1944-2024, 80 ANNI DI “TAMMURRIATA NERA” – IL MUSICOLOGO PASQUALE SCIALÒ SVISCERA UNA DELLE PIÙ IMMORTALI (E POLITICHE) CANZONI NAPOLETANE CHE, RIELABORATA NEL 1974 DALLA NUOVA COMPAGNIA DI CANTO POPOLARE, ESPLOSE AL DI LA’ DEL GOLFO – “IL FATTO CHE A NAPOLI MOLTE SEGNORINE, E NON, RESTINO INCINTE A SEGUITO DI RAPPORTI CON SOLDATI ALLEATI DI COLORE NON È DI PER SÉ UNA NOTIZIA, MA CHE UNA PUERPERA ACCETTI LA CREATURA APPENA NATA E PENSI DA SUBITO DI DARLE PIENA CITTADINANZA NAPOLETANA CHIAMANDOLA CIRO, E NON JOHN, È SENZA DUBBIO UNA PARTICOLARITÀ CHE MERITA DI ESSERE MESSA IN MUSICA” - JAMES SENESE: "È UNA CANZONE RAZZISTA. OFFENDONO UNA DONNA BIANCA CHE FA UN FIGLIO CON UN NERO. INSOMMA, DICE CHE ’O GUAGLIONE È NU FIGLIE ’E ZOCCOLA" - VIDEO
Estratto del libro “Storia Della Canzone Napoletana” - di Pasquale Scialo – Neri Pozza Editore -Estratto
Tammurriata in bianco e nero
storia della canzone napoletana pasquale scialo copertina
Chi l’avrebbe mai detto che casi di miscegenation (incrocio di razze, ndr) presenti a Napoli nel periodo della Liberazione (occupazione) alleata, considerati biasimevoli esempi di sessualita interraziale, si trasformassero nel tempo in creativi simboli di rinnovamento musicale cui ispirarsi, da quello dei “Neri a meta” all’integrale desiderio del ‘’Vorrei la pelle nera’’?
Nel processo di mutamento sociale e culturale gioca un ruolo non secondario la presenza di brani che raccontano storie di vissuti esistenziali, come Tammurriata nera.
E questa un’invenzione dalla doppia vita: una prima dal 1944, anno della sua nascita, e una seconda a partire dal 1973, grazie alla rigenerazione/rilancio a opera della Nuova Compagnia di Canto Popolare (Nccp), con l’innesto di nuovi materiali, giustapposti alla stesura originale, che ne allargano l’orizzonte per creare una scena intertestuale che accoglie i gesti sonori e le voci della citta nei giorni della guerra.
Dalla prima esecuzione di Vera Landi (nell’ambito delle audizioni per la Piedigrotta E.A. Mario del ’44) a quella di Roberto Murolo, da Renato Carosone a Daniele Sepepina Cipriani, dalla riscrittura della Nccp alla Tammurriata del lavoro nero dei Bisca, fino a Liberato – che strappa dai versi originali alcune espressioni (sott’ ’a botta ’mpressiunata) divenute nel tempo veri e propri modi di dire – questa canzone costituisce un continuum sonoro, un tema con variazioni che arriva fino a noi e che, crediamo, andra ben oltre.
Proviamo a seguirne il percorso analizzando il contesto, il profilo poetico-musicale del brano originale, le successive elaborazioni, nonche le diverse interpretazioni.
Il tema del meticciato accompagna da tempo il colonialismo fascista, che ammette una dimensione di totale asimmetria tra aggressori e vittime con inaccettabili connivenze nei confronti delle violenze sessuali perpetrate dai soldati, fino al divieto ufficiale entrato in vigore solo nel 1937.
Dalla campagna in Eritrea a quella in Etiopia vige il cosiddetto “madamato”, la relazione temporanea more uxorio tra un soldato bianco e una donna di colore. Il “madamato” in molti casi costituisce l’alibi anche ad azioni di stupro ai danni di bambine indifese, quando non vendute come schiave da famiglie schiantate dalla guerra e dalla poverta.
L’assurda affermazione della virilità bianca viene fiancheggiata da una produzione canora, appannaggio di un patriottismo razzista, che inneggia a un processo di civilizzazione “a favore” di popoli ritenuti primitivi sul piano non solo economico ma anche culturale.
