patty pravo stryx raidue

''PENSAVO DI TROVARE LA CARRÀ. INVECE HO SCOPERTO LA STORIA'' - FRANCESCO VEZZOLI SCAVA NELLE TECHE RAI PER UNA MOSTRA ALLA FONDAZIONE PRADA SUI 70 ANNI DELLA TV PUBBLICA: ''CERCAVO VESTITI INVECE SONO STATO TRAVOLTO DALLA NUDITÀ. COME PATTY PRAVO IN 'STRYX' CHE BALLA A PETTO NUDO. GLI UOMINI CHE DIVENTANO ACCESSORI, SI PARLA DI TRADIMENTO, E VUOI METTERE 'COM'È BELLO FAR L' AMORE DA TRIESTE IN GIÙ' RISPETTO A UNA HIT DI BEYONCÉ?''

 

 

 

 

 

Simone Marchetti per ''la Repubblica''

 

 

patty pravo stryx raiduepatty pravo stryx raidue

«Pensavo di trovare la Carrà. Invece ho scoperto la storia ». Francesco Vezzoli è un fiume in piena mentre racconta "TV 70: Francesco Vezzoli guarda la Rai", mostra che la Fondazione Prada aprirà a Milano dal 9 maggio fino al 24 settembre. Si tratta di un progetto concepito dall' artista in collaborazione con la Rai che analizza la produzione televisiva dell' emittente statale italiana negli anni Settanta.

 

Non solo spettacolo, intrattenimento, musica e cultura popolare. Ma anche moda, costume e donne che con la loro personalità e con i loro abiti hanno scritto un capitolo di emancipazione, potere e libertà d' espressione femminili.

 

patty pravo stryx raidue  patty pravo stryx raidue

«Il fatto più interessante è che io cercavo vestiti invece sono stato travolto dalla nudità. Come Patty Pravo in Stryx che balla a petto nudo, con uno smoking finto Saint Laurent, mentre urla "Johnny fammi la festa" e poi si scrive un punto di domanda glitter in mezzo ai seni. Se succedesse oggi si scatenerebbe l' inferno.

 

E che dire del mitico ombelico della Carrà, punto erogeno consumato a furia di nominarlo. Ci sono poi i look trasparenti di Cicciolina mentre racconta le fiabe ai bambini; Orietta Berti in Mila Schön; la Carrà latina che canta Pedro rappresenta l' iperbole dell' esotismo all' italiana. E ancora i glitter, le paillettes, le piume. Viale Mazzini è stato un incubatore di tendenze. Di più: quegli abiti non erano solo liberi, erano liberatori ».

 

francesco vezzoli guarda la raifrancesco vezzoli guarda la rai

L' analisi di Vezzoli abbraccia anche gli uomini che per la prima volta nella storia, non solo italiana, diventano accessori e finiscono dietro le quinte.

 

«C' è molto da riflettere sul rapporto tra Raffaella Carrà e Gianni Boncompagni o tra Mina e Corrado Pani. Erano storie d' amore moderne: gli uomini pigmalioni, complici, amanti; le donne dive e per la prima volta sole, senza il presentatore di rito, di fronte alle telecamere. Oggi abbiamo Beyoncé Jay Z: lui la tradisce lei scrive un album che ripropone uno schema antico. Mina, Carrà, Boncompagni e Pani affascinano ancora perché raccontano di uno sforzo di aprirsi ad altri percorsi e ad altre visioni. E poi, di fronte a un tradimento maschile, vuoi mettere Com' è bello far l' amore da Trieste in giù rispetto a una hit di Beyoncé?».

 

Non solo celebrazione ma anche critica: Boncompagni, recentemente scomparso, è stato criticato per la proposizione di un' estetica femminile non sempre progressista.

francesco vezzoli guarda la rai francesco vezzoli guarda la rai

 

«C' è da fare un distinguo. I grandi autori come lui sono specchi del paese in cui si trovano a vivere. Boncompagni è stato Alto Gradimento e Speciale per Voi ovvero una radio anti-potere che con Renzo Arbore metteva alla berlina le celebrità. Poi ha costruito la mitologia di Pronto, Raffaella? e del suo salotto decenni prima che l' America potesse pensare un' Oprah Winfrey. E Raffaella non era un' italiana conforme: non sposata, senza figli, dichiaratamente di sinistra, non certo cattolica conclamata. Che dire di Non è la Rai: era Instagram prima dei social network, una serie di fotografie sul vuoto di una scenografia a panorama. Tutto era luce, posa, pura immagine. In tre decenni Boncompagni ha consegnato al pubblico il ritratto del pubblico stesso».

 

raffaella carra'raffaella carra'

Fa effetto vedere nella mostra come il potere del piccolo schermo sia oggi ridimensionato da Youtube e dai nuovi protagonisti dell' in- trattenimento di internet e dei social network. «La ritualità della tivù anni Settanta non esiste più, né esistono le sue regole.

 

Adesso il mito si costruisce su Instagram. Sono due universi lontanissimi. Io non ho risposte a riguardo. Mi chiedo solo: quei grandi artisti televisivi hanno tenuto botta per decenni, oggi tutto passa in un attimo. Riusciremo a inventarci qualcosa di simile, qualcosa che sia meno effimero?».

 

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