IL MORSO DI RANGNICK: “SONO AMMIRATO DALLA FORMA FISICA DI IBRAHIMOVIC A 38 ANNI. PERÒ IL MIO COMPITO È SEMPRE STATO CREARE VALORE, NON COMPRARLO” – “I CALCIATORI VANNO CERCATI QUANDO NON LI CONOSCE QUASI NESSUNO E QUELLI PIÙ ESPERTI, CHE SONO GIÀ NEL CLUB E HANNO ATTEGGIAMENTO E MENTALITÀ CONVINCENTI, POSSONO COMUNQUE MIGLIORARE ATTRAVERSO IL LAVORO DELLO STAFF…”
Luca Valdiserri per il “Corriere della Sera”
«Sono un trainager . Trainer, allenatore, ma anche manager. Risultato sportivo ed economico fanno parte dello stesso progetto e un head coach dà il meglio di sé quando sceglie i calciatori adatti al suo gioco e non subisce decisioni altrui.
Klopp al Liverpool - con Firmino, Mané, Keita, Matip, Van Dijk, Salah, Robertson, Alisson - lo sta facendo e i risultati sono arrivati. Serve sostenibilità a medio-lungo termine e tutto parte da un concetto: l'idea fortissima del calcio da proporre. L'identità porta al sistema di gioco, alla Red Bull tutte le squadre (Salisburgo, Lipsia, New York e Bragantino) giocano allo stesso modo».
Buongiorno Ralf Rangnick, perché il suo progetto ha affascinato il Milan ma non lo ha convinto fino in fondo?
«Una risposta semplice può essere: c'è stato il Covid. Ero stato contattato a fine ottobre, quando il Milan era quattordicesimo a 3 punti dalla retrocessione. Mi ha colpito la conoscenza che avevano del mio lavoro passato.
Poi Pioli ha vinto 9 partite e ne ha pareggiate 3, così la faccenda è terminata. Eravamo d'accordo sul fatto che cambiare, a quel punto, non sarebbe stato saggio nell'immediato. Sul medio-lungo termine non so e questa può essere una risposta più complessa. Di sicuro non ho cambiato convinzioni e filosofia».
I giochi si sono chiusi quando il Milan ha preso Ibrahimovic e Kjaer al mercato di gennaio?
«Sono ammirato dalla forma fisica di Ibrahimovic a 38 anni. Però il mio compito è sempre stato creare valore, non comprarlo».
Gli Ibrahimovic vanno scoperti?
«I calciatori vanno cercati quando non li conosce quasi nessuno e quelli più esperti, che sono già nel club e hanno atteggiamento e mentalità convincenti, possono comunque migliorare attraverso il lavoro dello staff.
Alla Red Bull abbiamo lavorato di continuo con e sugli scout. Sanno quali sono le caratteristiche che cerchiamo. Può capitare che un procuratore mi proponga un giocatore interessante, ma se è bravo davvero dovevamo già averlo notato noi».
Marchio Rangnick: Mané, Firmino, Werner, Haaland, Upamecano, Kimmich
«Tra Hoffenheim, Salisburgo e Lipsia la crescita di valore dei giocatori è passata da 120 milioni a 1.200 milioni. Quando abbiamo comprato Timo Werner per 14 milioni dallo Stoccarda, dove non giocò le ultime quattro partite, molti pensavano che avevamo pagato troppo, ma io avevo visto il potenziale per il nostro gioco (Werner è stato poi acquistato dal Chelsea per 53 milioni; ndr).
All'Hoffenheim abbiamo preso Luis Gustavo dalla serie B brasiliana e poi è arrivato in Seleçao tre anni dopo. Kimmich è arrivato dagli allievi Under 19 dello Stoccarda e due anni dopo Pep è diventato titolare al Bayern e in Nazionale».
Qual è una sintesi dello stile detto Ralfball?
«Calcio ad alta intensità. Proattivo. Pressing, contropressing a palla persa e verticalità. Ho ossessionato i miei calciatori con il gioco di Sacchi. "Altri filmati del Milan?", mi chiedevano disperati. E Lobanovski. Ma anche Zeman, che ha avuto successo prima con club piccoli e poi più grandi».
