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LA GUERRA DEL PALLONE - LA PARTITA SERBIA-ALBANIA DIVENTA UN CASO POLITICO - PLATINI: “COL DRONE POTEVA ENTRARE PURE UNA BOMBA” INCHIESTA UEFA: STANGATA IN ARRIVO - IL DS LAZIALE TARE SCAGIONA IL FRATELLO DEL PREMIER ALBANESE E SE LA PRENDE CON LA STAMPA (VIDEO)

1. SERBIA-ALBANIA: VIDEO INCIDENTI

 

 

2. SERBIA-ALBANIA “SENZA SCUSE”

Edmondo Pinna per il “Corriere dello Sport

 

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Le federazioni di Serbia (recidiva, c’è sempre il caso di Ivan il Terribile, fra l’altro in campo pure martedì sera a Belgrado, a Genova nel 2010) e Albania rischiano, entrambe, una stangata da parte dell’Uefa (processo già la prossima settimana). Per l’eco che ha avuto la vicenda, arrivata addirittura alla UE (partita sospesa al 41’ del primo tempo dopo l’ingresso nello spazio aereo dello stadio di un drone con una bandiera «provocatoria», accenno di rissa in campo, pestaggi e rifiuti negli spogliatoi), perché la Federcalcio del Vecchio Continente (come del resto la Fifa) vede come il fumo negli occhi qualsiasi accenno alla politica.

 

Perché lo stesso Blatter, che nello specifico c’entra nulla visto che si trattava di qualificazioni agli europei del 2016, dunque sotto l’egida dell’Uefa, ha tuonato via twitter tutta la sua indignazione (lo stesso Platini, forse più furente che «rattristato» come ha... confidato un cinguettio del portavoce di Le Roi e della Uefa, Pedro Pinto), e questo aggrava la posizione delle due Nazionali.

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Perdita (possibile per entrambe) della gara per 0-3 fino all’esclusione dalle competizioni, passando per ammende, squalifiche singole, partite a porte chiuse. Il rischio è alto, più di una eventuale ripetizione della gara (porte chiuse, ovviamente). «Inscusabili» è l’aggettivo usato da Platini che in serata, su Tf1, è stato durissimo: «Immaginate se sotto il drone ci fosse stata una bomba. E’ molto pericoloso, soprattutto in quei paesi dove la tensione politica è alta. Gli episodi di ieri sono vergognosi».

 

INCHIESTA

L’Uefa ha subito aperto un’inchiesta, affidata alla Commissione Disciplinare, Controllo e Etica, che giudicherà il caso il 23 ottobre prossimo. Nel faldone, il rapporto dell’arbitro Atkinson e del delegato Uefa, Harry M. Been, ex ad ed ex segretario generale della Federcalcio olandese, che contribuirà a cristallizzare gli eventi del Partizan Stadion: «Una situazione sicuramente deplorevole, non c’erano più le condizioni per poter giocare a calcio.

 

Ognuno ha visto quello che è successo, non spetta a me dire di chi sia la colpa e cosa sia da biasimare o meno. Io farò rapporto all’Uefa, lo stesso faranno l’arbitro e il responsabile della sicurezza. Deciderà la Disciplinare».

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I capi d’accusa sono già stati circostanziati: la Serbia dovrà rispondere di organizzazione insufficiente, invasione di campo, lancio di fumogeni e “missili”, uso di laser e disordini da parte dei tifosi: l’Albania per essersi rifiutata di proseguire la partita e la visualizzazione di una bandiera illecita. Le ricostruzioni sono ovviamente discordanti, Serbia e Albania rivendicano “la cosa giusta” dalla loro parte. La Federcalcio serba ha già stilato la propria linea difensiva.

 

In sintesi:

1) la provocazione della bandiera ;

2) l’aggressione a Stefan Mitrovic, reo di aver tirato giù la bandiera della discordia e subito preso di petto dai giocatori albanesi, mente «tutti i giocatori serbi e chi era in panchina erano ai loro posti, tranquilli»;

3) sarebbe colpa dell’Albania la mancata ripresa del gioco, come aveva deciso l’arbitro, visto che ha «risposto no» a tutte le soluzioni proposte, ovvero ripresa del gioco, ripresa del gioco dopo aver fatto uscire tutti gli spettatori dallo stadio, lo spostamento di 24 ore della partita stessa. «Ci aspettiamo che gli organi disciplinari della Uefa possano decidere per lo 0-3 a favore della Serbia».

