VIDEO! “NON SONO RIUSCITO A PASSARE L’ESAME. A 19 ANNI O SI VINCE O SI IMPARA” – LE PAROLE DI SINNER DOPO IL KO A MIAMI. L'ITALIA TORNA AD INNAMORARSI DEL TENNIS: LA FINALE DI SINNER E’ IL SECONDO MATCH PIÙ VISTO IN TV NELLA STORIA DI SKY (DIETRO ALL’EPICA FINALE DJOKOVIC-FEDERER) - PAOLO BERTOLUCCI AVVERTE CHE “JANNIK NON È ANCORA IL GIOCATORE CHE CREDIAMO CHE SIA” – IL COACH RICCARDO PIATTI: “A JAN MANCA ANCORA UNA…” – VIDEO
Piero Valesio per il Messaggero
Mica facile scoprire dalla sera alla mattina di essere diventato il terminale di un sentimento nazionale. Altro che fatica di Sisifo: si tratta di accettare che non si è più solo un giocatore di tennis ma anche il depositario del desiderio che migliaia di persone hanno (prossimamente molti di più) di poter esultare per qualcosa di aggregante e non divisivo.
Meglio: in qualcuno che ti faccia balzare in piedi per esultare. Se ancora non l' aveva capito, Jannik Sinner ha scoperto dopo la finale di Miami di essere diventato il terminale di cui sopra. Il match contro Hurkacz è stato il più visto della storia di Sky.
Secondo solo, tanto per chiarire i termini del fenomeno, alla finale di Wimbledon 2019 Djokovic-Federer, quella dei due match-point falliti da Roger che ancora turbano i sogni dei federasti. In quella occasioni gli spettatori medi furono 761.000: l' altro ieri quelli che hanno seguito la finale di Sinner sono stati 656.000 con il 3% di share. E si badi bene: nella prima parte la finale si è sovrapposta alla MotoGp. I contatti (coloro che per almeno un minuto sono transitati sul match) sono stati un milione e 800.000). Per il tennis sono dati enormi. A parità di finali 1000, quella di Fognini a Montecarlo due anni addietro raccolse 547.000 telespettatori.
E la prima finale Atp dello stesso Sinner, a Sofia nel novembre scorso, trattenne davanti al video sì 721.000 telespettatori: ma su Rai 2, un canale in chiaro che può contare un bacino di utenza decisamente più ampio.
Al di là della sconfitta Jannik è diventato molto più di un ragazzo di 19 anni che gioca bene a tennis. Sarà questo il ruolo che il nostro dovrà imparare a interpretare rapidamente. Più rapidamente di quanto dovrà imparare un servizio più articolato e meno monocorde e a raggiungere la rete più velocemente di quanto faccia oggi.
OLTRE LA SCONFITTA E se certamente ha ragione il suo coach Riccardo Piatti quando sostiene che per salire di livello Jannik necessita di qualcosa come 150 partite nel circuito maggiore (e lui non è nemmeno a metà dell' opera) giova ricordare che una finale persa non significa un' ammissione di limite.
Per dire: Ivan Lendl, uno il cui stile di gioco, aveva molto di quanto oggi ci fa vedere Sinner, perse quattro finali Slam prima di vincerne una. E quando ci riuscì, correva l' anno 1984, dovette rimontare due set di svantaggio a McEnroe e porsi nella modalità mentale inossidabile per spedire ai pazzi il malcapitato Mac.
Lui, Jannik, nell' immediato post-match ha già tracciato la strada per l' immediatissimo futuro: «A 19 anni o si vince o si impara. Per me ciò che conta davvero è aver dimostrato di essere migliorato molto rispetto all' ultimo torneo. Ci sono aspetti dove so di dover crescere: conquistare la rete, spostare il mio avversario, servire meglio. Contro Hubi non ci sono riuscito ma l' emozione l' ho sentita: avevo già iniziato ad accorgermene il giorno prima».
FUTURO Il prossimo step? Inizia la stagione sulla terra (da ieri è in corso il 250 di Cagliari: oggi alle 12.30 Musetti-Novak, poi il rientro di Matteo Berrettini in doppio col fratello Jacopo). E nella clay season ci saranno tutti quelli che a Miami hanno marcato visita: Thiem, Nadal, Djokovic, in parte Roger. Ed è probabile che prima o poi metteranno sotto esame il nostro. In quel momento la finale persa di Miami sarà solo un passo compiuto verso quell' obiettivo. Un passo naturale e necessario.
SINNER
Stefano Semeraro per "la Stampa"
La pandemia oltre che tragica è strana, sul tennis ha avuto l' effetto di uno specchio deformante, o di una macchina del tempo impazzita. La nuova generazione di Sinner & Co. deve coesistere con i Tre Grandi, ma il confronto negli ultimi mesi si è svolto spesso in assenza. Federer, Nadal e Djokovic ormai fanno gara a sé; lottano con la storia e abitano la cronaca solo quando gli fa comodo, fantasmi bene in carne pronti a riapparire con tanto di catene soprattutto in vicinanza degli Slam.
il 19enne sinner battuto in finale a miami
Anche per questo Miami ha spalancato una finestra su un futuro che già si mescola al presente. Quando i mammasantissima diranno stop - e nel caso di Federer la scadenza incombe - a confrontarsi sarà una generazione fluida, pronta a scambiarsi i ruoli con facilità. Non più un triumvirato di ferro, ma una oligarchia diffusa. La buona notizia è che Sinner (ma anche Matteo Berrettini o Lorenzo Musetti) hanno le carte per farne parte. E che il menù si presenta adatto a tutti i gusti.
«Noi della Next Gen siamo divertenti da vedere - dice Jannik -. Non ci conosciamo ancora alla perfezione fra di noi, e il pubblico ci deve scoprire. Però è vero che dobbiamo dimostrare di saper battere i Tre Grandi con continuità, e ancora non è accaduto». Per congedare Federer, Nadal e Djokovic, o anche più banalmente l' Hurkacz solido ma non travolgente di Miami, occorre lavorare. E molto. Paolo Bertolucci saggiamente avverte che «Jannik non è ancora il giocatore che crediamo che sia», coach Piatti attende il tagliando definitivo: quello dei prossimi due anni e/o ottanta match.
I limiti di un giocatore già straordinario a 19 anni come Sinner sono visibili almeno quanto le sue qualità: la voglia di «spaccare» tutti i match, la riluttanza nell' usare freno e frizione, oltre che l' acceleratore.
In una parola, a Jan, come ripete monotono Riccardo Piatti, manca ancora una perfetta «conoscenza del gioco», la capacità di «leggere i momenti della partita» che sta a monte delle lacune apparenti: i vuoti al servizio, gli errori a rete, l' incapacità di aprire il campo.
Serve un orecchio educato, quasi musicale, per eseguire le variazioni che nel tennis percussivo di oggi fanno la differenza: palla corta, rovescio in back, discesa a rete. Vanno «suonate» al momento giusto, se si vuole evitare la stecca. «Hurkacz non mi ha preso a pallate, sono stato io a fare tanti errori: meglio così che restare passivo», dice con testarda lucidità Jan. «Ero venuto a Miami per vincere, da questa sconfitta dovrò imparare molto».
O vinco o imparo, il mantra è giusto. Va applicato con il giusto orgoglio, ma senza pregiudizi.