DAGOGAMES BY FEDERICO ERCOLE - "RESIDENT EVIL 4" COMPIE VENTI ANNI E NON LI DIMOSTRA, MALGRADO SIA STATO DA POCO REALIZZATO UN NOTEVOLE REMAKE. L’OPERA DI SHINJI MIKAMI E CAPCOM NON PERDE LA SUA POTENZA RIVOLUZIONARIA CHE NON FU SOLO LUDICA MA È ANCHE POLITICA E LA SUA FENOMENALE RITMICA CARPENTERIANA È ANCORA IN GRADO DI ALIMENTARE BRIVIDI E VERTIGINI NEL SUO ECCESSIVO E GRANDGUIGNOLESCO TUNNEL DELL’ORRORE. I GRANDI GIOCHI NON INVECCHIANO MAI… - VIDEO
Federico Ercole per Dagospia
“Per chi suona la campana? Il tempo scorre avanti”. Per chi suona la campana, ribattendo le sue note nei cieli di una Spagna stravolta dalla guerra civile, raccontata da Hemingway e ricordata in questo ritornello dai Metallica nella loro For Whom the Bell Tolls dall’album Ride the Lightning.
Ma si tratta qui di un’altra campana che risuona in una Spagna fittizia ma non dissimile per violenza ed efferatezza, quella i cui rintocchi si odono dall’alto di una squallida chiesa sconsacrata in Resident Evil 4, uscito in Giappone l’11 gennaio del 2005 e che compie quindi venti anni.
Impossibile dimenticare quel suono, apice salvifico di uno dei segmenti di gioco più intensi e coinvolgenti della storia del videogame, la prima ora (ma il tempo è soggettivo) del quarto, rivoluzionario Resident Evil. Varrebbe la pena di proiettare al cinema, per la perfezione della sua ritmica e delle sue immagini, queste straordinarie decine di minuti che attraverso i contorti sentieri di un bosco autunnale e i primi isolati orrori ci conducono infine nell’invasato villaggio di El Pueblo, dove si scatena una sfrenata battaglia contro le orde di disgraziati popolani trasformati in feroci assassini nell’orribile cacofonia di sguaiate e folli invettive, dei proiettili e dello stridente rumore di una motosega brandita da un inarrestabile energumeno.
Chi non è morto più di una volta, durante questa lotta spietata per la sopravvivenza virtuale, mente o è un raro campione. Tuttavia, proprio al limite della spossatezza, nel momento possibile di una rinuncia, ecco i rintocchi indolenti della campana che rapiscono in una quiete mistica i folli, che si ritirano così all’interno della chiesa, lasciando infine solo e “vivo” chi gioca.
Si tratta solo dell’inizio, ci saranno altri grandi momenti in questo Resident Evil così nuovo e diverso, ma nessuno eguaglierà questa disperata battaglia; così celebrare questo gioco, malgrado sia uscito due anni fa un suo notevole rifacimento che rilancia la grandezza dell’originale senza sovrapporsi e cancellarlo, è una cosa buona e giusta. Perché Resident Evil 4 fu la fine e l’inizio del gioco d’azione e avventura in terza persona, un’opera di confine.
LA NEGAZIONE DELLA CONVENZIONE
Circolarono dei brevi video di una versione precedente, prima dell’uscita di Resident Evil 4, che mostravano quanto quest’opera avrebbe potuto essere più convenzionale, malgrado le visioni fantasmatiche del protagonista Leon Kennedy favorissero la presenza di inediti nemici spettrali e alimentassero curiose ma superficiali corrispondenze con i toni lugubri di Silent Hill.
Ma Shinji Mikami cambiò idea e console di riferimento, Resident Evil 4 sarebbe stato una esclusiva Nintendo (ma lo rimase solo per un anno, malgrado l’autore non fosse affatto contento) e il gioco mutò come una delle raccapriccianti creature della serie di Capcom. La ferocia disumana di esseri umani posseduti e potenziati da un orrendo parassita che non negava loro la facoltà di organizzarsi e una micidiale abnegazione, necessitava l’implementazione di una nuova modalità di inquadrare l’azione, quindi addio alle seppur bellissime inquadrature precalcolate fisse o dinamiche dei “vecchi” Resident Evil.
La “macchina da presa” fu posta dietro le spalle di Leon, consentendo al giocatore di osservare lo spazio con più immediatezza e al contempo di mirare e colpire assai meglio. Questo tipo di visuale si rivelò così efficace da influenzare quasi ogni gioco successivo appartenente a questo insieme di generi, da Gears of Wars a Dead Space, rivelandosi funzionale ancora oggi.
Ma non si tratta solo di visione, Resident Evil 4 trasferisce una saga che prima tentava di ispirarsi ai film di Romero, senza riuscirci quasi mai ma divenendo qualcosa d’altro di unico ed eccezionale, in una riuscita dimensione carpenteriana dell’azione e della situazione che è dichiarata soprattutto nel segmento dell’assedio, quando Leon deve resistere all’assalto dei mostri che tentano di penetrare in una baracca.
L’assedio è un luogo comune della cinematografia del regista di Fuga da New York, da Distretto 13 a La Cosa, un “topos” che egli mutuò da Rio Bravo dell’amato Howard Hawks. Resident Evil 4 è un gioco senza moderazione alcuna, eccessivo, solo in superficie sciocco con il suo intreccio che potrebbe essere considerato banale da chi con la stessa cecità non considera i film di Carpenter opere soprattutto politiche. Viviamo anni in cui metafore, simbolismi e allegorie sembrano essere incolte e incomprese se non avversate.
UN PARASSITA PER DOMINARLI TUTTI
In Resident Evil 4 scienza e religione assoggettano il popolo per controllarlo e sfruttarlo e i cattivi detentori del potere, così caricaturali, fanno tutti parte del clero e dell’aristocrazia. In un’epoca dove il nemico nei giochi d’azione era quasi sempre l’altro, il terrorista o comunque lo straniero, qui è invece il Potere e basta; e non importa che Leon sia in Spagna per salvare la figlia del presidente degli Stati Uniti, perché non c’è nessuna retorica nazionalista. Con le sue iperboli e con i suoi squisiti “non sense”, Resident Evil 4 è un gioco sull’orrore del dominio e del controllo ed è per questo che fa paura, per la riconoscibilità dei suoi mostri che neppure la più sguaiata distorsione riesce a dissimulare.
Resident Evil 4 sopravvive dunque al suo comunque ispiratissimo remake, che non lo varia quasi mai se non con qualche miglioria estetica e ludica o illuminando dei sottotesti, permanendo un capolavoro da non dimenticare e seppellire nell’obsolescenza perché i grandi giochi non s’incanutiscono mai, sfuggono alle regole della tecnologia e del gusto, come non invecchiano i film di John Ford o le sonate di Beethoven.