project zero maiden of black water

DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - UNA FOTOCAMERA PER INQUADRARE ED ESORCIZZARE I FANTASMI NELLA DERIVA HORROR E SPETTRALE DI PROJECT ZERO MAIDEN OF BLACK WATER, UN VIDEOGIOCO PER PLAYSTATION, SWITCH, XBOX E PC CHE CI TRASPORTA TRA I BOSCHI, LE ACQUE E I TEMPLI IN ROVINA DI UN MONTANO GIAPPONE AFFRANTO E MALEDETTO, UN LUOGO DI ANTICHE TRAGEDIE, CATASTROFI E SUICIDI ALLA LUCE SPAVENTOSA DI UN TRAMONTO DI SANGUE… - VIDEO

Federico Ercole per Dagospia

 

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Fotografia, ovvero scrittura con la luce. Cosa vera anche per il cinema, forse persino per i videogiochi più realistici dove tuttavia la luce è intenzione, come nella pittura, e comunque solo numero. Utilizzare quindi chiarore e oscurità per narrare una storia attraverso un’immagine immobile o cinetica che, tranne quando è pura astrazione, è sempre illustrazione e racconto di fantasmi, di corpi e spazi che non ci sono più perché estinti o comunque cambiati in maniera più o meno drastica dal tempo.

 

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I fantasmi esistono dunque, sono l’ombra dei corpi  che appaiono, e non sono più, nelle fotografie e nel cinema, apparizioni appunto o anime rubate secondo popolari credenze. 

 

Così risulta davvero teorica per filosofia e meccaniche ludiche, sin dalle sue origini, la serie horror giapponese di Tecmo-Koei intitolata Project Zero, che attraverso la magica fotocamera utilizzata dai suoi protagonisti ci fa intuire presenze spettrali altrimenti invisibili con esiti che alimentano in chi gioca brividi di paura e delizia giocosa ed estetica.

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Si tratta di una serie del terrore assai meno nota e blasonata di altre celeberrime invenzioni giapponesi, ed è innegabile che non tutti i suoi innumerevoli episodi siano ispirati e riusciti, sebbene siano sempre godibili, ma senza dubbio importante proprio per le intuizioni sul rapporto tra i corpi e la loro riproduzione fotografica. 

 

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Durante il periodo di un Halloween che sta sfumando nell’illusoria festosità di un pre-Natale che si annuncia più spaventoso e inquietante delle mostruose ma gaudenti celebrazioni a base di zucche ghignanti e “dolcetto o scherzetto”, è uscita la versione rimasterizzata di Project Zero Maiden of Black Water, quinto capitolo della serie uscito originariamente nel 2015 e oggi disponibile per PlayStation, Nintendo Switch, Xbox e PC; un’agghiacciante deriva fotografica tra tetri monti luogo di antiche stragi, sacrifici umani e suicidi.

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CAMERA OBSCURA

Narrato dal punto di vista di diversi personaggi, Project Zero Maiden of Black Water ci porta ad indagare in un alpestre territorio giapponese un tempo attrazione turistica per i suoi templi, le sue acque e i suoi boschi, ma ormai decaduto dopo un cataclisma e divenuto meta di tante persone che vi cercano la morte, attratti dalla luce sanguinosa di un terrificante tramonto e sospinti da voci spettrali.

 

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C’è una bellezza sfiorita nei sinistri panorami del videogioco, miscelata allo squallore esplicito di edifici decaduti, un costante sentore di fine e desolazione, così che navigare questi luoghi affranti alimenta un senso di angoscia e smarrimento, soprattutto quando cominciamo a percepire le presenze che li abitano, intuendo passo dopo posso la presenza dell’orrore e della sventura. 

 

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Ci si muove in terza persona ma quando si utilizza la Camera Obscura, la macchina fotografica in grado di inquadrare i fantasmi, la visuale trascorre in soggettiva e nello scenario si manifestano le presenze che con questo strumento tecnologico e incantato possiamo attaccare, respingere e infine esorcizzare.

 

Lo scatto, la fotografia, diventa quindi non solo il mezzo per identificare la minaccia o cogliere l’ombra di antichi spettri prima che si dissolvano, ma per attaccare, la nostra unica arma le cui differenti pellicole funzionano come proiettili di vario calibro.

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Dobbiamo riuscire ad inquadrare il fantasma nel migliore dei modi affinché il danno sia maggiore e se riusciamo ad “immortalarlo” proprio nel momento in cui questo decide di attaccarci ecco che facciamo un “fatal frame”, una scatto fatale in grado di nuocere gravemente alla salute ectoplasmatica dello spettro. 

 

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La variazione tra la visuale in prima e terza persona rende l’esplorazione suggestiva e tesa, imprevedibile nella sua varietà, così malgrado capiti di tornare in luoghi già visitati nel corpo di altri personaggi non si verifica una noia da ripetizione, ma solo un angoscioso, sfuggente, “déjà-vu”.

 

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I suoni e la musica contribuiscono ad accrescere la qualità dell’esperienza horror con una varietà spaventosa di lamenti spettrali e vaghe note nippo-berghiane, ma proprio quando precipitiamo dentro una “casa dei fantasmi” da luna park che parrebbe edificata ad arte ecco manifestarsi una sgradevole suddivisione a livelli con tanto di menù che illustrano la valutazione della prestazione di chi gioca, una cesura troppo invadente che risulta dannosa per l’atmosfera e interrompe l’emozione.

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Sarebbe stato assai più coinvolgente se i segmenti di gioco si fossero dissolti uno nell’altro con tagli più sfumati e meno definiti. 

 

CHE GELIDA MANINA

Uno dei momenti più convincenti nel causare incertezza e tremore si verifica quando troviamo e dobbiamo raccogliere le risorse, un attimo di solito rassicurante e appagante: pellicole, curativi, documenti rivelatori da leggere.

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Allunghiamo con lentezza il braccio per raccogliere l’oggetto e spesso lo prendiamo, ma può capitare che una manina spettrale ci afferri proprio quando siamo sul punto di prenderlo, muovendoci ad una spaventata imprecazione; non succede sovente e proprio per questo la presa spettrale si rivela in tutta la sua efficacia da brivido.

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Poject Zero Maiden of Black Water non è il migliore episodio della serie (il più riuscito permane Crimson Butterfly) ma è comunque una più che valida esperienza del terrore, talvolta esotica altre universale nell’umanità del suo senso di disperazione e tragedia. Non c’è spettacolo, nessuna risata liberatoria, solo ansia e una malinconica, orripilante tristezza, ma va bene così per una storia di fantasmi. 

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