“NON VOGLIO PIÙ UNA SQUADRA SIMPATICA MA UNA CHE VINCE” - COSÌ GONZALO QUESADA HA CAMBIATO IL RUGBY ITALIANO – CON LE VITTORIE CONTRO SCOZIA E GALLES, L’ITALRUGBY CHIUDE AL QUINTO POSTO NEL SEI NAZIONI - I MERITI DEL CT ARGENTINO CHE HA IMPARATO L’ITALIANO, A DIFFERENZA DEL PREDECESSORE CROWLEY. E POI HA INSEGNATO A GIOCARE ANCHE COI PIEDI, A ESSERE IMPREVEDIBILI - ALLA COLLEZIONE MANCANO 2 SCALPI: L’INGHILTERRA (MA CI SIAMO ANDATI VICINO ALL’OLIMPICO IL MESE SCORSO) E L’IMPOSSIBILE NUOVA ZELANDA. GLI ALL BLACKS VERRANNO A FARCI VISITA IN NOVEMBRE…
Massimo Calandri per la Repubblica - Estratti
«Cominciano a rispettarci, ma ancora non basta. Dobbiamo fargli capire con altri risultati cos’è il rugby italiano. E che questo, è solo l’inizio ». Michele Lamaro detto Mitch. Dopo una battaglia che promette di cambiare per sempre il destino di questo sport, il capitano azzurro confessa di essere meno emozionato di due anni fa, quando l’Italia in case del Galles ribaltò il risultato allo scadere grazie alla corsa folle e iconica di Capuozzo.
Questa volta l’Ange azzurro non c’era, ma i ragazzi hanno vinto ancora. A Cardiff, contro la nazionale gallese che da secoli scrive le pagine più belle della storia ovale perché quassù — raccontano — tutti i bambini sono nati o sono stati concepiti su un prato da rugby. Vinto? No, hanno dominato. Controllando l’incontro fin dal calcio d’inizio.
«Avevamo studiato la partita nei dettagli. Consapevoli della nostra forza. Sereni». Così dà ancora più soddisfazione, dice Lamaro. Ha ragione. Tre partite da campioni — il pari con la Francia, col palo che all’ultimo nega il trionfo; la vittoria sulla Scozia all’Olimpico, quella di ieri al Principality Stadium — non possono essere un caso. L’Italia ha celebrato il miglior Sei Nazioni di sempre. Da domani sarà all’8° posto nel ranking mondiale. Gli alti e bassi del passato — quando batteva il Sudafrica e poi perdeva con le Tonga, superava l’Australia e si arrendeva alla Georgia — sono finiti: ora siamo davvero nel paradiso ovale, seduti al tavolo dei grandi.
Non ce ne andremo tanto presto, con questa banda di ragazzini avventurosi. Cosa è accaduto dopo le tante “onorevoli sconfitte” del passato che bruciavano come sale sulle ferite? L’arrivo a gennaio di un nuovo allenatore, Gonzalo Quesada, ha incendiato d’entusiasmo una squadra reduce dall’ennesimo Mondiale fallimentare, appesantito da sconfitte imbarazzanti.
Quesada ha parlato al cuore di un gruppo giovane e talentuoso. Trasformandolo in una macchina che promette di andare sempre più forte. «È solo l’inizio», ripetono in coro. Oggi nessun traguardo sembra più irraggiungibile. Alla collezione mancano 2 scalpi: l’Inghilterra (quanto ci siamo andati vicino all’Olimpico il mese scorso) e l’impossibile Nuova Zelanda. Impossibile? Gli All Blacks verranno a farci visita in novembre. Ieri sera, durante il terzo tempo, i ragazzi hanno parlato anche di questo. Soprattutto di questo.
Quesada, cuore e passione Come c’è riuscito, Quesada? Intanto, ha imparato la lingua italiana.
Kieran Crowley, il tecnico precedente, comunicava solo in inglese.
Non che con quel ct neozelandese e aspro le cose andassero male, anzi: è stato proprio lui a sbloccare gli italiani, a far scoprire loro quanto era bello giocare un rugby d’attacco, spettacolare. Però coi complimenti non si va lontano: tutti avevano presto imparato i movimenti degli azzurri, che venivano regolarmente puniti in “contropiede”.
«Non voglio più una squadra simpatica. Voglio una squadra che vince». Gonzalo Quesada è argentino. Ha parlato direttamente al cuore dei ragazzi: «Ci ha fatto capire che quello — il cuore — è il muscolo più importante. La passione, quella capacità di sacrificio che solo noi italiani: ne siamo diventati consapevoli, orgogliosi», spiegano gli azzurri. Primo allenamento, a Verona, inizio gennaio: li raduna, spiega come si dovranno muovere per il campo. Camminando. Poi, li fa correre appena. Un pochino più veloce. Sempre più veloce. Il gruppo esce stremato, ma felice. «Attaccare con l’ovale alla mano è bello.
Però non possiamo essere prevedibili. Bisogna calciarla, quella palla: tutte le squadre più forti del mondo lo fanno, e noi?». Appunto. «Lo sapete qual è il miglior attacco?».
La difesa? «Esatto». È su quello, che si concentra: sempre in anticipo sugli avversari. «Ci ha detto che dobbiamo strangolarli», confessava l’altro giorno a Repubblica il pilone Danilo Fischetti. Quando poi la squadra ha il possesso dell’ovale deve essere «imprevedibile»: alternando i calci alle corse. Senza perdere la tenerezza: Quesada ha saputo unire questo gruppo, le lacrime di gioia di uno come Ioane (autore a Cardiff della meta iniziale) sono la prova.
L’identità italiana Ieri l’Italia ha gestito tutto l’incontro tranne i minuti finali, in cui il Galles ha segnato due volte ma ormai il match era in cassaforte. Le statistiche fanno impressione, sono quasi sempre dalla parte dei Dragoni. Territorio, possesso, periodo in attacco: tutto per loro. Gli azzurri hanno placcato il doppio delle volte, 215 a 108. Attenzione, però: hanno commesso la metà degli errori; rubato più del doppio dei palloni (7 a 3); guadagnato 914 metri contro 766, calciando. E ancora una volta, commesso 9 falli contro i 13 degli altri. Una squadra disciplinata, lucida, pronta a sfruttare gli sbagli degli avversari. E imprevedibile in attacco, certo.
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