MIO MARITO, STEFANO BORGONOVO, IL PIU’ FIGO DI TUTTI (“ANCHE DI BECKHAM”) – LA BATTAGLIA CONTRO “LA STRONZA”, I BACI “ANCHE NEGLI ANNI DELLA LINGUA IMMOBILE”, L’AMORE (“SE C’E’ STATA UN’ALTRA DONNA NON VENIRE A DIRMELO IN SOGNO”): IN UN LIBRO I RICORDI DI CHANTAL, LA MOGLIE DELL’EX ATTACCANTE SCOMPARSO NEL 2013 PER LA SLA – LA LETTERA DI ROBERTO BAGGIO ALL’AMICO
Caro amico, eravamo una formula magica
Lettera di Roberto Baggio a Stefano Borgonovo pubblicata da Il Venerdì-la Repubblica
Caro Stefano, il tuo viaggio celeste è da tempo iniziato e mi auguro che sia per te ricco di luce e di serenità.
Affinché la tua valorosa battaglia possa essere d' aiuto alla ricerca e possa soprattutto donare sostegno per chi lotta e chi soffre, la tua amata sposa Chantal, una grande donna, ha scritto un libro. Leggendolo, mi sono ritrovato con una penna tra le mani, quando un tempo era il pallone a unirci: un pallone che faceva girare i nostri sogni e il nostro futuro.
La passione che leggevo nei tuoi occhi, unita a quel tuo sorriso gioioso e scanzonato, era la nostra via dove incontrarci.
Quello che ci univa era una formula magica, passata alle cronache sportive come "B&B": tu ed io a correre nello spazio, sapendo dove ci saremmo incontrati per un assist o per un goal.
Quel tuo spazio oggi è chiamato da molti Paradiso, da altri Eternità, oggi per me è «la tua porta nel cielo»!
Sempre ci ha uniti, ci unisce e ci unirà la nostra sincera amicizia. Sei lontano ora, eppure Chantal e i tuoi meravigliosi figli ti sentono, come del resto chi ti ha amato e ti ha voluto bene, così vicino da poterti ascoltare!
Forte e potente arriva ai nostri cuori la forza e la tua formidabile sfida alla «Stronza», così hai voluto chiamare la malattia che ti ha portato con sé. Non sapeva, la «Stronza» quale avversario avesse scelto! Non immaginava, la «Stronza» di trovarsi a marcare un attaccante vero, un guerriero che fino all' ultimo ha saputo incoraggiare e sostenere chiunque!
Caro amico mio, hai saputo offrire un esempio valoroso di come si possa, seppur privati della voce e del movimento, essere fino all' ultimo un grande padre e un marito grande. Quando ti penso, sono infinite le immagini che mi scorrono davanti agli occhi, così come sono scintillanti i ricordi che ci legano.
Come sai, non amo molto raccontarmi e prediligo l' intimità all' esternazione, motivo per cui quelle immagini e quei ricordi preferisco custodirli nel mio cuore come un prezioso tesoro da proteggere all' usura del tempo.
Allora ecco che questa mia lettera vuole essere solamente un "soffio" leggero e non per questo priva della sua forza, per far giungere a te, mio caro amico per sempre, il mio più profondo rispetto e tutto il mio affetto.
Ti voglio bene.
la lettera.
MIO MARITO BORGONOVO IL PIÙ FIGO DI TUTTI
Angelo Carotenuto per Il Venerdì di Repubblica
Certe vite si sconvolgono in sordina, le tragedie si fanno annunciare da dettagli che paiono trascurabili. La vita di Chantal Guigard cambiò quando le consonanti pronunciate da suo marito iniziarono a incepparsi. Prima la "r" poi la "t" e dopo la "f". Che sarà, niente, forse lo stress. Invece era la Sla, sclerosi laterale amiotrofica, da quel giorno in casa detta «la stronza» perché «i malati diventano sottili, figure di carta, fili» e quando la Sla entra in una famiglia «nessuno si salva, nessuno rimane immune».
Chantal è all' epoca una donna quarantenne, sposata da venti e innamorata da sempre di Stefano, che di cognome fa Borgonovo e di mestiere faceva gol, tanti, per la Fiorentina, per il Milan, in Coppa dei Campioni, con la Nazionale, e poi in un calcio più piccino perché questo è il ciclo naturale, si parte, si sale, si scende. Chantal era stata «una bambina silenziosa». Racconta al telefono: «Osservavo molto, ero curiosa. Mia madre mi definiva con due parole: "lei legge". Come a dire che me ne stavo con la testa tra le pagine, persa, era la mia tana. Avevo poche cose, quelle giuste, poche e sudate. Sono cresciuta in modo diverso da come poi avrei tirato su i miei figli. Papà era un impiegato e poiché portavamo questo cognome francese per via di un bisnonno della Lorena, decise che noi figli dovessimo tutti avere un nome straniero.
Così io sono Chantal, mia sorella Yvonne, mio fratello Alain».