Cosi in Bella Abissina, di Francesco Mario Russo e Vincenzo Palermo, si enuncia senza esitazione un elenco di norme da attuare con l’intento di liberare i popoli coloniali dalla schiavitu ([...] mo ca si’ Rumana, / e no cchiu schiava) e con la pretesa di imporre modelli occidentali in ogni campo, fino a inoltrarsi nella sfera privata dei rapporti sessuali, in una sorta di “kamasutra coloniale”.
Quanno sarraie vestuta e prufumata e a uso nuosto faciarraie ’ammore, tanno, tu si’ nu piezzo ’e ciucculata ca putarraie da gusto e cchiu sapore. Bella Abissina mia, che passione! Si pure na canzone tu cantarraie cu me.
Quando sarai vestita e profumata e farai l’amore come lo facciamo noi, solo allora, tu diverrai un pezzo di cioccolata che potrai dare gusto e piu sapore. Bella Abissina mia, che passione! Se pure una canzone tu canterai con me.
Questa tendenza non trova omogeneita di posizioni all’interno del partito Fascista che arriva a censurare perfino la prima versione di Faccetta nera, del 1935, di Giuseppe Micheli e Mario Ruccione – poi divenuta inno ufficiale del regime – per l’eccessivo apprezzamento nei confronti della “razza negroide dell’Abissinia”; o qualche esotica Addisabebana! (Enzo Fusco-Sergio e Alfredo Giannini) che regala, a tempo di rumba, baci ardenti, / piu frementi.
Tante sono le canzoni, molte in lingua, che assecondano questa linea ribadendo l’asimmetria tra due civilta, espressa anche sul piano cromatico con il continuo contrasto tra il bianco e il nero, quest’ultimo ritenuto simbolo di subalternita.
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Questa dualita affiora da subito, a cominciare dal disegno di copertina dello spartito di Tammurriata nera, pubblicato nel 1946. Osservata dall’alto in basso, l’immagine in copertina riproduce un tamburo a cornice, il titolo della canzone in bianco su fondo nero e, a seguire, la scena centrale: donne in bianco dall’espressione pettegola che guardano con occhio critico un piccolo bimbo tutto nero steso a pancia all’aria su un lenzuolo bianco; l’illustrazione si chiude in basso con i nomi degli autori, il logo editoriale e il prezzo.
A tale proposito cosi commenta lo studioso americano Nelson Moe, in un suo lavoro dedicato a questa canzone: «[...] il motivo figurativo si rifa certamente a un decennio di arte pubblicitaria italiana in cui il contrasto bianco-nero era usato nel commercio di prodotti coloniali come cioccolato, caffe eccetera, cosi come per esprimere un rapporto di tipo gerarchico tra Africano e Italiano.
Cio che piu impressiona [...] e che la figura nera non e piu un individuo straniero, proveniente dalle colonie, che porta chicchi di caffe o serve un aperitivo a tavola, ma il figlio di un’italiana, pronto per essere preso in braccio da sua madre».
Ogni canzone che si rispetti, cioe che raggiunga un certo successo, e legata a un aneddoto. Vero o falso che sia, non ha importanza, ma non puo mancare, perche crea un legame emotivo, una sottile complicita, tra le presunte motivazioni creative dell’autore e il vissuto dell’ascoltatore; un caso di pseudo-individualizzazione, avrebbe detto il filosofo Theodor Adorno.
nuova compagnia di canto popolare 2
Ebbene, il fatto che a Napoli molte segnorine, e non, restino incinte a seguito di rapporti con soldati alleati di colore non e di per se una notizia (’sti fatti nun so rare / se ne contano a migliare), ma che una puerpera accetti la creatura appena nata e pensi da subito di darle piena cittadinanza napoletana chiamandola Giro (da Ciro), e non John, e senza dubbio una particolarita che merita di essere messa in musica.
Cosi Edoardo Nicolardi, poeta e direttore amministrativo degli Ospedali riuniti di Napoli, dopo avere assistito a una simile scena, ne resta alquanto colpito. Non dimentichiamo che il nostro e gia un veterano della canzone e, come abbiamo visto, ha scritto in precedenza alcuni testi che rinviano al paesaggio rurale, come Tammurriata capricciosa del 1936. Fra l’altro, si e espresso con qualche componimento coloniale in “bianco e nero”, come l’ambiguo Teste di moro.