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STANGATA

Sarà stangata, forse per entrambe. Le ricostruzioni ufficiose raccontano anche altro. Di giocatori albanesi colpiti, in campo, nelle vicinanze del tunnel che porta agli spogliatoi, negli spogliatoi stessi, nei quali sarebbero stati costretti a rimanere fino all’1.30 di notte, prima di potersi dirigere verso l’aeroporto per prendere il charter per Tirana.

 

Oltre ad alcuni tifosi, i colpevoli del pestaggio (alcuni rappresentanti della delegazione albanese sarebbero stati costretti a sdraiarsi per terra) sarebbero stati (tutti i condizionali sono d’obbligo) anche gli steward ed alcuni addetti alla sicurezza. Blatter (che non vedeva l’ora di poter assestare un colpetto al nemico Platini) non ha perso tempo: «Il calcio non dovrebbe mai essere usato per emettere messaggi politici. Condanno con forza quanto è accaduto a Belgrado». Le Roi ha caricato: «A Belgrado si sono viste scene inscusabili. Il calcio serve a unire i popoli e il nostro sport non dovrebbe essere coinvolto con risvolti politici di qualsiasi genere».

 

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3. TARE: OCCASIONE PERSA DAL CALCIO

Fabrizio Patania per il “Corriere della Sera

 

Ha diversi amici a Belgrado, è stato capitano dell’Albania, in campo erano annunciati tre giocatori della Lazio, di cui è direttore sportivo. Martedì anche Igli Tare aveva trovato posto nella tribuna vip dello stadio del Partizan. Non voleva mancare. «Mi sarebbe piaciuto giocarla questa partita» aveva confessato il giorno prima di partire.

 

Era seduto vicino a Olsi Rama, il fratello del Premier albanese, bloccato e subito rilasciato dalla polizia serba in una notte ai confini della realtà: ritenevano stesse telecomandando il drone, invece si trattava solo una macchina fotografica.

 

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Tare ieri ha potuto raccontare una notte pazzesca, si trovava ancora a Belgrado, in attesa del volo Alitalia di rientro a Roma, dove è atterrato alle otto di sera, in compagnia di Filip Djordjevic, il suo centravanti alla Lazio, serbo preso a parametro zero nello scorso inverno dal Nantes. Incidenti, partita sospesa, un caso diplomatico. Igli era dispiaciuto. «Mi dispiace non abbia vinto lo sport. Il calcio ha perso nell’occasione in cui poteva e doveva unire due Paesi. Così si rovina l’immagine».

 

ATMOSFERA

Quando la bandiera della grande Albania è planata sul campo, la tensione è diventata fortissima in tribuna. «E’ successo di tutto, l’unica cosa che mancava era il controllo. Tanta gente in tribuna minacciava, ma altrettanta ci ha difeso con dignità. Ci tengo a dirlo. Ero con tanti amici serbi, che ci hanno protetto. Ci sono stati momenti di alta tensione, ma sono riuscito a rientrare tranquillamente in albergo».

 

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Troppo odio. Le implicazioni politiche e sociali, il pretesto della partita. «Lo ripeto, ha perso il calcio. Era una grande occasione per entrambi i Paesi. Nel 2014, se si gioca Albania e Serbia, doveva essere messa in atto una campagna di sensibilizzazione. Bisognava togliere tensione. Nelle ultime tre settimane, invece, la stampa serba e la stampa albanese hanno buttato benzina sul fuoco. Si è parlato più di politica che dell’aspetto sportivo».

 

CORRETTEZZA

Nel tema politico, Tare non è voluto entrare. «Non mi piace fare il politico. Sono un ambasciatore del mio Paese, dobbiamo guardare avanti, non indietro. Ovviamente siamo orgogliosi della nostra storia e delle nostre radici. E avete visto come i giocatori hanno difeso la nostra bandiera in mezzo al campo. Speravo si potesse giocare fino alla ine e che tra albanesi e serbi, nel 2014, si potesse guardare avanti. Questa cosa non aiuta né una parte né l’altra. Ma devo dire che mi è piaciuta la correttezza dei giocatori serbi». Igli ha difeso la nazionale serba.

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«La partita è stata correttissima per 42 minuti, sino al momento in cui è stata interrotta. Ivanovic, il capitano, era andato a parlare negli spogliatoi. Doveva essere solo una partita. Quando è stata interrotta, a parte qualche attimo di tensione, non è successo niente tra calciatori». Non si doveva giocare. Sembra chiaro.

