MONDIALI AL VIA, L'IMPORTANTE E' NON PARTECIPARE BY MICHELE SERRA: L'ITALIA NON C'E'. POTREMO ASSISTERE ALLE PARTITE SENZA RISCHIARE IL COCCOLONE. CE NE SARÀ PER TUTTI I GUSTI, DALLA RUSSIA CON PUTIN IN TRIBUNA AI SAUDITI DEI QUALI POTER DIRE SGHIGNAZZANDO, “I SOLDI NON BASTANO”, FINO AI TEDESCHI FORTI E NOIOSISSIMI'
Michele Serra per il Venerdì-la Repubblica
Sospetto che sia deludente la maglia di Panama, un rosso tinta unita già molto visto, con risapute spalline blu. Dalle esordienti, specie se tropicali, mi aspetto sempre un tono cromatico esagerato, diciamo non classico, qualcosa che innovi e magari un poco scandalizzi. Non c' è una vera ragione che giustifichi questa mia idea balorda, secondo la quale il calciatore di Trinidad o di Addis Abeba deve avere per forza qualcosa di variopinto, di esotico.
È solo uno dei tanti, innocui, festosi pregiudizi geopolitici con i quali ci si abbandona felici ai Mondiali di calcio, allontanando dalla cerchia di amici l' abbonato a Limes, il troppo politicamente informato, insomma quello che rischia di interrompere quella visione infantile e salgariana del mondo (da figurine Liebig prima ancora che Panini) che dall' infanzia alla senilità accompagna i milioni, ma che dico milioni, i miliardi di aficionados di questo prodigioso raduno mondiale di maglie e di facce che giocano tutte allo stesso gioco.
Tutto il sapere tecnico-tattico conta per la critica e per la cerchia, tutto sommato ristretta, dei calciofili che conoscono approfonditamente quella lingua. Il resto del mondo assiste allo spettacolo come se sfogliasse un grandioso Atlante Antropologico Terrestre, una sfilata di volti, di colori, di umori, di psicologie, di protervie, di sottomissioni, di fierezze, di furbizie, di attitudini alla lotta, alla vittoria e alla sconfitta, una solennità quadriennale paragonabile alle sole Olimpiadi e però molto meno dispersiva, molto più facile da seguire e da capire. Il politeismo olimpico mette di fronte a stranezze meritatamente o immeritatamente collaterali e minori - non so, il curling, il nuoto sincronizzato, il taekwondo, detto senza offesa alcuna per i valorosi praticanti - cose delle quali ci si può disinteressare senza sentirsi esclusi dal genere umano; mentre il monoteismo pallonaro è, come tutti i monoteismi, molto più basico e molto più inclusivo.
Dio è uno solo, il pallone che rotola nei campi di polvere magrebini e nei green pettinati dei college settentrionali è sempre Uno, il portiere è il portiere che sia di guardia a una porta regolamentare del Bernabeu o a qualunque altra soglia ritagliata nel vuoto da due sassi o due paletti o (nei tempi antichi) dall' Iliade e dal dizionario di inglese messi per terra, su qualunque selciato, nei minuti dopo la scuola.
Si ha un bel dire che non si vedono più i ragazzini giocare a pallone per la strada.
Intanto è vero solo per noi popoli ricchi, molto securitari e molto normatizzati, questo non si può fare e quest' altro nemmeno; mentre nel grande mondo le periferie pullulano di ragazzini che corrono dietro al pallone e in mezzo ai motorini, ai cani, alle vacche, ai camion (oltretutto noi abbiamo molti più palloni di loro, ma decisamente meno ragazzini). E poi, comunque, è lo sguardo (anche dei vecchi) che continua a correre dietro al pallone con immutata energia, ci si alza addirittura in piedi di scatto come per appoggiare l' azione di attacco, lo sguardo ficcato in uno schermo che per nostra fortuna diventa sempre più vero e ben definito.
Poi dice dei bambini di oggi vittime della playstation...