È un sistema esportabile?
«Bundesliga e Serie A sono simili: Bayern e Juve dominano da tanti anni e ci sono un gruppo di squadre che provano a costruire un'alternativa. Per questo serve una visione d'insieme e un piano preciso. Il lavoro fatto all'Atalanta da Gasperini e il suo staff è eccezionale».
Sarebbe meglio partire da zero o con una proprietà nuova come, per fare un esempio italiano, la Roma?
«Roma è una metropoli mondiale e la Roma è un club di tradizione europea, che ha vinto l'ultimo dei suoi tre scudetti 20 anni fa e l'ultimo trofeo 12 anni fa, la Coppa Italia. Sarà interessante vedere come i nuovi proprietari Dan e Ryan Friedkin, imprenditori di successo, cercheranno di rimettere la Roma sulla strada del successo»
Capo dell'area tecnica e di sviluppo: questo era il suo incarico alla Red Bull prima della separazione
«Non voglio il potere per il gusto del potere. Sono un giocatore di squadra. Sono nel calcio da 36 anni: 20 da allenatore, 6 da direttore sportivo e 10 da trainager. Grazie alla mia esperienza diretta posso aiutare un tecnico».
Ma perché un allenatore, magari ambizioso, dovrebbe fidarsi ciecamente di lei?
«Perché mi piace sviluppare i talenti. Vale per i giocatori, per gli allenatori e per altri specialisti di cui c'è bisogno nel calcio moderno, come scouts, video-analyst, psicologi e nutrizionisti.
Gli allenatori che hanno lavorato con me e che oggi sono alla guida di squadre nella Bundesliga sono otto, più altri specialisti come il co-allenatore di Flick al Bayern, Röhl, e il responsabile del settore giovanile e dell'accademia del Bayern, Sauer. In più ci sono quelli che sono andati all'estero, come Schmidt al PSV Eindhoven, Hasenhüttl al Southampton) e Struber al Barnsley.
O come Löw, assistente di Tuchel al Paris Saint-Germain. In più ci sono stati calciatori che hanno accettato di guadagnare di meno nelle mie squadre investendo nel loro futuro calcistico».
Un presidente si potrebbe spaventare di fronte a un gruppo di lavoro così ampio e, si presume, costoso?
«Non ne porterei 20 o 25, ma 5 o 6 specialisti di livello mondiale. Ma fa parte del mio approccio anche valorizzare le persone che ci sono già. Nel 2012 ho accettato il doppio incarico come direttore sportivo del Lipsia e del Salisburgo e per i primi due mesi ho parlato con tutti.
Ho trovato persone giuste al posto giusto, persone giuste nel posto sbagliato e persone sbagliate nel posto sbagliato. Ogni dettaglio è importante, in campo e fuori. Nella finale di Europa League tra Siviglia e Inter, per esempio, quattro gol su cinque sono venuti da palla inattiva. Per portare un progetto ambizioso al traguardo si deve mettere la persona migliore al posto giusto».
pep guardiola manchester city lione 2
Eterno dilemma: talento o strategia?
«Tutti gli sport di squadra hanno una regola: più giocatori ci sono e più il campo è grande, più conta la strategia. I miei allenatori hanno la piena autonomia nello scegliere il modulo e la formazione, ma l'idea di calcio non deve cambiare mai».
Alla fine, nel calcio, vincono sempre i più ricchi
«Succede spesso, ma il Lione non era più ricco del Manchester City e l'ha eliminato, mentre l'Atalanta è arrivata a pochi minuti dall'impresa di eliminare il PSG. Ai massimi livelli è indispensabile saper fare tutto con la minima percentuale di errore».
Non ha paura di passare per un santone?
«Non ho mai detto: questo è giusto e questo è sbagliato. Dico soltanto: questo è il mio modo di vedere e sviluppare una squadra e un progetto. Non dimenticate quello che ho detto prima: sono un giocatore di squadra».
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