 

«Lo stadio non era attrezzato per ospitare questa partita. Sono passato con la macchina davanti all’albergo della squadra albanese nel pomeriggio e ho visto 500-600 militari serbi con le macchine blindate davanti all’hotel. Questo stadio lo conosco bene, ci sono stato altre volte. Una partita ad alto rischio non doveva svolgersi a Belgrado». Tare era seduto accanto a Olsi Rama.

 

«Con il fratello del premier siamo amici. Era a fianco a me allo stadio, aveva solo una macchina fotografica, è stato raggiunto dalla polizia, gli hanno preso l’apparecchio, lo hanno controllato e poi riconsegnato. E’ ripartito con il charter della delegazione albanese». Zero ripercussioni nello spogliatoio della Lazio. «Tra di loro hanno un rapporto ottimo, sono persone molto serie e perbene, non ci sarà nessun problema».

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4. QUEL KOSOVO LIBERO NON PIACE AI SERBI

Enrico Marini per il “Corriere della Sera

 

Sono passate meno di quarantotto ore dagli incidenti scaturiti in occasione della partita Serbia-Albania e il ricordo del drone con la bandiera che chiedeva un “Albania piu? grande”(Kosovo, Macedonia e Montenegro inclusi), e? vivo. Cosi? come le immagini di violenza tra i giocatori e gli scontri tra i tifosi e la polizia.

 

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Addirittura alcuni protagonisti del passato si sono ripetuti. Ivan Bogdanov, noto in Italia per i disordini durante Italia-Serbia di quattro anni fa, ha fatto invasione di campo anche l’altro ieri, corsi e ricorsi. Igli Tare, martedi? in tribuna, quando militava nella Lazio denuncio? offese razziste (“albanese di m...”) ricevute dal serbo Sinisa Mihajlovic all’epoca nerazzurro. Quelli di martedi?, pero?, sono stati scontri frutto di una situazione politica irrisolta, quella del Kosovo conteso tra Serbia e Albania.

 

POLVERIERA EX JUGOSLAVA

Che la politica ci abbia messo piu? di uno zampino non ci sono dubbi. Oltre ai sospetti su Olsi, fratello del primo ministro albanese Edi Rama, che potrebbe essere l’artefice del volo del drone, sono anni che la politica non trova una soluzione alla questione kosovara. Il Kosovo infatti e? riconosciuto come stato dall’Unione Europea e dagli Usa, mentre Cina, Russia e Serbia hanno rigettato la dichiarazione unilaterale d’indipendenza del 2008.

 

Ma e? da piu? di vent’anni che i Balcani sono teatro di guerre e odio. E il calcio, vero e proprio termometro della societa?, addirittura anticipo? la guerra jugoslava del ‘91.

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Era il 13 maggio del 1990, la Jugoslavia era ormai uno stato in disgregazione, e nello stadio della Dinamo Zagabria ci furono le prime avvisaglie di un odio incontenibile materializzatosi nei violenti scontri con i rivali serbi della Stella Rossa di Belgrado.

 

In quell’occasione Zvonimir Boban divenne il simbolo della resistenza croata per essersi difeso dagli agenti di polizia che ferirono più di un compagno dell’ex milanista.

Calcio e politica. Ormai da quasi un secolo il calcio rappresenta l’evento perfetto per trasformare lo sport in una retorica della supremazia patria sullo straniero.

 

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Uno spot al nazionalismo più populista cavalcato anche in quest’occasione da entrambe le parti visto che il ministro degli esteri serbo Ivica Dacic ha scaricato le colpe su quella che ha definito “una provocazione politica premeditata”, dimenticandosi della battaglia sugli spalti. Mentre la squadra albanese al rientro in patria è stata accolta dagli elogi del vice-premier Niko Peleshi “siamo fieri di voi, del gioco e della dignità dimostrata”. Peccato che martedì il gioco è durato solo 44 minuti ed è stata scritta l’ennesima pagina di calcio violento che andrebbe criticato senza distinzioni di maglia.

 

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Il calcio è ormai anche business e politica, ma bisognerebbe stare attenti ad utilizzarlo solo per vendere magliette e sogni nazionalistici. Anche perché al contrario di quanto sosteneva lo scrittore e tifoso del Barcellona Montalban i tifosi non dovrebbero essere affatto l’esercito (seppur disarmato) di nessun nazionalismo, bensì semplici spettatori del più bel gioco del mondo

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