
DAGOREPORT – CHE FARÀ IL PRESIDENTE DELLA BANCA CENTRALE AMERICANA, JEROME POWELL? AL GROTTESCO RINCULO TRUMPIANO DI 90 GIORNI SUI DAZI AVRA' CONTRIBUITO, OLTRE AI MERCATI IN RIVOLTA, L'AVANZARE DI UNA FRONDA REPUBBLICANA CONTRO IL TYCOON GUIDATA DAL SENATORE RAND PAUL (ORA SONO NOVE) - UNA FRONDA CHE, AGGIUNTA AL VOTO DEI DEM, POTREBBE ANCHE METTERE TRUMP IN MINORANZA AL CONGRESSO - SE IL TRACOLLO DELL’ECONOMIA A STELLE E STRISCE DIVENTERA' INGESTIBILE, L'ARMA FINALE E' L'IMPEACHMENT DEL CALIGOLA PER MALGOVERNO AI DANNI DEGLI STATI UNITI...
DAGOREPORT
I poteri forti americani hanno lo sguardo rivolto alla conferenza stampa, prevista la prossima settimana, del gran capo della Federal Reserve, Jerome Powell.
Il gran custode del dollaro, avversario delle crytovalute amate da Musk e Thiel, non vive giorni facili: il presidente gli chiede un drastico taglio dei tassi per salvare l’economia americana dalle ripercussioni dei dazi, ma ciò potrebbe causare una nuova fiammata dell’inflazione che, unita alla recessione, diventerebbe "stagflazione". Una tragedia.
Che farà Powell? Chinerà il capo e cederà alle pressioni della Casa Bianca, accontentando chi l’ha nominato al vertice della Banca centrale americana (fu Trump a sceglierlo nel 2017)? Oppure rispetterà l’indipendenza dell’istituto? Questa seconda opzione pone un’altra domanda: davanti a un riottoso rifiuto, Trump lo caccerà?
L’ipotesi preoccupa gli investitori statunitensi, che considerano Powell l’ultimo baluardo prima della catastrofe sui mercati: finché c’è lui alla guida della Fed, c’è un argine di ragionevolezza a contenere la furia protezionista del tycoon.
Sui siti americani, la preoccupazione è ben espressa da editoriali e interviste con cui molti analisti, economisti, politologi, si chiedono: Trump può ravvedersi e fare marcia indietro sui dazi se si scatenasse il caos sui mercati? La pervicacia quasi ottusa con cui il Presidente ha marciato in una direzione ostinata e contraria rispetto a quanto gli veniva consigliato dai massimi esperti di economia, è finita come è finita: con l'annuncio di sospendere i dazi per 90 giorni (Cina esclusa).
Una inversione a U dello psico-demente al quale avrà di sicuro contribuito la fronda all’interno del partito repubblicano che si oppone al movimento “Maga”: il senatore del Gop, Rand Paul, ha già creato intorno a sé una minoranza critica che conta nove parlamentari, parlando di “sussurri silenziosi” da parte degli altri “vecchi” repubblicani (“mi dicono all’orecchio che il libero scambio è buono, continuate così”).
La “rivolta” degli anti-Trump del GOP, insieme al voto dei Dem, può diventare decisiva qualora il Congresso decidesse di sfilare al Presidente l’autorità sui dazi, mettendolo in minoranza.
MEME SU DONALD TRUMP GOLFISTA E DAZISTA
Come scriveva ieri Matteo Persivale sul “Corriere della Sera”, “la Costituzione degli Stati Uniti conferisce al Congresso, non al presidente” il potere di imporre tariffe: “per una serie di motivi, è stato delegato al presidente attraverso due leggi. Il Trade Expansion Act del 1962 (alla Casa Bianca c’era Kennedy) [...] e il Trade Act del 1974 (alla Casa Bianca c’era Ford).
In entrambi i casi si tratta di deleghe, non di mandati costituzionali: il che significa che sono semplici leggi approvate dal Congresso, e che il Congresso può modificare quando vuole, a maggioranza semplice. Il Congresso potrebbe, oggi stesso, privare Trump di questo potere a lui delegato riprendendosi il pieno controllo in materia”.
E ancora: “Trump ovviamente porrebbe il veto, ma il veto può essere scavalcato da una maggioranza di due terzi in entrambe le Camere […]. Il calcolo è semplice: basterebbero i democratici, all’unanimità, insieme con 75 deputati repubblicani e 20 senatori repubblicani, per togliere a Trump il potere di decidere dazi, tariffe, oneri doganali e così via”.
DAZI - IL PIANO ANNUNCIATO DAGLI STATI UNITI
Nel caso in cui il Presidente si dimostrasse insensibile alla fronda e ai “sussurri” del suo partito e alle iniziative del Congresso, i due rami del Parlamento potrebbero in estrema ratio valutare l’impeachment.
