IL SEGRETO DEI CAMPIONI? LA TESTA! - DUE TEDESCHI, UN NEUROSCIENZIATO E UN EX CALCIATORE HANNO CREATO "NEURO 11" UNA SOCIETÀ CHE LAVORA SULL'APPLICAZIONE DELLA NEUROSCIENZA AL CALCIO - I GIOCATORI INDOSSANO UN CASCO CON SENSORI CEREBRALI CHE REGISTRA L'ATTIVITÀ DEL CERVELLO DURANTE L'ALLENAMENTO, PER AIUTARLI AD AUMENTARE LA CONCENTRAZIONE, MA ANCHE NEL RECUPERO DEGLI INFORTUNI - IL METODO DI ALLENAMENTO HA GIÀ ATTIRATO L'ATTENZIONE DI KLOPP. E I RISULTATI SI SONO VISTI...
Fulvio Paglialunga per “il Venerdì di Repubblica”
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Forse il futuro del calcio passa dall'idea di due vecchi amici che si ritrovano alla stazione di Colonia, in Germania, per prendere un caffè. Febbraio 2018, uno è un neuroscienziato che sta studiando come funziona il cervello dei calciatori, un altro un ex giocatore con una carriera in categorie minori e mille idee imprenditoriali per la testa.
Hanno trent' anni, quel giorno: Niklas Häusler, il neuroscienziato, e Patrick Häntschke, l'ex calciatore, si rivedono dopo un po' di tempo e cominciano a parlare di quello che fanno nella vita fino a quando i discorsi non si intrecciano: «E se provassimo a mettere le neuroscienze al servizio del pallone?».
Chi lo dice per primo non si sa, però i due cominciano a disegnare il loro piano e forse progettano anche la rivoluzione degli allenamenti delle grandi squadre. Dimenticano persino di dover prendere il treno del ritorno: «Era come nei film» ci racconta Häntschke. «I treni partivano e noi rimandavamo al successivo, per poter parlare di più. Sentivamo che stava nascendo qualcosa di speciale».
ATTENZIONE, CONCENTRAZIONE
Quel qualcosa di speciale ora si chiama "neuro 11", la società fondata da Niklas e Patrick, che nella sua presentazione è definita «allenamento neuroscientifico basato su dati per atleti d'élite», ed è un salto autentico nel futuro. Sintetizzando in modo estremo: loro allenano il cervello dei calciatori, lo preparano ai momenti in cui serve massima concentrazione. Aiutano a usare la testa, che è l'insegnamento sempre valido di ogni coach ai suoi calciatori, soprattutto quelli dotati di sregolato talento.
«Usa la testa», dicono sul campo i tecnici. Solo che in questo caso "usare la testa" ha basi scientifiche: i giocatori indossano una sorta di casco fatto di sensori cerebrali che registra l'attività del cervello durante l'allenamento, mentre il computer raccoglie i dati ed elabora un piano. Da lì allenamenti e consigli per portare il calciatore in the zone, lo stato di massima concentrazione, una sorta di trance agonistica, con corpo e mente perfettamente allineati. Basta un movimento che aiuta, un passo in una direzione o in un'altra, un punto da fissare prima di un'azione decisiva.
Qual è questo movimento da fare o punto da fissare lo dicono i dati: «Misuriamo l'attivazione cerebrale dei giocatori» spiega Häusler «e così li mettiamo nelle condizioni di trovare lo stato mentale ottimale ogni volta che c'è da battere un calcio d'angolo, una punizione, un rigore: il giocatore impara a concentrarsi, in quel momento, su ciò che conta di più.
La ricerca ha dimostrato che questo stato mentale ottimale è associato a un movimento preciso. Entriamo in azione anche quando un giocatore viene da un infortunio e deve trovare lo stato mentale ideale per il rientro. Gli aspetti del nostro lavoro sono molteplici, ma sempre adattati in modo individuale».
Funziona soprattutto sui calci da fermo, il momento in cui il calciatore è solo, con un compito da eseguire: quando, se c'è la tecnica, serve l'attenzione, l'esecuzione perfetta. E la concentrazione che la fusione tra un neuroscienziato e un ex calciatore creano con i loro studi e i loro allenamenti serve a trasformare in gol ogni pallone che sta lì, pronto per essere calciato o crossato, come ci fosse una versione pallonara di re Mida.
AVVENIRISTICO KLOPP
Il primo allenatore ad accorgersi del potenziale di questo metodo è stato uno dei più moderni: Jurgen Klopp, ct del Liverpool, che in passato aveva già ingaggiato un surfista tedesco per dare consigli affinché i calciatori migliorassero la loro autostima e il comportamento sotto pressione, e un campione di bob danese per allenare le rimesse laterali.
Entrati in contatto con l'allenatore tedesco, i neuroscienziati di Neuro 11 gli spiegano il loro metodo e insieme iniziano a metterlo in pratica, prima nel ritiro in Francia e poi in altri allenamenti programmati soprattutto con l'avvicinarsi di partite fondamentali o finali. Per questo, quando il Liverpool si aggiudica la FA Cup ai rigori, secondo titolo stagionale dopo la Carabao Cup, vinta sempre ai rigori, Klopp stesso divide i meriti con Häntschke e Häusler: «Sappiamo tutti che i calci di rigore sono una lotteria e ci abbiamo lavorato insieme al team di Neuro11. Questo trofeo è per loro, proprio come lo è stata la Carabao Cup».
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I numeri dicono che sì, dietro ai successi del Liverpool c'è anche l'allenamento del cervello, la rivoluzione dell'ingresso delle neuroscienze nel calcio: «Siamo felici», spiega Niklas Häusler «che il Liverpool abbia avuto il miglior rapporto corner/gol della Premier League e sia tra le migliori in Europa per questo dato: circa 15 corner per avere un gol. Ma solo il tempo dirà quanto ancora possa aumentare la nostra influenza: crediamo che allenare gli aspetti mentali sia il prossimo passo nello sport professionistico. C'è un grande potenziale, abbiamo colloqui avanzati anche con altre squadre e stiamo facendo test su altri sport, ma non è il momento di entrare nel dettaglio».
SCIENZA E TALENTO
A raccontare di dati, caschi con elettrodi e movimenti dei giocatori sezionati, affiora l'antica paura con cui il calcio fa i conti ogni volta che un metodo scientifico si mescola a quello sport che Eduardo Galeano definiva «l'arte dell'imprevisto»: paura che non ci sia più spazio per il talento e che i calciatori comincino a somigliare a cyborg. «In realtà con il nostro lavoro consentiamo ai giocatori di mostrare il loro talento quando conta di più» siega Häntschke.
«Non c'è un dibattito tra allenamento del cervello e talento, perché noi aiutiamo i calciatori a conservare la loro creatività, sfruttandola con maggiore precisione». «Noi alleniamo il giocatore in campo e non in laboratorio» aggiunge Häusler. «Mettiamo l'atleta in condizione di controllare meglio la mente nei momenti importanti». Con vari club che si affidano a psicologi o campioni che assoldano mental coach personali, Niklas e Patrick non sgomitano: «Non siamo in competizione con nessuna idea degli allenatori o con la composizione di uno staff. Siamo un elemento aggiuntivo».
O, forse, sono davvero il futuro. Nato davanti a un caffè, mentre due trentenni perdevano treni e pensavano in grande. F prova del dischetto studiare le attività cerebrali dei calciatori per migliorarne le prestazioni nei momenti decisivi. è l'idea di due amici tedeschi. che con il liverpool hanno già fatto gol.
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