Tradizione vuole che Nicolardi, in un incontro privato, racconti il fatto a E.A. Mario, anfibio poeta e musico di patrie leggende, poco dopo divenuto suo consuocero, e che questi si commuova ed esclami: «E na mamma curaggiosa! E na mamma chien’ ’e core! Edua, mo mo, screvimmo ’sta canzone».
Il titolo del componimento, denominato tammurriata – forma rurale di canzone “ncopp’ ’o tammurro”, il nome della quale deriva da “tammorra”, tamburo “a cornice” con una propria identita organologica e una specifica tecnica esecutiva – e associato sulla copertina dello spartito a un canto popolare a suon di tamburello, strumento della stessa famiglia, ma diverso dalla “tammorra” per le dimensioni piu ridotte, il timbro e il modo di suonarlo.
E probabile che per ragioni promozionali si rinvii a uno strumento piu diffuso in citta, come appunto il “tamburello basco”. Sta di fatto che, nonostante il titolo di tammurriata, cosi come avviene in gran parte del repertorio di canzoni urbane, non si riscontrano schemi ritmici specifici, rinvenibili nei diversi stili areali dell’omonimo ballo, ma solo un andamento Allegro con un normale accompagnamento a crome.
……….. La prima strofa si apre con un senso di meraviglia per sottolineare qualcosa da non credere (nun se crede! nun se crede!), riferendosi alla nascita di un bambino che, nonostante il colore niro, niro della pelle, la madre si ostina a chiamare Giro, tipico nome napoletano (sissignore, ’o chiamma Giro!).
Il ritornello che segue inizia con una laconica esclamazione (Seh!, che sta per “veramente?”) a esprimere tutta l’incredulita dell’osservatore, per poi ribadire che non bastera un nome napoletano a cancellare lo stigma, ossia la diversita del colore della pelle del bambino (ca tu ’o chiamme Peppe o Giro, / chillo, ’o fatto, e niro, niro, / niro, / niro comm’a che!).
Il tono ironico e contrappuntato dalla ripetizione di alcune parole chiave e dalla replica di parti dell’ultimo verso, a chiusura di ogni ritornello, proprio come avviene nelle cadenze a coro di una vera tammurriata.
La presenza di un profilo narrativo leggero costituisce, come scrive Vincenza Perilli, un importante dispositivo capace di «[...] esorcizzare (e condannare) un evento di questo tipo – soprattutto quando la nascita di un “criaturo niro” rende letteralmente visibile e quindi non occultabile la realta dell’unione interrazziale – credo risieda [in questo] una delle ragioni dell’enorme successo di Tammurriata nera nell’immediato dopoguerra».
Nella seconda strofa entrano in scena le cummare, protagoniste del contesto popolare, le quali commentano che simili fatti sono oramai molto diffusi e provano a darne una spiegazione, che tuttavia suona piu come un alibi: E vvote basta sulo na guardata, / e ’a femmena e restata, / sott’ ’a botta, ’mpressiunata...
Qui il gioco testuale messo in campo da Nicolardi e tanto sottile quanto ambiguo: in apparenza, rinvia ai codici della superstizione espressi attraverso il “malocchio”; ma puo uno sguardo trasformare un bambino da bianco in nero? Sebbene un antico proverbio a Napoli reciti che l’uocchie so’ peggio d’ ’e scuppettate, cioe che il malocchio puo essere piu potente dello schioppo, e evidente che l’impalcatura narrativa ha un profilo allusivo: uno sguardo seduttivo, unito a esplicite avances, puo turbare e risultare l’anticamera del rapporto fisico.
Non a caso anche il secondo ritornello inizia con la stessa esclamazione dubitativa del precedente (Seh!), invitando a individuare la paternita di chi ha avuto una relazione con la donna (Va’ truvanno mo chi e stato / ca ha cugliuto buono ’o tiro).
Va detto che nei giorni della Liberazione non solo si diffonde a Napoli il fenomeno della prostituzione, ma accade anche che molte giovani donne, vuoi per le precarie condizioni economiche, vuoi perche vittime di un colpo di fulmine, intessano relazioni con i militari stranieri; fatto che si diffonde a macchia d’olio, provocando forti lacerazioni nel tessuto sociale.
Dal diario di Norman Lewis apprendiamo quanto tesa risulti la situazione in diversi quartieri di Napoli e quanto «[...] l’intrusione della presenza alleata nella vita sentimentale e am rosa della citta stia provocando una situazione spiacevole, e destinata a deteriorarsi. [...] I matrimoni, in linea di massima, si celebrano all’interno del rione, e in alcuni casi – per esempio il quartiere dei pescatori, il pallonetta [pallonetto, N.d.A.] di Santa Lucia – i giovani di entrambi i sessi non sposano praticamente mai uno di fuori.
