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TUTTI DA TULLIO SABATO SERA - GNOLI INTERVISTA PERICOLI SUL MESTIERE DI ARTISTA: ‘’NOVE DECIMI DELL'ARTE CONTEMPORANEA E' UN BLUFF, MA NESSUNO VA A VEDERE QUALI CARTE HANNO IN MANO” - "L'ARTE È OGGI SOPRATTUTTO UN GIOCO BORSISTICO. CI SONO MERCANTI CHE VENDONO I QUADRI AL TELEFONO!” – LO SCAZZO CON IL GALLERISTA GIO' MARCONI: “MI DISSE: TU QUI VALI, SE NOI DECIDIAMO CHE TU VALGA, ALTRIMENTI NON SEI NESSUNO”
Antonio Gnoli per La Repubblica
Apro La casa ideale di Robert Louis Stevenson nella nuova versione che Tullio Pericoli ha realizzato per Adelphi e mi accoglie un pensiero: "Qualunque sia il luogo nel quale ci proponiamo di trascorrere l'esistenza, due sono le condizioni imprescindibili: la solitudine e la presenza vivificante dell'acqua".
Niente male. Solo in questo habitat la solitudine può crescere, fino a diventare un'intuizione felice della realtà. Non è di questo che ci parla la sua pittura? Anche il suo studio, milanese, dove lo incontro, ha qualcosa che rinvia allo scorrere felice del tempo, dove le cose e i pensieri talvolta guariscono: " Vengo qui tutti i giorni, la mattina leggo, il pomeriggio dipingo. L'abitudine, quella di cui parlava Proust, tiene fuori la paura dell'istante. Ecco, non avere paura del tempo che passa".
Un artista come affronta il tempo che passa?
"C'è il tempo biologico al quale siamo uniformati, c'è quello interiore che varia da persona a persona. E c'è il tempo dell'opera che a volte resiste e altre invecchia precocemente. A me piace la quiete del mio tempo dove ogni attimo se ne va con il sorriso tra i denti".
Dai l'idea di un uomo felice.
"La felicità mi spaventa, preferisco l'emozione".
Cosa ti emoziona del tuo lavoro?
"A volte, senza chiederlo o cercarlo, dipingere mi mette in contatto con cose che mi stupiscono e vanno al di là del mio modo normale di pensare".
Al di là in che senso?
"Come se il mestiere lasciasse cadere il velo che c'è tra me e il potere immaginativo. Io non so da dove proviene questo potere. Certe volte penso che somigli a un segnale extraterrestre. A un'idea dotata di una sua perfezione che risuona nell'universo e che ogni tanto hai la possibilità o la fortuna di ricevere".
Non è diverso dalle prediche platoniche.
TULLIO PERICOLI PENSIERI DELLA MANO
" Ma sai io non parto da elucubrazioni filosofiche. Dico solo che qualcosa arriva sul foglio di carta. Che cos'è? Magari è un paesaggio o un volto, forme accennate sulle quali lavora l'immaginazione. In che modo tutto questo agisca non lo so. La pittura è fine a sé stessa, ma è anche oggetto rappresentato - con la sua storia e la sua consistenza - che non deve sparire o annullarsi ma trasformarsi".
Come ti predisponi davanti all'oggetto che vuoi rappresentare?
"Vivo uno stato d'animo in cui l'euforia si mescola con una certa ossessione. Quando ho realizzato i paesaggi delle Langhe, per due anni non ho fatto altro che andare in quelle zone. Le giravo a piedi o in motocicletta. Ed era come se tutto il paesaggio del mondo si fosse riversato lì e non ci fosse altro da vedere".
È il tuo modo usuale di lavorare?
"Ogni volta che preparo un'opera, o un ciclo o, magari, semplicemente un bozzetto, si scatenano piccole ossessioni che occupano gran parte della mia mente".
Mi fai pensare che l'atto creativo sia il più illiberale che esista.
"La libertà dell'artista, di cui si fa un gran parlare a sproposito, non è mai esistita. L'illibertà è la vera spinta produttiva".
L'artista vive uno stato di costrizione?
"Non vorrei sostenere la mitologia opposta, che è quella della possessione, ma indubbiamente c'è qualcosa, chiamala pure forma, che limita il mio agire. Quando dipingo so di non essere libero di fare ciò che voglio. Non sono io che comando sul quadro, ma è questo che mi guida e mi determina".
È come se vivessi uno sdoppiamento.
"Sei tu e il sogno che finisce col non appartenerti".
Non c'è il rischio di annullare la presenza dell'artista?
" Il mondo greco si disinteressava dell'artista ma ha lasciato opere straordinarie. Così fino al Medioevo. Poi si è fatta strada l'idea che l'artista fosse l'uomo più libero al mondo e dunque il solo capace di creare, il solo in grado di misurarsi con Dio, anzi di prendere il suo posto".
Fu alla base del sentimento romantico.
