LA BELLE EPO-QUE DEL CICLISMO – NON SOLO PANTANI: DA ULLRICH A CIPOLLINI, NEL TOUR ’98 TUTTI I MIGLIORI FACEVANO USO DI EPO

Marco Bonarrigo per il "Corriere della Sera"

Campioni di urina vecchi di tre lustri ma analizzati solo 9 anni fa, quando le tecniche di laboratorio risultarono finalmente affidabili. E soltanto adesso i nomi, venuti fuori ieri, nella Bibliothèque Médicis del Palais du Luxembourg. Al Tour de France del 1998 c'era Epo nelle urine di 18 corridori: tra loro il trionfatore Marco Pantani (mai positivo a un controllo antidoping), il secondo classificato Jan Ullrich, tre velocisti-vedette come Cipollini, Zabel e Jalabert, l'ex iridato Olano, il cacciatore di classiche Andrea Tafi e altri due italiani, Minali e Sacchi.

Ma oltre a questa (attesa) lista, ieri la Commissione di inchiesta sul doping del Senato francese ne ha fatta trapelare una seconda: 12 corridori con urine pudicamente definite «sospette». Tra costoro 5 gregari italiani (Brignoli, Turicchia, Calcaterra, Minali e Zanini), Axel Merckx, figlio del cannibale Eddy, e il terzo di quel Tour, Bobby Julich.

Presentando il lavoro della Commissione (800 pagine di analisi, testimonianze e allegati) il senatore Jean-Jaques Lozach ha provato a spiegare che la ricerca ha scopi di prevenzione, che il problema del doping non riguarda solo il ciclismo ma tutti gli sport e che gli atleti implicati non rischiano sanzioni penali o sportive. Salvo poi, con buona dose d'ipocrisia, evitare di pubblicare la «lista nera» (che comprende solo ciclisti) facendola però arrivare alle agenzie di stampa e ai quotidiani transalpini.

Tra i «positivi» ci sono atleti che hanno già confessato in passato le loro colpe (Ullrich, Zabel e Julich), altri che l'hanno fatto ieri alla diffusione della notizia, come l'australiano O'Grady (appena ritiratosi dall'attività) o il francese Durand, che ha invitato a non confondere il «suo» ciclismo con quello attuale, molto pulito. Nessuno degli italiani coinvolti, invece, aveva o ha ammesso il doping o subìto sanzioni. In quel Tour de France i controlli si limitarono ai primi classificati di tappa e a rari atleti sorteggiati: l'idea è che se fossero stati effettuati a tappeto si sarebbero salvati in pochi

Ieri, a Roma, giorno del giudizio anche per 57 medici sociali del ciclismo (oltre un terzo di quelli di ruolo) deferiti alla Disciplinare della Federciclismo. Tra loro buona parte dei sanitari che lavorano con i team professionistici italiani e stranieri. Nella sua dura requisitoria, il procuratore Villani ha parlato di «carenze enormi nella gestione delle schede sanitarie e gravi violazioni della deontologia professionale di coloro che dovrebbero vigilare sulla salute degli atleti», preannunciando richieste di condanna pesanti per tutti gli accusati.

E la sostanza delle sue parole è confermata dal fatto che 18 medici si sono dimessi per evitare il giudizio e altrettanti non si sono nemmeno presentati agli interrogatori, andando incontro a sanzione certa. Di contro, l'agguerrita difesa di alcuni medici ha evidenziato molte incongruenze e «bachi» nel sistema informatico che gestisce la salute dei ciclisti italiani, che in teoria dovrebbe essere tra i più evoluti a livello Coni. Le richieste di condanna della Procura sono attese per oggi, sulla sanità federale s'indagherà molto presto.

 

 

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