetto vinto dalla Juve il 5 maggio 2002 a Udine, mentre l’Inter che già sognava il trionfo veniva bastonata dalla Lazio e finiva terza, è l’apoteosi biblica della juventinità lippiana. Ancora oggi oggetto di studio. Il 5 maggio è la morte di Napoleone e il 28° scudetto della Juve. Ecco, uno dei caratteri distintivi nei grandi trionfi di Lippi è che c’è sempre un filo di sadismo. Che unisce Ronaldo in lacrime e Zidane che chiude la carriera con una testata a Materazzi.
Avrebbe voluto vincere tanto anche lontano dalla Juve e dalla Nazionale, la Cina ha solo in parte appagato questo suo desiderio, ma lo straordinario metodo Lippi, talmente forte e personalizzato, non è mai stato facilmente esportabile. La sua avventura all’Inter si chiuse a Reggio Calabria col famoso monologo: «Mi vergogno della squadra, se fossi il presidente prenderei tutti a calci nel culo». E infatti fu lui il primo.
Il Lippi bis in nazionale culminò in un delirio di onnipotenza autodistruttiva che lo portò ad affondare con tutta la squadra spompata del 2006. E del resto lo si era capito quando si era presentato al Festival di San Remo 2010 per sponsorizzare — senza dire nulla alla Federcalcio — “Italia Amore Mio” di Pupo, Luca Canonici ed Emanuele Filiberto. Un momento tristissimo.
“I cavalli si contano al palo, Johnny”. Ora che l’avventura da allenatore è chiusa, trova compimento la citazione western che lui rese famosa anche più di “Quando un uomo con la pistola incontra un uomo col fucile, quello con la pistola è un uomo morto” (Clint Eastwood). Il Paul Newman del calcio italiano — accostamento che ha sempre detestato — ha vinto 5 scudetti, una Champions (e 4 finali), un’Intercontinentale e un Mondiale. E 3 scudetti in Cina, che in tutta onestà vanno messi in una contabilità a parte.
Basta allenare, farà il grande saggio che veglia su Cannavaro, anche perché il contratto garantisce altri milioni fino al 2017. Nella Little Italy di Canton non si soffre di nostalgia.