" Che ancora ci condiziona. Non riesco a immaginare cosa Picasso pensasse della sua vita, negli ultimi anni, quando tutto il mondo lo considerava un genio. C'erano in lui l'onnipotenza e l'inviolabilità del suo gesto. Qualunque cosa facesse era considerata geniale. Ma è proprio in questa libertà assoluta che risiede l'equivoco più grande. Se non conosci i tuoi limiti che senso puoi dare al tuo lavoro?".
Ti accade di chiedertelo?
"Spesso, anche se non sempre so di avere le risposte giuste".
Cosa vuoi dire?
"Penso che l'artista sia il più impreparato tra gli uomini ad affrontare il fallimento, alla sua natura appartiene una certa fragilità sentimentale. Al tempo stesso sa che deve correre dei rischi".
I tuoi rischi come li hai vissuti?
" Provando a dare una forma il più possibile adeguata all'inquietudine. Avere alle spalle una sorta di frammentazione del mio lavoro, per cui sono passato dalla satira al teatro, dai ritratti ai paesaggi - e tutto non necessariamente in tempi diversi - mi aiuta a pensare che il rischio sia anche la mia maniera di sperimentare. La verità è che questo mestiere si può realizzare in due modi".
Quali?
"Quello di essere, inteso come apparire, oppure quello del fare. Sarei ipocrita se dicessi che mi disinteresso dell'essere; ma il vecchio fare è ancora oggi l'autentico piacere che traggo dal mio lavoro".
pericoli e pirella tutti da fulvia sabato sera
Vai esattamente nella direzione opposta al mercato dell'arte, dove il "riconoscimento" è diventato il fattore più importante.
"Mi fai venire in mente un episodio della mia vita che mi ha fatto molto soffrire e che spiega bene la differenza tra essere e fare".
Raccontacelo.
"Sono stato per circa dieci anni, dal 1974 al 1984, un artista di una galleria importante di Milano: lo Studio Marconi. Ero legato mani e piedi alle sue decisioni. Con qualche piccola deroga. Nel senso che potevo anche vendere personalmente qualche lavoro, a patto di passare una percentuale alla galleria".
Non c'è niente di strano.
"È vero, almeno fino al momento in cui andai da Giorgio Marconi per concordare a quanto doveva ammontare. A lui non stava bene quello che proponevo. Ma non è questo il punto. Il punto è come reagì. Mi disse: tu qui vali, se noi decidiamo che tu valga, altrimenti non sei nessuno. Capisci? Ero diventato una specie di "stipendiato" il cui talento, ammesso che ci fosse, non dipendeva da me ma da colui che a tutti gli effetti si proponeva come un padrone ".
Chi c'era oltre te?
"Te ne cito alcuni: Emilio Tadini, Bruno di Bello, Gianfranco Pardi, Enrico Baj. Eravamo un gruppo bellissimo, ma sotto la stessa cappa opprimente. Reagii da provinciale deluso. Andandomene e soffrendo tantissimo, perché lasciavo un luogo che avevo amato".
Scopristi la durezza del mercato.
"Che il mercato dell'arte sia duro e incerto ci può stare. Non è questo il punto. Scoprii l'insincerità di quel mondo nel cui uso delle parole si nascondeva qualcosa di detto male, di poco convincente e di molto più simile al raggiro che alla verità. Del resto, l'arte è oggi soprattutto un gioco borsistico. Ci sono mercanti che vendono i quadri al telefono!".
A proposito di una cosa detta male e forse finita peggio: riguarda la tua recente vicenda con il comune di Ascoli, città dove sei nato. Il comune aveva deciso di dedicarti uno spazio significativo e permanente. Poi che cosa è accaduto?
TULLIO PERICOLI EUGENIO SCALFARI
"Qualcosa di incomprensibile e offensivo. Questo è accaduto. Si trattava di creare una fondazione con centosessanta mie opere da esporre nel Palazzo dei Capitani. Sembrava che tutto fosse andato bene: il luogo prestigioso, lo statuto approvato e un fondo stanziato. Poi dagli entusiasmi iniziali, dall'adesione di tutti i responsabili che, nota bene, avevano fortemente voluto e creduto nell'iniziativa, si è passati inspiegabilmente alle reticenze, agli intoppi, alle fughe imbarazzate. Che ti devo dire? Mi sono fidato di persone che non erano degne di un tale sentimento. Alla fine ho spedito una lettera e ho abbandonato l'impresa. Ho capito che la " fuffa", cioè il parlare a vanvera, non è una prerogativa solo dell'arte più recente".
TULLIO PERICOLI SALVATORE SETTIS
Ormai è una vecchia polemica quella del mercato che si gonfia e si sgonfia come se nella propria pancia invece di opere abbia titoli tossici. Te ne sei sempre tenuto fuori. Ma cosa provi e come reagisci al fatto che molte istituzioni che determinano questo tipo di mercato, penso per esempio alla Biennale, ti escludano?
