
IL ‘NONNO’ CHE INVENTO IL TIKI-TAKA – ADIOS A LUIS ARAGONES, IL CT DELLA SPAGNA CHE VINSE EURO 2008 – RINUNCIÒ A RAUL E PUNTÒ SUL POSSESSO PALLA: DALLA SUA RIVOLUZIONE ‘ROJA’ NACQUE LA SQUADRA DEGLI INVINCIBILI
Francesco Persili per âDagospia'
Si comincia sempre dal nome. Le nazionali che hanno fatto la storia del calcio hanno tutte un nome che crea legame, appartenenza, suggestione. L'Uruguay è la âCeleste', il Brasile, la canarinha, l'Italia, gli azzurri, l'Argentina, l'albiceleste. Quando Luis Aragones arrivò nel 2004 sulla panchina della Spagna, aveva capito che quella nazionale aveva bisogno di un cambiamento. Sì, se puede.
«Mi piacerebbe che la nostra squadra trovi un nome, un'identità » ché la forma è sostanza. E âFurie Rosse', come veniva chiamata la selezione spagnola dai tempi della vittoria ai Giochi di Anversa del 1920 con Zamora, Belauste e Pichichi, stava diventando una camiseta troppo stretta. «La furia è uno stato d'animo, non uno stile di gioco, e chi non possiede uno stile proprio non crede a nulla, nemmeno a se stesso», la sentenza del âfilosofo' Jorge Valdano, bandiera del madridismo, coglieva il cuore della questione. L'ibrida geografia spagnola, poi, restituiva un limite, anche di cultura calcistica. In quel puzzle di piccole patrie prevalevano i regionalismi.
Tribù e mentalità diverse che impedivano a undici calciatori di pensarsi come squadra. Con Javier Clemente, prima, e Antonio Camacho, poi, in panchina la Spagna aveva mostrato sintomi di debolezza, confusione tattica e, soprattutto, paura del successo. Arrivò Aragones e capì che non bastava solo il carattere, la Furia. La proposta di chiamare la nazionale spagnola âRoja' non fu solo una abile mossa di marketing calcistico ma l'annuncio di un nuovo corso basato sul toque.
«Ci disse che tecnicamente eravamo i migliori» - ricorda Xavi, in lacrime durante il minuto di raccoglimento per Aragones - e ci convinse che quella era la strada da seguire». Si poteva vincere giocando bene, ora toccava dimostrarlo al mondo. Spettacolo e possesso palla, una nuova sintassi di gioco, il âtiqui-taca', il codice di accesso a una nuova dimensione calcistica che il Barcellona di Guardiola elevò a potenza. Ma l'ex tecnico blaugrana davanti ad Aragones si leva il cappello: âIl più grande, ha reso possibile ciò che sembrava impossibile'.
Scelte che fanno discutere ma che, come dice Carlo Ancelotti, hanno imposto «un nuovo modello di football al calcio europeo. Viene congedato tra mille polemiche Raul, il simbolo di un calcio spagnolo che però fino a quel momento non aveva vinto nulla a livello di nazionale. Fiducia a Xavi, Iniesta, Fabregas, Silva e Villa. «Contigo cambiò todo». La sintesi del quotidiano Marca in morte di Luis Aragones è il tributo che la Spagna riconosce al âNonno' che l'ha (ri)portata alla vittoria. Cambiò davvero tutto, quel giorno a Vienna. Europeo del 2008, quarti di finale contro l'Italia.
Dopo 88 anni dall'ultimo successo, ai Giochi di Anversa, la storia cambia. Le parate di Iker Casillas, che intuisce tutti i rigori, e respinge quelli di De Rossi e Di Natale, portano la Spagna in semifinale. Dopo l'intuizione di Marcos Senna, piazzato davanti alla difesa per dare equilibrio, Luis Aragones rivela di aver suggerito al portierone del Real Madrid (uno che, per intenderci, vinceva la Champions quando i suoi coetanei andavano ancora a scuola) come e dove gli azzurri avrebbero battuto i rigori. E pensare che quando lo chiamavano âEl Sabio' de Hortaleza, dal sobborgo in cui era nato, si schermiva: «Ma quale saggio, l'unica cosa che so è di non sapere nulla»
Senza contare come liquidò l'assenza di Gattuso: «Se lui è fondamentale per l'Italia, io sono un prete». Ma anche questo è parte integrante del personaggio che fu dannato dopo il siparietto con Reyes in allenamento: «Digli a quel negro di m...' a quel figlio di puttana che sei meglio di lui». Lo fece per motivare il suo giocatore atteso dalla sfida con Henry. Scoppiò un caso internazionale, Aragones fu multato e gli fu appiccicata l'etichetta di razzista. A nulla servì la difesa di Eto'o che la lezione del âNonno', Abuelo, come lo chiamava ai tempi del Maiorca non se l'è più scordata (e l'ha raccontata anche nel libro scritto con Pierluigi Pardo): «Sai cosa devi fare quando ti provocano e ti danno del negro? Tu gli rispondi: âSai che sta facendo tua moglie adesso?' Se quello ha mezzo dubbio gli hai rovinato la serata».
Schietto, scomodo, ruvido, anche troppo. Zapatones' (grandi scarpe) come lo chiamavano ai tempi dell'Atletico Madrid, giocò 11 anni con i colchoneros, vinse 3 campionati e da giocatore-allenatore anche l'Intercontinentale. In Spagna allenò 8 squadre diverse ma è sulla panchina della nazionale che fece il miracolo.
Dopo aver eliminato gli azzurri, âNonno' Luis porta la Roja vincere l'Europeo. Il centrocampo più forte del mondo, il tiqui-taca, e finalmente uno spirito di squadra. Arriba, arriba, Espana. Quei ragazzi che nel '99 avevano vinto il mondiale under 20 in Nigeria avrebbero conquistato anche il Mondiale nel 2010 con Del Bosque e ancora gli Europei due anni dopo. Un dominio incontrastato. «Ho preso una selezione, intendo lasciare una squadra», missione compiuta, Luis.
Il suo successore Del Bosque riconosce che il suo ruolo è stato fondamentale per aprire la strada ad una stagione di successi. Per Casillas «ha influenzato un'intera generazione e cambiato la storia del calcio spagnolo» costruendo il mito dell'Invencible Roja. Perchè, poi, cos'è il fùtbol? «Ganar, ganar y volver a ganar» Ok, si comincia dal nome ma poi si deve vincere. Signori, questo è il calcio di Luis Aragones, l'uomo che inventò il tiqui-taca.