Ogni rione ha la sua rete di rapporti, le sue tradizioni, la sua struttura sociale, i fidanzamenti e matrimoni sono questioni che coinvolgono la collettivita. Poi sono entrati in scena i soldati stranieri, fin dal primo momento in collisione con i ragazzi del posto, che non hanno ne lavoro, ne prestigio, ne soldi, assolutamente nulla da offrire alle ragazze.
Un soldato britannico, per quanto misera sia la sua paga, guadagna piu di un capo reparto della Navale Meccanica, mentre le entrate di un militare americano – che puo spargere intorno a se una pioggia di sigarette, caramelle, e persino calze di seta – sono superiori a quelle di qualsiasi impiegato italiano di Napoli.
La tentazione e molto forte, e poche paiono capaci di resistere. Cosi il lungo, delicato, elaborato corteggiamento napoletano – complesso quanto il rituale amoroso di uccello esotico – e stato rimpiazzato da un approccio brutale e muto, e da un puro e semplice atto di compravendita. C’e da chiedersi quanto tempo impiegheranno i giovani di Napoli, dopo che ce ne saremo andati, per riprendersi da questa amara esperienza».
Tornando alla nostra canzone, nell’ultima parte troviamo un ortolano che con un paraustiello, un’analogia pretestuosa, sentenzia che, cosi come avviene in campagna, ogni raccolto deriva da cio che si e seminato, e quindi inevitabile che ’o ninno, e niro, niro, / niro, / niro comm’a che!
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Ha ditto ’o parulano: «Embe parlammo, pecche, si raggiunammo, chistu fatto nce ’o spiegammo! Addo pastine ’o ggrano, ’o ggrano cresce: riesce o nun riesce, sempe e grano chello ca esce!». Me, dillo a mamma, me! Me, dillo pure a me! Ca tu ’o chiamme Ciccio o Ntuono, ca tu ’o chiamme Peppe o Giro, chillo...’o ninno, e niro, niro, niro, niro comm’a che! Ha detto l’ortolano: «Ebbene parliamo, perche, se ragioniamo, ci spieghiamo l’accaduto! Dove si semina grano, il grano cresce: riesce o non riesce, e sempre grano quello che spunta!». Su, dillo a mamma, su! Su, dillo pure a me! Che tu lo chiami Ciccio [Francesco] o Ntuono [Antonio], che tu lo chiami Peppe o Giro [Ciro], quello... il bimbo, e nero, nero, nero, senza dubbio nero!
SECONDA GUERRA MONDIALE - BORDELLO A NAPOLI
Questo brano dal motivo scanzonato, che induce d’istinto a seguire il tempo battendo le mani o il piede, ha il pregio di raccontare senza ideologismi il dramma di un’intera comunita, quello dei bambini meticci che hanno vissuto una condizione di disagio e di inferiorita; quello che lo studioso Frantz Fanon definisce fenomeno di “epidermizzazione”, per cui la diversita del colore del corpo diventa spesso bersaglio di sguardi sprezzanti.
Esemplare la testimonianza del musicista James Senese sulla sua condizione di “diverso” e sul profilo di Tammurriata nera: «Quella? Quella e una canzone razzista, fai attenzione, non sentire la musica, ascolta le parole: offendono una donna bianca che fa un figlio con un nero. Insomma dice che ’o guaglione e nu figlie ’e zoccola».
Si tratta dunque di un componimento con un testo dalla doppia valenza, che da un lato rinvia a un tono dall’apparenza giocoso, dall’altro sottende un profilo ambiguo, in quanto scevro da giudizio critico, sorretto da una musica coinvolgente che si presta a varie interpretazioni.
Forse anche per questo viene ripreso in diversi tempi e contesti: al cinema, in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica, nel 1948, viene eseguito dal vivo in una trattoria da un gruppo di suonatori ambulanti, i cosiddetti “posteggiatori musicali”80; nel 1952 Roberto Murolo ne da un’interpretazione da “fine dicitore”, con un testo ben declamato.
Nel 1974 la stesura originale del brano viene rielaborata da Roberto De Simone, con l’innesto di nuovi materiali, e riproposta dalla Nuova Compagnia di Canto Popolare con una versione che si attesta ai primi posti nelle classifiche discografiche italiane.
