
"SINNER? SAPEVO CHE UN GIORNO SE NE SAREBBE ANDATO. ERO UN ALLENATORE A VOLTE RIGIDO: PER JANNIK QUESTO RIGORE, A UN CERTO PUNTO, È STATO TROPPO DA REGGERE" - RICCARDO PIATTI, CHE PER 7 ANNI HA ALLENATO JANNIK SINNER, PARLA DEL "DIVORZIO" DAL TENNISTA NUMERO UNO AL MONDO: "TUTTI RICORDANO IL MATCH CON DANIEL, A MELBOURNE, NEL 2022, QUANDO HA DETTO: STAI CALMO, CAZZO. CE L’AVEVA CON ME. È NORMALE DINAMICA TRA COACH E GIOCATORE. NON È QUELLO IL PROBLEMA" - "LA SQUALIFICA? SARÀ SUBITO FORTE. PUÒ FARE IL GRANDE SLAM. LA SOSPENSIONE GLI HA ALLUNGATO LA VITA…"
Estratto dell'articolo di Gaia Piccardi per www.corriere.it
[…] C’è vita, sul pianeta Riccardo Piatti, dopo Sinner. Elaborato il lutto (sportivo), il coach che ha formato Jannik ha ripreso a macinare tennis. Il centro di Bordighera rimane la bottega dell’artigiano dove i professionisti convergono per riparare colpi e motivazione, presto verrà inaugurata una seconda sede ad Atene; il figlio Rocco è in Sardegna per un torneo, la moglie Gaia sovrintende con garbata attenzione. […] A tre anni, un mese e sedici giorni dal divorzio con il predestinato, è la prima volta che ne parla.
Riccardo, come cambia la vita senza una missione chiamata Jannik Sinner?
«Ho smesso di vivere la vita degli altri. 52 settimane all’anno in trasferta, la famiglia che ruota intorno alle esigenze del giocatore: Gasquet, Ljubicic, Raonic, Djokovic, Sinner. Quando ho finito con Jannik ammetto di aver avuto qualche mese di stordimento, poi sono andato verso quello che piace a me: insegnare tennis. Il Piatti Center non è un supermarket: qui si fa un processo di crescita. L’ho fatto anch’io. È stato un clic mentale, sono cambiate le priorità ma il tennis rimane in cima ai miei pensieri. Ora inseguo i sogni dei ragazzini».
Sinner fermato tre mesi per il caso clostebol, gli altri sembrano totalmente spaesati. Che tennis vede, dal suo osservatorio?
«Vedo un momento di passaggio. In vetta c’è un Sinner molto cresciuto. Alcaraz insegue, ma non crocifiggetelo: ha già quattro Slam, è solo del 2003, si sta costruendo vita e carriera. Arriverà anche la maturità. C’è un cambio generazionale in atto. Joao Fonseca, a 18 anni, ha giocato solo 33 match Atp.
Io a Jannik dicevo che ne doveva fare 150 prima di poter aspirare al salto di qualità. Lui aveva fretta: al 139° è diventato n.9 del mondo. Diamo tempo a Fonseca, riparliamone quando arriva a quota 80 partite. Mensik ne ha giocate 69, e ha già vinto a Miami. Lo trovo interessante però anche nel suo caso risentiamoci tra 60/70 match. Non conosco la motivazione di questi talenti, conoscevo bene quella di Jannik: mi ricordava molto Novak Djokovic».
Come la riassumerebbe?
«Un’arroganza agonistica rasente alla cattiveria».
Con Jannik si sente?
«Di rado. Però l’8 novembre mi ha mandato gli auguri di compleanno. Eravamo alla vigilia delle Atp Finals. Divertiti e facci divertire, gli ho scritto. Andrà bene, ha risposto. Sapeva già tutto. Sapeva che avrebbe vinto».
[…] Jannik rientrerà a Roma, dopo tre mesi di fermo agonistico, sulla terra, la superficie meno gradita. Cosa accadrà?
«Sarà subito forte. Io credo davvero che quest’anno possa fare il Grande Slam. La sospensione gli ha allungato la vita: arriverà a fine stagione fresco. Si gioca troppo, mentalmente non ci si ferma mai. Lui tornerà carico e motivato. Lo è sempre stato. In pandemia molti ne approfittavano per non allenarsi, Gasquet nello stop per doping ha preso otto chili, Jannik non ha perso un giorno. Sa perfettamente dove vuole andare».
[…] Il divorzio da Sinner era evitabile? C’erano segnali di cui accorgersi per tempo?
«Tutti ricordano il match con Daniel, a Melbourne, nel gennaio 2022, quando ha detto: stai calmo, cazzo. Ce l’aveva con me per cose di campo, era già successo altre volte: è normale dinamica tra coach e giocatore. Non è quello il problema. Ho sempre voluto che Jannik diventasse indipendente, sapevo che un giorno se ne sarebbe andato. Ma con lui dovevo essere l’allenatore rigoroso, a volte rigido: era il mio ruolo. Ljubicic mi rimprovera che gli dicevo: decidi pure tu, Ivan, ma poi fai come dico io. Per Jannik questo rigore, a un certo punto, è stato troppo da reggere».
Rifarebbe tutto?
«Sì. Era l’unico modo per arrivare in alto. Dovevo dire di no, dare regole. L’ho preso a 13 anni, se n’è andato a 20. In quel momento, sentivo di dover fare così. Come oggi con Dhamne: un giorno mi manderà anche lui a quel paese. Ci sta. Ivan invece era differente: all’inizio gli vietai di portare la moglie agli Slam, lui non batté ciglio. Ognuno è diverso. Certo il rigore può diventare un difetto, a volte esagero. So essere duro».
[…] Perché Sinner pubblicamente non l’ha mai più nominata, Riccardo? Questa negazione non le fa male?
«No, non ne soffro. Conosco lui, conosco i giocatori. Come sono fatti, come ragionano. Guardano sempre avanti, mai indietro. Non la vivo come una questione di irriconoscenza: Jannik fa il suo lavoro, non deve ringraziare nessuno. Né sento di aver qualcosa da chiarire con lui. Il tennis è uno sport in cui l’ego è molto presente».[…]
riccardo piatti
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