“LA LEGA E’ PRIVA DI REGOLE, OGNI VOLTA USCIVO DALLE ASSEMBLEE CON MAL DI TESTA VIOLENTI” – L’EX PRESIDENTE DI LEGA DI SERIE A, GAETANO MICCICHÈ: “ALLE ASSEMBLEE URLAVANO E SI INSULTAVANO TUTTI. LA RESPONSABILITÀ DI VENDERE I DIRITTI TELEVISIVI, FAR ENTRARE O MENO I FONDI DI PRIVATE EQUITY O RIFORMARE I CAMPIONATI DOVREBBE ESSERE DI ESCLUSIVA COMPETENZA DELLE BIG" – E SUL CASO PREZIOSI…
Daniele Dallera,Monica Colombo per il "Corriere della Sera"
È reduce da notti insonni ma non tradisce segni di stanchezza. «Ho puntato la sveglia per seguire i successi olimpici di Pechino. Non mi sono perso l'argento di Sofia Goggia, ho fatto il tifo per lei». Gaetano Miccichè, al lavoro nel luminoso ufficio che si affaccia sulla Scala, pur essendosi dimesso dalla presidenza della Lega di serie A nel novembre del 2019, non smette di interessarsi allo sport.
Certo, un conto è applaudire le medaglie degli atleti azzurri e commentarle all'alba con Giovanni Malagò («ci conosciamo da tanti anni, siamo molto amici anche se ci incontriamo purtroppo raramente»), un altro è rivangare i veleni e i contrasti dei venti mesi in cui fu alla guida del consesso più litigioso d'Italia.
Ma Miccichè vola alto, è un atteggiamento che non gli appartiene. Confida il Chairman della Divisione IMI Corporate&Investment Banking di Intesa Sanpaolo, l'uomo che nel 2021 ha guidato l'operazione di assorbimento di Ubi nel pianeta del Gruppo Intesa: «Se ripenso a quel periodo della Lega serie A, il mio sentimento è ambivalente. Umanamente è stata una fase splendida della mia vita professionale: ho avuto l'opportunità di conoscere gruppi di lavoro, rappresentanti venti realtà territoriali differenti, ciascuna con la propria storia sportiva. Ho cercato di fornire il mio contributo in maniera onesta, partendo dalla consapevolezza maturata in cinquant' anni di carriera: nelle aziende ci sono comportamenti standard da seguire, avere bilanci in ordine, una governance chiara, deleghe definite». Elementi che non sembrano essere i tratti caratteristici di un club di A.
«Ecco perché devo confessare che, oltre all'entusiasmo, l'esperienza mi ha procurato grande fatica. È un ambiente che manca totalmente di regole». Fra colpi bassi, interessi di bottega e ripicche la Confindustria del pallone, dopo aver ripudiato anche Paolo Dal Pino, è di nuovo alla ricerca di un presidente.
L'avventura di Miccichè alla guida della A inizia dopo uno scambio di messaggi con il numero uno del Coni: «Anche durante le Olimpiadi invernali in Corea del 2018 mi complimentavo in tempo reale per i risultati; tornato Malagò in Italia ci vedemmo a pranzo a Milano».
La missione Lega ha un avvio promettente: «Il giorno in cui mi elessero all'unanimità, Malagò alle 7 di sera mi chiamò per invitarmi a raggiungere i presidenti che mi aspettavano».
Durante il mandato Miccichè si ritrova a gestire il caso Mediapro e favorisce l'ingresso di Dazn fra i broadcaster che trasmettono il campionato: la vendita dei diritti tv 2018-2021 si attesta sui 973 milioni di euro. Dirige con autorevolezza le assemblee, tanto che le delibere vengono tutte approvate all'unanimità finché le dichiarazioni di Enrico Preziosi al sito Business Insider mettono in dubbio la correttezza della procedura di elezione avvenuta nel marzo del 2018 e che, secondo statuto, sarebbe dovuta avvenire a scrutinio segreto e invece fu per acclamazione.
«Rimasi stupito perché Preziosi di persona mai aveva pronunciato una sola parola di insoddisfazione nei miei confronti». È l'inizio della fine. La procura della Repubblica acquisisce le schede riposte in cassaforte dal giudice Mastrandrea, e anche la procura federale apre un'inchiesta. «Gravina mi disse che per legittimare il mio incarico i club avrebbero dovuto a distanza di oltre un anno e mezzo ripetere la votazione. Lo considerai inaccettabile, peraltro sulle schede 19 voti erano per Micciché e sulla restante c'era la scritta "Va bene" accanto al mio nome cancellato».
Qual è dunque la medicina per guarire il mondo del pallone?
miccichè e giorgetti foto mezzelani gmt
«Condivido il ragionamento di Gabriele Gravina sullo statuto e le maggioranze. Vedete, l'anomalia della Lega è che club con fatturati, stadi e seguito diversi fra loro hanno gli stessi diritti. Ma la responsabilità di vendere i diritti televisivi, far entrare o meno i fondi di private equity - strategia che peraltro approvo in pieno -, o riformare i campionati dovrebbe essere di esclusiva competenza delle big.
Le regole fondamentali devono essere delegate alle società di maggiori dimensioni in modo tale da riconoscere un beneficio economico maggiore alle medie e piccole società. L'assemblea si dovrebbe riunire una volta l'anno e negli altri casi delegare al consiglio le altre decisioni».
Resta da capire perché, dopo la lunga permanenza di Maurizio Beretta, manager di successo non hanno resistito più di due anni nei corridoi di via Rosellini. «Non si sopravvive perché non vengono assegnati mandati chiari e non c'è un azionista di riferimento. Uscivo da ogni assemblea con un mal di testa violento: non era facile dirigere le riunioni tra presidenti che urlavano, altri che pensavano ai fatti propri e altri ancora che si scambiavano insulti. Però, se un sistema non funziona, chi lo rappresenta maggiormente e penso ai grandi club, ha più responsabilità degli altri».
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