La nostalgia per il bianco e nero può valere per tutto quanto, certo non per i Mondiali di calcio. Enorme è la delusione di noi moderni di fronte a vecchi filmati (ma non vecchissimi: Cile '62 e Inghilterra '66, ero già nato e già calciodipendente) nei quali i calciatori sono ombre grigie che corrono su un campo incolore, il pubblico una quinta remota e sfocata, il pallone un punto più scuro confuso nel tutto, mimetico come una lepre tra le stoppie al crepuscolo. Invece - fortunati noi contemporanei! - la vivida emozione delle divise in alta definizione che ripetono tutta la gamma del Pantone, quella è quasi uguale a quella che si provava, da bambini, aprendo davanti all' edicola la bustina di figurine e scoprendo i colori delle maglie. A più di mezzo secolo di distanza ricordo ancora l' insensato favore con il quale estrassi dalla bustina la mia prima maglia del Lecco, a righe verticali blucelesti.
Che ci sia un rapporto goethiano, tra lo spirito umano e i colori, è comprovato da infinite esperienze e circostanze; ma lo stordimento, l' eccitazione che ancora oggi provo, quando escono le squadre dagli spogliatoi, alla vista dei colori delle maglie, è ineguagliabile, e ai Mondiali diventa una vera e propria estasi. La ritrovo in una mia vecchia poesia sulla maglia del Brasile scritta per Cuore (dunque dovevano essere i Mondiali del '94) della quale riporto pochi versi non per narcisismo, lo giuro, ma perché spiegano bene quello sto cercando di dire: "Oro! Oro brasiliano/ Giallo vivo, giallo lume/ Cocorita zafferano/ Con la cresta, con le piume/ Oro sudamericano/ Gibigiana nella selva/ Forse il becco di un tucano/ Le pupille di una belva".
EQUIPE - ITALIA NON SI QUALIFICA AI MONDIALI
So che simili estasi toccano molti e molte. Paolo Conte, da musicista, è innamorato a vita dell' Uruguay (inteso, ovviamente, come Nazionale di calcio) in seguito al suono di quel nome, che lo ha stregato per sempre dalla prima volta che lo ha udito. Mia madre ammirava molto le squadre in divisa bianca («gli unici davvero eleganti» diceva) e quasi litigammo in occasione di un antico Inter-Real Madrid.
Un mio amico veneziano è entrato in depressione quando il Venezia, in seguito alla fusione con la Mestrina, ha sfregiato il tradizionale nero-verde con una strisciata di vistoso arancione.
MARCA - ITALIA NON SI QUALIFICA AI MONDIALI
E poi, passando ai sentimenti più profondi, anche se quasi ugualmente arbitrari, c' è il novero, vasto e radicatissimo, del tifo diciamo così terzomondista, o poverista, che induce a una forsennata simpatia per le squadre con «zero tituli» quando a cospetto del Gotha; il Camerun ebbe centinaia di milioni di tifosi nel mondo, l' Islanda pure, quest' anno saremo tutti per il Senegal, il Marocco, il Costa Rica, l' Iran, con totale indifferenza al regime politico vigente, perché la faziosità poverista, nel calcio, ha necessità di sorvolare su minuzie come le tirannidi e le dittature. Quelle contano prima e dopo la partita, non durante.
Poi ci sarebbe questo dettaglio: che l' Italia non partecipa. Ma con l' approssimarsi del fischio d' inizio, francamente quella che era sembrata una tragedia nazionale, l' estromissione inaudita di una favolosa star senza la quale il cast diventava insignificante, promette di diventare un inconveniente facilmente superabile. Intanto perché si può assistere allo spettacolo con un certo distacco, senza rischiare il coccolone o lasciarsi andare alla penosa invettiva contro calciatori e cittì che segue ogni eliminazione. Qui l' eliminazione è già avvenuta, già tolto il dente. E poi perché nel nazionalismo c' è sempre un quid di patetico provincialismo - ditelo a Salvini - e i Mondiali di calcio sono, per antonomasia, il trionfo del global.
Ce ne sarà per tutti i gusti, dalla Russia padrona di casa, con Putin in tribuna («buuuu! buuuu!») ai sauditi dei quali poter dire sghignazzando, al novantesimo, «i soldi non bastano», ai sudamericani sempre geniali e nervosi, ai tedeschi costantemente forti e dunque noiosissimi. Ci saranno maglie, facce, azioni di gioco, gol, quasi gol, gente che piange, gente che esulta fino a essere Assunta in Cielo, quanti ne bastano per giustificare la grande vacanza quadriennale. Quando anche le donne concedono a noi maschi inebetiti dal tifo la loro generosa condivisione, per una volta diventano un poco meno serie anche loro e anzi, quando si tratta di commentare i colori delle maglie, e l' espressione delle facce, sono molto più ferrate in materia, e precise nei giudizi.
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