Chantal aveva sposato Stefano molto presto, lei poco più che una ragazzina di Giussano, lui giovane promessa del calcio, persi uno per l' altro dopo un bacio al caffè a una festa. Sapevano bastarsi. Lo aveva sposato in una chiesa piccola e tenuta nascosta alla folla, un po' per la fede di lui, credente in Dio ma non solo («credeva nelle cose belle e in quelle giuste, credeva nel bene, credeva nel calcio, nei minuti di recupero pieni di possibilità, credeva nel quotidiano e nell' eterno, credeva nell' amore e credeva in noi») ma pure perché «non si può stare insieme una vita senza l' aiuto di qualcosa di magico». Questa lunga catena di attimi uno accanto all' altra, dagli stadi al respiratore automatico, sono raccontati con potenza rara in Una vita in gioco scritto con Mapi Danna (Mondadori Electa), in uscita il 19 settembre, a quattro anni dalla morte di Stefano e a nove di distanza da una partita a Firenze, dove l' idolo Borgonovo si mostrò a 27 mila persone sulla sua sedia a rotelle, accanto agli amici Baggio e Maldini, potendo ormai muovere solo gli occhi.
Con gli occhi, strizzandoli, aveva comunicato ai medici il suo consenso a rimanere in vita grazie a una macchina, un sì che fu come un altro matrimonio. Con gli occhi, puntandoli su una tastiera, ha continuato a chiamare con voce sintetica la sua Cha, restando acceso, prima nascosto al mondo e poi esposto, passando «dal vuoto pneumatico al circo», lui e la sua donna («mi sentivo Rambo e Cenerentola»), «due fighi guerrieri», le colonne «di una famiglia anomala, elastica, incasinata, piena di sfumature, nodi e spigoli», con quattro figli costretti a crescere in fretta e la mamma di lui un giorno allontanata perché non reggeva il dolore: «L' ho chiusa fuori di casa. Non le ho mai più permesso di entrare».
Gli stessi occhi dentro cui fino all' ultimo giorno Chantal scrive d' aver trovato desiderio e attrazione fisica: «Il bacio di Stefano è cambiato nel tempo, da luna park a roccaforte, ma è rimasto vivo, intenzionale, anche negli anni della lingua immobile. Usava le pupille, mi baciava più profondamente di prima». Loro che un tempo facevano l' amore due volte al giorno, «continuavo a sperare di piacergli, volevo che mi amasse e non ho mai smesso di restargli fedele. Ero giovane, piacevo, ma nessuno piaceva a me». Neppure Beckham, che un giorno si presenta a casa in tutto il suo splendore, e alla fine fa pensare a Chantal che «Stefano è sempre il più figo».
La storia dei Borgonovo - Stefano e Chantal, Chantal e Stefano - è esplosiva perché non è esemplare. Non sono disegni di Peynet. C' è lui che la molla in strada dopo una sfuriata. «Quando decidevo di essere irritante, precisa, soffocante, ci riuscivo alla meraviglia. Venderei tutto per avere un frammento di quella tensione». C' è la freddezza di lei perché Stefano da Udine non torna a casa per mesi e quando si decide, «non poteva arrivare splendente e pensare di trovare una geisha. Non è delle geishe desiderare, io invece desideravo e lui si era sottratto».
Lei, Chantal, che si mette in viaggio e lo raggiunge perché un amico al telefono le accende in testa una spia, ma non chiede, non domanda, «non perché non fosse importante per me sapere se davvero ci fosse stata o se stava per esserci un' altra donna. Non avrei retto all' immaginazione, alla visione di lui con un' altra». Non ha voluto saperlo, «mi commuove l' idea che una notte, di mille anni fa, forse, abbia fatto lui qualcosa di ingiusto e, se fosse stato, spero che gli sia piaciuto». E ora scrive: «Non venire a dirmelo in sogno». Una vita da nomadi, da calciatori, traslochi, affitti, scuole private per i bambini e non per snobismo, ma perché alle pubbliche non hai fatto la pre-iscrizione quando non sapevi che stavano per venderti. «Le mogli dei giocatori hanno una grande responsabilità. I calciatori professionisti rinunciano alla leggerezza, all' inadeguatezza, al poter essere insicuri, complicati, alla ricerca di se stessi, come sarebbe di diritto per qualsiasi diciottenne».
Questi sono stati Stefano e Chantal, e lo sono ancora. Una Fondazione porta avanti l' impegno contro la Sla, malattia che tra il 2004 e il 2008 ha contato 43 casi tra gli ex giocatori italiani. Per l' abuso di antinfiammatori, si dice, per lo stress, i pesticidi nell' erba. Per questo si leggono parole amare verso la Federazione internazionale (la Fifa). «Non accetto che non mi aiuti, ho incontrato il suo presidente Infantino, mi ha dedicato del tempo, ma con tutti i mezzi economici di cui dispone, il calcio non può non fare chiarezza, fosse anche per escludere un nesso. Eppure il mio nipotino di sette anni gioca a pallone, nella scuola calcio di Stefano, e ce lo mando tranquillamente. Quando c' era Stefano, il calcio era lui. Ora sono informata ma mi fa male guardare una partita».
Chantal confessa che ci sono giorni in cui tra le mani stringe certe vecchie foto.
«Il primo anno senza Stefano ho quasi solo dormito, il secondo ho quasi solo mangiato, il terzo non sapevo cosa fare».
Il giorno in cui la trachea di Stefano collassò, era a 208 chilometri di distanza.
Non si allontanava da mesi. Era andata a Zogli, a sistemare la casa per portarlo in vacanza. «Speravo di accompagnarlo fino all' ultimo, non ci sono riuscita, con il tempo mi sono detta che è stato meglio ricevere una telefonata da mia figlia anziché essere stata costretta a farla io».