QUEI MOSTRI DEL FOOTBALL AMERICANO - PUGNI ALLE FIDANZATE E MALTRATTAMENTI AI FIGLI: I GIGANTI DELLA NFL NELLA BUFERA MA SPONSOR E TV FANNO FINTA DI NIENTE. NESSUNO HA VOGLIA DI UCCIDERE LA GALLINA DALLE UOVA D’ORO (“C’È UNA SOLA SICUREZZA NELLA TV DI OGGI: LA NFL”)

Francesco Guerrera per “la Stampa

 

ray rice janay palmer  3ray rice janay palmer 3

Quando l’America si guarda allo specchio, l’immagine riflessa fa spesso paura.
Una società non naturalmente portata all’introspezione ha bisogno di scandali o di avvenimenti eccezionali - dallo sbarco sulla luna all’ assassinio di Kennedy all’attacco alle torri gemelle - per guardare a se stessa. Nelle ultime settimane, il football Americano, lo sport nazionale, ha fornito una sequela di notizie talmente choccanti da provocare un nuovo esame di coscienza.

 

È un  esame che passa per una telecamera a circuito chiuso in un ascensore di un casino di Atlantic City. Le immagini sono un po’ sfuocate ma non abbastanza da nascondere il pugno codardo e devastante di Ray Rice, una superstar del football, che manda la fidanzata contro la parete e poi al tappeto con un tonfo. Non abbastanza da nascondere il corpo tozzo e muscoloso di Rice mentre trascina la ragazza (che ora, incredibilmente, è sua moglie) fuori dall’ascensore. 

ray rice janay palmer  2ray rice janay palmer 2

 

L’esame continua con Adrian Peterson dei Minnesota Vikings, un altro eroe del football, che è stato accusato di aver picchiato il figlio di quattro anni con un ramo d’albero, lacerandogli le gambe. Le foto, che ora per fortuna su Internet non si trovano più, fanno venire le lacrime agli occhi.

 

Gli scandali sono raccapriccianti: giganti umani costruiti per giocare in uno degli sport più violenti del pianeta che si accaniscono su donne e bambini. Ma l’establishment di sponsor, televisioni e persino fans, non ha voglia di uccidere la gallina dalle uova d’oro.

ray rice janay palmer  1ray rice janay palmer 1

 

Il football Americano è un big business. In un’era in cui non esistono quasi più eventi di massa, dove la proliferazione di Internet, telefoni «intelligenti» e video-registratori elettronici consente a chiunque di guardare quello che vuole quando vuole, le partite della National Football League - la Serie A del football - sono uno dei pochi momenti in cui l’America si raduna davanti alla televisione senza tante distrazioni. Lo slogan della Nfl - «Together We Make Football», il football lo facciamo insieme - è un inno allo sport come simbolo unificante di una nazione enorme, eclettica e eterogenea.

 

«C’è una sola sicurezza nella televisione di oggi: la Nfl», mi ha detto di recente un veterano della pubblicità, che di solito si lamenta di come sia difficile raggiungere un pubblico sempre più inafferrabile.

 

Domenica scorsa, più di ventidue milioni di americani si sono seduti a guardare un match tra i San Francisco 49ers e i Chicago Bears. Quelle tre ore di mischie, passaggi e touchdowns sono state il programma televisivo più visto della settimana. 
È per questo che i networks americani pagano centinaia di milioni di dollari per diritti televisivi e gli sponsor aggiungono miliardi per mettere le facce e i muscoli dei vari Rice e Peterson vicino alla Pepsi Cola, al Gatorade e alle scarpe della Nike.

 

ray rice immagini videoray rice immagini video

Non è un caso che il fatturato annuale della Nfl sia quasi dieci miliardi di dollari, più di Facebook e Twitter messi insieme. E non è un caso che di fronte agli orrori degli ultimi giorni, la risposta degli sponsor sia stata patetica. Alcuni, ovviamente hanno deplorato gli attacchi. Indra Nooyi, la signora che è a capo della Pepsi, ha detto parole importanti sulla violenza contro le donne, condannando «il comportamento rivoltante» di alcuni atleti.
Ma solo un’azienda - gli hotels Radisson - ha fatto qualcosa di concreto, cancellando il contratto con i Vikings.

 

Gli altri si sono nascosti dietro ragioni legali e discorsi di circostanza, sperando che la tempesta passi e che il pubblico ritorni a occuparsi di statistiche, di quale allenatore verrà silurato prima di Natale e di chi vincerà il Super Bowl.
È facile dire che le botte di Rice e Peterson non sono indicative di un malessere più grande nella società americana. Basta sostenere, come hanno fatto in tanti, che il football è uno sport basato sulla violenza, dove il contatto fisico è obbligatorio e fondamentale. Non c’è da sorprendersi - dicono gli amanti della Nfl - se qualche volta i campioni si portano il lavoro a casa.

adrian peterson football adrian peterson football

 

Ma la risposta agli obbrobri recenti nasconde tensioni e problemi più gravi. Nessuno sport è senza peccato e non sarà certo l’Europa, con i suoi calcioscommesse e ciclisti dopati, a scagliare la prima pietra. Noi patiti dello sport accettiamo implicitamente che i nostri eroi della domenica non siano sempre degli stinchi di santi. Quello che non è accettabile, però, è che una società intera si rifuti di prendere atto delle sue debolezze per motivi economico-finanziari. In questo senso, l’America è peggio dell’Europa.
 

 

Se gli sponsor avessero condannato Rice e Peterson immediatamente, se la Nfl non avesse sospeso Rice per solo due partite (prima di vergognarsi e di sospenderlo a tempo indeterminato), se i Ravens di Baltimora non avessero aspettato mesi prima di licenziare Rice, e se i fan avessero smesso di guardare le partite, il messaggio sarebbe stato chiaro: in America, nel 2014, nessuno, nemmeno i semidei del football, può picchiare donne e bambini con impunità.

 

Indra Nooyi
Indra Nooyi

Vi risparmio prediche sul consumismo americano perché sono convinto che non sia un fenomeno nefasto, ma in questo caso, la voglia di consumare «prodotti», dalle partite della Nfl agli articoli offerti dagli sponsor, ha mandato il tilt il compasso morale degli Stati Uniti.
L’unica cosa buona è che in questo momento in America non si parla d’altro. Il silenzio dei potenti ha acceso un dibattito vigoroso in fori informali ma efficaci: blog, Twitter, luoghi di lavoro, i bar dello sport. Per ora sono solo parole. Non ci sono boicottaggi né delle partite né delle Nike. Ma è un segno che la cosiddetta «gente comune» ha più buon senso di chi tiene i cordoni della borsa.

 

Nei prossimi settimane e mesi, qualcosa cambierà. Forse licenzieranno i capi della Nfl. Forse gli sponsor si renderanno conto che la loro posizione è insostenibile. Forse gli atleti finalmente capiranno che devono essere esempi anche fuori dal campo.
Ma per ora, quando l’America si guarda allo specchio, l’immagine riflessa è quella della signora Rice e del piccolo Peterson.

 

Francesco Guerrera è il caporedattore finanziario del Wall Street Journal a New York. 
francesco.guerrera@wsj.com e su Twitter: @guerreraf72

 

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