Compare il ritmo della tammurriata appena annunciata nel titolo dagli autori, quello delle cosiddette canzoni “copp’ ’o tammurro”, e una vocalita en plein air con le voci del vicolo, le urla delle comari che commentano e una vocalita “a distesa”, sorretta alla fine di ogni distico da una risposta antifonica che ripete l’ultimo verso.
Insomma la canzone urbana, con la sua forma, la sua notazione codificata, nonche il suo codice interpretativo, si trasforma in canto, cui si allude nel sottotitolo della copertina, che accoglie, cosi come avviene nella tradizione orale, gli umori, la teatralita e i gesti sonori della scena cittadina degli anni della guerra.
SECONDA GUERRA MONDIALE - BORDELLO A NAPOLI
Alla fine dei versi e della musica di Nicolardi e E.A. Mario, si innesta una serie di strofe che descrivono gli accadimenti, ripresi in buona parte da quelli che si cantavano spontaneamente a Napoli nel dopoguerra, ora per raccontare la violenza sessuale e gli stupri subiti da alcune donne, ora per reclamizzare la vendita di sigarette americane di contrabbando, ma con i nomi storpiati (cosi le sigarette Pall mall si trasformano in ’e palle ’mmano);
ora anche per parodiare qualche brano americano diffuso dai V-disc – i dischi della vittoria, nati per le truppe militari tra il 1943 e il 1947 da un’idea del tenente Robert Vincent, responsabile del settore radiofonico del Dipartimento di Guerra – come Pistol packin’ mama di Al Dexter, il cui ritornello originale si trasforma in un gioco fonetico, cantato da Bing Crosby, difficilmente traducibile:
Lay that pistol down, babe, Lay that pistol down. Pistol packin’ mama, Lay that pistol down.
banda di suonatori ambulanti in una trattoria - ladri di biciclette
E levate ’a pistulda uh be levate ’a pistulda. E pisti pakin mama e levate a pistulda.
Parte di questi materiali deriva dalle creazioni e manipolazioni di alcuni “posteggiatori”, su tutti Eugenio Pragliola (Rio de Janeiro, 1907 – Giugliano, 1989), in arte Cucciariello, detto anche Eugenio cu ’e llente, che sotto una bombetta e dietro un paio di occhiali senza lenti intrattiene il pubblico con fisarmonica e megafono, proponendo con la sua voce rauca, nel registro grave, improvvisazioni, canzoni e parodie.
Tra queste anche Tammurriata nera, interpolata da strofette popolari che circolavano a Napoli alla fine della seconda guerra mondiale, la piu nota delle quali rievoca la drammatica storia delle “marocchinate”, qui nell’area adiacente all’aeroporto di Capodichino.
banda di suonatori ambulanti in una trattoria - ladri di biciclette
’E “ssignurine” ’e Caperichino fanno ’ammore cu ’e marucchine ’e marucchine se vottano ’e lanza ’e “ssignurine” cu ’e ppanze annanze.
Le “signorine” di Capodichino amoreggiano coi marocchini i marocchini si lanciano alla conquista e loro restano incinte.
Questa intensa rielaborazione di Tammurriata nera viene nel corso degli anni ulteriormente ampliata da Peppe Barra, che aggiunge i moniti accorati delle madri alle figlie, esposte alle violenze dei soldati, contrappuntati da vere e proprie performance fonetiche, fatte di urla, sberleffi e suoni gutturali.
banda di suonatori ambulanti in una trattoria - ladri di biciclette
Un’ulteriore variazione sul motivo della canzone arriva nel 1993 a opera del gruppo Bisca, che in forma di parodia ripropone una Tammurriata del lavoro nero, in cui si racconta la disumana condizione di sfruttamento subita dagli extracomunitari nelle province della Campania.
Seh! na ’mpressione, seh! Seh! ’a tolleranza, seh! A Giugliano, a Baia Domizia a Villa Literno a Casandrino Chillo...’o fatto, e niro, niro, niro, niro comm’ a che.
Seh! un’impressione, seh! Seh! la tolleranza, seh! A Giugliano, a Baia Domizia a Villa Literno a Casandrino L’accaduto e nero, nero, nero, senza dubbio nero!
amendola e corbucci bella abbissinia copertinafaccetta neramussolini odiava faccetta nera