
VIAGGIO NELLA BOTTEGA DEI MIGLIORI FALSARI DEL MONDO - A BERLINO I FRATELLI POSIN RICREANO CAPOLAVORI ADOTTANDO LO STILE DEI GRANDI MAESTRI: "NON SONO COPIE MA NUOVI ORIGINALI" - "CACCIAMO CHI VORREBBE USARE I NOSTRI QUADRI COME AUTENTICI”, “IL PIÙ INIMITABILE? LEONARDO"
Roberto Brunelli per la Repubblica
C'è la Gioconda, in fondo alla stanza. È perfetta, è lei. Davanti, sopra uno sgualcito tappeto rosso, un Kandinskij. Questo, spiega Evgeni Posin dall' alto della sua sigaretta, se l'è prenotato Wes Anderson, il regista di "Grand Budapest Hotel", per il suo nuovo film.
Sulla sinistra c' è "L' Annunciata" di Antonello da Messina, accecante nel suo velo blu cobalto. Dietro c' è un Rembrandt. «Per la verità, è in stile Rembrandt», mormora questo russo nato negli anni Quaranta, arrivato a Berlino con i suoi due fratelli quando ancora c' era l' Unione Sovietica.
«Era il 1985. Non apprezzavano il nostro lavoro. Siamo dovuti espatriare», spiega. In mezzo a questa stanza piena di capolavori assoluti - lo sguardo si perde dietro un Van Gogh, quasi s' inciampa in un Klimt - c' è un tavolino con decine di bottiglie di vino, il fumo delle sigarette russe impregna l' aria, riviste d' arte, cornici vuote, colori.
L' effetto è un po' spiazzante. I quadri, tecnicamente parlando, sono dei falsi. «No, non sono dei falsi. Sono dei nuovi originali. Non è artigianato. È arte», dice Evgeni. Evgeni, Michail e Semjon: sono i tre fratelli Posin. Sembrano usciti da un romanzo russo.
Di poche parole, infilati tutti e tre in pantaloni che sembrano troppo larghi, capelli lunghi e grigi come le loro barbe, volti scavati che sembrano usciti dal tempo, vengono chiamati "i Leonardo da Vinci di Neukölln": è in questo quartiere multietnico di Berlino - dove convivono barbieri turchi, hipster-caffè ebraici e ristoranti libanesi - che dieci anni fa hanno aperto la loro galleria, il "Kunstsalon Posin".
Un antro buio, con un ingresso minuscolo, in una via laterale, un improvviso squarcio dentro una realtà parallela. Il paradiso dei falsi. «Falsari? Non esistono vero e falso, l' unica distinzione è se si tratti di buona arte o no»: Evgeni parla sempre a bassa voce, ma il suo orgoglio è palpabile.
In effetti i tre fratelli - nati nella fu Leningrado, oggi di nuovo San Pietroburgo - spediscono i loro quadri in tutto il mondo: «Le nostre opere sono molto richieste. Il lavoro non ci manca», dicono nel loro tedesco talmente cavernoso da sembrare russo. Alla parete c' è anche un foto che li ritrae con papa Wojtyla, al quale donarono un immenso crocefisso: «L' ho fatto io, non è una copia », precisa Michail.
In genere lavorano su commissione. Fino a 20 mila euro per un quadro. Niente di illegale, le opere non vengono vendute come originali. Solo due regole, semplicissime: non devono essere della stessa misura dell' originale e il pittore "copiato" dev' essere defunto da almeno 70 anni.
«Talvolta è un centimetro in più o in meno, altre volte ci sono metri di differenza». Qui, per esempio, vicino ad Antonello da Messina, c' è un dettaglio di uno Hieronymus Bosch: è solo una scheggia, allargata, dell' originale. Una finestra aperta sulla psiche visionaria del grande pittore olandese. Qualcuno ha scritto che i Posin sono i migliori falsari del mondo.
Aggiungono che se non fosse per la diversa dimensione delle opere, anche i più quotati esperti avrebbero difficoltà a distinguerle dagli originali. Michail cerca di spiegare il loro punto di vista: «Ogni nostro quadro ha un' anima. Ci immedesimiamo completamente nei maestri su cui lavoriamo: il tempo che ci mettiamo a dipingere è lo stesso, i colori so- no gli stessi.
Pigmenti naturali nel caso delle opere più antiche». Il che risulta ancora più impressionante in considerazione del fatto che i fratelli Posin non hanno delle specializzazioni: viaggiano indifferentemente dal Rinascimento italiano all' espressionismo tedesco, da Renoir a Botticelli, da Vermeer a Picasso.
«Ma è Leonardo da Vinci il più difficile di tutti», sussurra Evgeni. «Perché il suo mondo è così straordinariamente complesso ». Anche sui motivi per cui i loro lavori sono tanto richiesti, i Posin hanno le idee chiare: «Quello che importa è l' effetto che fa un quadro. Chi vuole i nostri quadri trova quell' effetto».
Ovvio che ogni tanto qualcuno provi ad arricchirsi col loro lavoro, cercando di vendere come originali i loro quadri. «Per esempio qualche anno fa, con alcune nostre tele tratte da William Turner». All' epoca la cosa venne scoperta, per i tre fratelli russi nessuna conseguenza: la loro posizione è, in effetti, cristallina.
«Anche di recente qualcuno è venuto a offrirci dei soldi per non rivelare che un certo quadro era nostro. L' abbiamo cacciato », giura Evgeni, mentre Semjon traffica con dei pezzi di legno che forse serviranno per delle cornici.
Gli raccontiamo del falsario Wolfgang Beltracchi, condannato nel 2011 alla fine di un processo che in Germania ha fatto molto scalpore, o dell' olandese Robert Driessen, di cui si parlò due anni fa quando è finito alla sbarra a Stoccarda: aveva creato più sculture di Giacometti di quante ne avesse realizzate lo stesso Giacometti. Le smerciava anche a 20 mila euro l' una.
A chi gliene chiedeva ragione, Driessen rispondeva senza complimenti: «Chi crede di acquistare un vero Giacometti ad un prezzo così basso merita di essere preso per i fondelli. Il mondo dell' arte è marcio ». Evgeni Posin allarga lo sguardo. Si vede che è d' accordo, illegalità a parte. «Ci sono migliaia di quadri falsi nei musei di tutto il mondo.
È una cosa che penso io, sia chiaro, non ho le prove. Ma conviene a troppe persone: è un modo per movimentare il mercato, visto che il numero dei veri capolavori è limitatissimo. I musei sono pieni di lavori brutti. È questo ciò che mi disturba di più». In altre parole: il fake, per essere arte, dev' essere di qualità. Ma la storia dei fratelli Posin non finisce qui.
La loro galleria ha anche una specie di scantinato e rivela una sorpresa. Accatastati sui muri - vicino ad una sequenza di piccole tele con varie Gioconde postmoderne ritratte in età avanzata - emergono dal buio le facce giganti di Stalin, Hitler e Lenin. In un angolo è ricostruita una cella, «identica a quelle in cui venivano chiusi i dissidenti nei gulag », spiega Evgeni.
«Nel 2003 abbiamo organizzato una piccola mostra per i cinquant' anni della morte di Stalin», aggiunge. Non è fascinazione per i dittatori, è il contrario. È qualcosa che ha a che vedere con il vissuto dei Posin. «Abbiamo passato l' infanzia in Siberia. Nostro padre era stato deportato due volte: negli anni Trenta e negli anni Quaranta». Quando cerchiamo di capire perché, Evgeni sorride di nuovo: «A quei tempi non esistevano i perché. Bisogna chiedere al compagno Stalin».