Bill Clinton fu sottoposto alla procedura per aver mentito al Congresso sulla relazione extraconiugale con Monica Lewinsky. Allo stesso modo, a Trump potrebbe essere mossa l’accusa di governare contro gli interessi americani. Di danneggiare, cioè, il Paese con provvedimenti economici boomerang.
Si tratta, ovviamente, di un’ipotesi molto remota, per il momento, ma davanti al crollo delle borse, alla fuga degli investitori e a dolorose ripercussioni sulla ricchezza dei cittadini americani, nulla può essere escluso.
IL DILEMMA DI POWELL
Estratto dell’articolo di Claire Jones, Stephanie Stacey e Kate Duguid per “Financial Times”
I dazi di Donald Trump hanno scioccato i mercati globali — e lasciato alla Federal Reserve statunitense un problema spinoso: tagliare i tassi d’interesse per cercare di prevenire un brusco rallentamento economico, oppure mantenerli elevati per prevenire un nuovo scoppio dell’inflazione.
L’orientamento dei mercati è verso i tagli. In seguito al crollo delle Borse dopo l’annuncio da parte del presidente dei dazi del “giorno della liberazione”, i trader ora scommettono che la Fed ridurrà i tassi d’interesse quattro o cinque volte quest’anno, contro le tre previste prima del grande annuncio di Trump.
BORN TO TARIFF - ILLUSTRAZIONE DEL FINANCIAL TIMES
Il messaggio del presidente della Fed Jay Powell, tuttavia, è stato più aggressivo in tema di tassi. I dazi avranno un impatto “persistente” sull’inflazione negli Stati Uniti, ha dichiarato venerdì, il che renderebbe più difficile per la banca centrale avviare un allentamento.
È una divergenza che potrebbe in parte definire l’andamento dell’economia americana per quest’anno. Le banche di Wall Street stanno già facendo i conti con il problema: stanno alzando le previsioni per l’inflazione, ma tagliando quelle sulla crescita — arrivando persino ad avvertire che gli Stati Uniti potrebbero cadere in recessione se Trump non farà un passo indietro sui dazi.
Questo implicherebbe un intervento della Fed per abbassare i tassi. Trump è d’accordo. Poco prima che Powell parlasse venerdì — mentre l’S&P era nel pieno di una rapida discesa — il presidente ha scritto su Truth Social che sarebbe “il momento PERFETTO” per il presidente della Fed di tagliare il costo del denaro. “È sempre ‘in ritardo’, ma ora potrebbe cambiare la sua immagine, e in fretta,” ha dichiarato Trump. “TAGLIA I TASSI, JEROME, E SMETTILA DI FARE POLITICA!”
Molti economisti ritengono però che il problema non sia così semplice. Con un’inflazione sui consumi personali al 2,5%, ancora al di sopra dell’obiettivo del 2% della Fed, e con le aspettative che i dazi accelerino ulteriormente il ritmo, la banca centrale è in una posizione eccezionalmente difficile, ha dichiarato Sarah House, economista senior presso Wells Fargo. Si aspetta che la Fed mantenga i tassi tra il 4,25% e il 4,5% “il più a lungo possibile”.
[…] Anche Larry Fink, amministratore delegato di BlackRock, ha dichiarato lunedì di essere più preoccupato per l’inflazione e ha affermato di vedere “zero possibilità” di tagli nel breve termine. “Sono preoccupato per l’inflazione se davvero entreranno in vigore tutti i dazi proposti,” ha detto.
Anche i funzionari della Fed hanno segnalato che, finché non ci saranno segnali chiari che questa spinta economica si è invertita e che l’effetto dello shock commerciale di Trump sui prezzi è svanito, la banca centrale rimarrà in una posizione di “attesa e osservazione”.
[…] I mercati, però, pensano che accadrà molto prima, con un taglio di 0,25 o 0,5 punti percentuali già nella riunione di giugno della Fed — un calendario accelerato rispetto alla riduzione di un quarto di punto attesa solo la settimana scorsa per luglio.
DONALD TRUMP - FRA DAZIO DA VELLETRI
Gli economisti sostengono comunque che la banca centrale darà priorità alle pressioni sui prezzi rispetto al rischio di recessione — soprattutto dopo aver combattuto negli ultimi due anni una delle peggiori fiammate inflazionistiche della memoria recente.
[…] Molto dipende innanzitutto da Trump e da quanto duramente vorrà insistere con i dazi. Lunedì, ha proposto di aumentare ancora i prelievi sull’esportatore più grande al mondo, la Cina, pur segnalando la sua apertura a negoziati commerciali con Paesi come il Giappone.
Se insisterà con i dazi più duri, l’impatto sulla domanda dei consumatori potrebbe essere abbastanza grave da cancellare ogni preoccupazione per i prezzi e spostare tutta l’attenzione sulla salute dell’economia.