" Sarei poco onesto se dicessi che la cosa mi è indifferente. A volte mi pesa subire questo interdetto, sapere che difficilmente farò parte di alcuni importanti circuiti dell'arte contemporanea. Ma, a conti fatti, penso che sia una ricchezza. So di aver scelto un altro percorso e questo mi fa sentir bene. All'inizio, il divorzio dallo Studio Marconi, fu per me un trauma".
Dopo di che?
ROBERTO SAVIANO TULLIO PERICOLI
" In breve tempo compresi che potevo continuare a fare il mestiere di artista anche sui giornali, cosa che ho svolto per un certo periodo a tempo pieno. Poi, a cominciare dagli anni Novanta, ho ripreso a lavorare autonomamente".
Lo hai fatto anche coltivando una vera passione per la letteratura. Come è il tuo rapporto con questo mondo?
" Quando leggo è come se nella mia testa si accendessero due schermi. In uno scorrono le parole; nell'altro le immagini. A volte i due schermi si sovrappongono e le storie finiscono col somigliare a dei film. A quel punto può scattare l'immaginazione".
Quanto conta nel tuo lavoro la memoria?
EUGENIO SCALFARI E TULLIO PERICOLI PAPARAZZATI DALLA SIGNORA PERICOLI
" Dipende da cosa intendi. Io per esempio sono molto legato alla memoria fisica. Essa si condensa in alcune parti del mio corpo, in alcuni muscoli, nelle gambe, nei piedi, nelle spalle e in particolare nella mano che sa molte più cose di quelle che so io".
Una memoria involontaria.
"Che mi guida con orientamento sicuro. Rembrandt a quanto pare dipingeva dal polso in avanti; Velázquez dalle spalle in su e Picasso con tutto il corpo".
Non pensi mai, in questa fisiologia del gesto artistico, al corpo che si deteriora e si indebolisce?
"Mi capita di pensarci, se ti riferisci a me e ormai ai miei tanti anni. A volte basta che il pennello mi sfugga di mano o che faccia un segno incerto, perché provi un senso di allarme".
Anche privati del proprio vigore si può continuare a esprimere il meglio?
"In alcuni casi è così: Tiziano seppe essere impareggiabile anche, e forse soprattutto, da vecchio. C'è qualcosa di molto enigmatico nella vecchiaia. Ma non confonderei l'età con la ragione intrinseca di un dipinto. Che ai miei occhi deve essere qualcosa di volatile".
Un po' nella direzione di Saul Steinberg?
"Assolutamente sì, come in quella di Paul Klee. Artisti che appoggiavano la matita o il pennello sulla carta o sulla tela con maestria lieve, ironica e mai gridata. Il supplizio dell'arte di oggi è di annunciarsi con esibizioni stentoree. Siamo alla prosopopea del grido. Ma dietro alla presunzione di una voce alta ci leggo le peggiori banalità".
Possiamo chiamarlo bluff?
" Nove decimi dell'arte contemporanea, non ha neppure una coppia di nove, per dirla con il linguaggio del poker. Ma nessuno va a vedere quali carte hanno in mano. È un fatto che mi rattrista".
La bellezza è più armonia o conflitto?
" Se davvero sapessi cosa sia la bellezza ti potrei rispondere. Non c'è più una definizione plausibile di " bello" e di " brutto" come non c'è una definizione di arte. Quello che noto è che armonia e conflitto sono più categorie sociologiche e politiche che non estetiche".
Come artista che relazione hai con l'attualità?
"C'è stato un tempo nella mia vita in cui facevo satira politica e l'appuntamento settimanale "Tutti da Fulvia", realizzata insieme a Emanuela Pirella, parlava in modo ironico dell'oggi. Ma poi mi sono allontanato dalla partecipazione diretta. C'è molta ressa in quel campo".
Ribadisci quella solitudine di cui parlavamo all'inizio.
"Non è il "buen retiro" o la torre d'avorio. È il solo modo che conosco per aiutare il respiro delle cose che realizzo. Consapevole che non cambierò il mondo, che non ci saranno gli squilli di tromba. La solitudine alla quale ambisco è il solo antidoto alla muffa che sta divorando
la superficie della terra. Mi ricorda una delle "Cosmicomiche" di Italo Calvino: tutta la pelle del mondo sta ammuffendo e noi siamo contagiati da questa reazione che è a volte auspicabile sul formaggio, ma molto meno sull'uomo".
SERVILLO PERICOLI
BOCCA BY PERICOLI
ROBERTO SAVIANO CON IL SUO QUADRO BY PERICOLI
ROBERTO SAVIANO CON IL SUO QUADRO BY PERICOLI
EUGENIO SCALFARI CON IL SUO RITRATTO BY PERICOLI
CACCIARI - Pericoli e Pirella - Da Repubblica
Tutti da Fulvia sabato sera - Vignetta di Pericoli e Pirella
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