“LA MARCIA È ANCORA VISTA COME SCULETTAMENTO, MI PRENDONO IN GIRO. DIFFICILE SPIEGARE LA FATICA ALLA GENERAZIONE TIK TOK” – IL CAMPIONE OLIMPICO MASSIMO STANO DOPO AVER VINTO ANCHE L'ORO IRIDATO HA FESTEGGIATO CON PIZZA E PEPSI: "E A PARIGI 2024 SPERIAMO FACCIANO 20 E 25 KM. L’ISLAM MI HA DATO TANTISSIMO A LIVELLO MENTALE. IL RAMADAN MI HA AIUTATO A IMPARARE A SEGUIRE LE REGOLE, È UN CULTO DI UNA RICCHEZZA INCREDIBILE”
Gaia Piccardi per corriere.it
Da chi hai preso la simpatia, Massimo? «Mah, nella mia famiglia sono tutti seri: io sono la pecora nera!». Eccolo, il campione olimpico e mondiale della marcia Massimo Stano: impossibile volergli male, persino gli avversari (anche il giapponese Kawano, argento nella 35 km di Eugene, che domenica l’azzurro ha soccorso sul traguardo) non riescono a odiarlo. Se Stano non fosse il marciatore più forte dell’orbe terracqueo, sarebbe un fumetto buffo.
Tokyo e Eugene hanno lo stesso sapore, Massimo?
«No. Il mondo e gli avversari sono gli stessi ma la gamma di emozioni che ho provato sul podio dell’Olimpiade non ha eguali. Ero pervaso di sensazioni. Il Mondiale viene subito dopo. Bellissimo, però il trono di Olimpia è unico».
Essere il quarto azzurro della storia dell’atletica a centrare due ori così prestigiosi dopo Cova, Damilano e Brugnetti vale?
«Eccome, se vale. Ci avevamo pensato a questa statistica, io e coach Parcesepe, prima della gara. Infatti lui mentre marciavo mi gridava: vai Massimo, scriviamo la storia! La vera sfida era riconfermarmi a un anno dai Giochi su una distanza diversa, e adesso scoppio d’orgoglio».
A Parigi l’obiettivo è doppiare 20 e 35 km ma il Cio prevede la 35 solo mista. Riuscirà a convincerlo?
«Mah, io ho provato a lanciare l’appello, poi vedano loro. La mia parola è molto piccola. Mi piacerebbe anche che la gara di marcia ai Giochi 2024 arrivasse dentro lo stadio olimpico: basta piazzare il traguardo in posti da lupi!».
Da bambino, a Palo del Colle (Bari), dove è cresciuto, che idoli aveva?
«Uno solo, supremo: Ivano Brugnetti, oro ad Atene 2004 nella 20 km. Avevo 12 anni, ero davanti alla tv: da quel giorno per me Ivano è un dio. Lui marciava più di istinto, io di testa però la mia strada l’ha tracciata lui: la sua gara in Grecia mi è rimasta stampata nel cervello. Un giorno di qualche anno fa ho preso il coraggio a due mani e l’ho chiamato: è stato gentilissimo. Ogni vigilia mi vedo un video che riassume il suo oro e mi gaso da morire. Ma imparo da chiunque: i nostri anni di carriera non sono abbastanza per maturare al 100%».
Mai sognato di fare il pompiere, l’astronauta, l’attore?
«Mai. Volevo fare il poliziotto: ho realizzato anche questo sogno. Sono fortunato».
La marcia è una miniera di medaglie però è sempre considerata la sorella minore dell’atletica in pista.
«Promuovere la marcia è un compito complicato. Si suda, si fatica, si sta in gara per due ore e mezza: come glielo spiego alla generazione Tik Tok, in questa vita in cui il tempo è sempre meno? A me la fatica piace, mi esalta ma chiedere ai ragazzi di oggi di fare fatica è un’impresa. La marcia è ancora vista come sculettamento, mi prendono in giro. Bisognerebbe inserirla come materia scolastica. Io, più che vincere il più possibile, non so che fare».
Bisogna averla nel dna, la marcia.
«Infatti mi dicono che mio nonno materno, che ho conosciuto troppo poco, camminava veloce».
Coach Parcesepe racconta che lei è cresciuto prima come uomo, poi come atleta.
«Sono andato via di casa a 18 anni, appena entrato in Polizia. Volevo la mia autonomia. Mi sono sposato con Fatima nel 2016, dopo anni di convivenza: grazie al matrimonio sono passato da ragazzo a uomo. Poi è arrivata Sophie e sono diventato responsabile di una personcina che dipende totalmente da me e da mia moglie. A me la paternità ha dato una forza incredibile. Vivo perché Sophie sia fiera del suo papi. Al 20° km, domenica, ho guardato la telecamera: ciao Sofi! In gara non ho smesso un momento di pensare a lei».
La conversione all’Islam fa parte del suo processo di maturazione, Massimo?
«Nasce come scelta per amore. Fatima mi ha seguito ovunque: ha cambiato città, lavoro e amicizie per permettermi di coltivare la passione per la marcia. Convertirmi era il minimo che potessi fare, in cambio, per lei. L’Islam mi ha dato tantissimo a livello mentale: il ramadan mi ha aiutato a imparare a seguire le regole, è un culto di una ricchezza incredibile. È stata una scelta libera, in autonomia, infischiandomene dei giudizi. Liberatoria, in ultima analisi. E legittima. Sto preparando l’esame di diritto: l’articolo 19 della Costituzione garantisce la libertà di culto».
Uno sfizio che si concederà prima di concentrarsi sull’Europeo di Monaco?
«Già fatto: dopo la gara ho divorato 6 fette di pizza e mi sono ingozzato di Pepsi. Un giorno di sgarro totale, ogni tanto ci vuole. Ora rientro in Italia e mi rimetto sotto con dieta e allenamenti».
All’Europeo tornerà sulla 20 km, come a Tokyo.
«Con una serenità totale. Dopo aver vinto Olimpiade e Mondiale mi sento un marciatore trasformato».
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