
TRUMP HA SCATENATO IL DRAGONE: DOPO I DAZI, ORA SONO CAZZI (PER GLI USA) – LA CINA HA IN MANO UN ARSENALE TRABOCCANTE DI ARMI PER COMBATTERE LA GUERRA COMMERCIALE CON GLI STATI UNITI: NON SOLO HA IN TASCA 760 MILIARDI DI DOLLARI DI DEBITO PUBBLICO, MA NEI GIORNI SCORSI HA ANCHE FATTO STOCK DI MATERIE PRIME (RAME, ALLUMINIO, ZINCO, ORO, ARGENTO E NICHEL), PER METTERE IN DIFFICOLTÀ LE AZIENDE AMERICANE – PECHINO PROCEDE CON UNA SVALUTAZIONE CONTROLLATA DELLO YUAN, E VENDE DOLLARI IN GRANDI QUANTITÀ – IL RENMINBI DIGITALE E LA LISTA “NERA” DELLE SOCIETÀ AMERICANE E I CONTRO-DAZI…
TANTI SALUTI ALLO ZIO SAM: BENVENUTI NEL NUOVO ORDINE MONETARIO - LA BANCA CENTRALE CINESE ANNUNCIA CHE POTREBBE DISTRUGGERE IL DOMINIO DEL DOLLARO: PECHINO ALLARGA IL SUO SISTEMA DI PAGAMENTI INTERNAZIONALI, BASATO SULLO YUAN DIGITALE, AI DIECI PAESI DELL’ASEAN E A SEI DEL MEDIO ORIENTE – FUBINI: “PER LA PRIMA VOLTA DISINTERMEDIA IL SISTEMA DI PAGAMENTI SWIFT A REGIA AMERICANA (CHE AVEVA DOMINATO IL MONDO FIN QUI) GRAZIE UN SISTEMA DIGITALE MOLTO PIÙ RAPIDO ED EFFICIENTE. COPRE GIÀ IL 38% DEGLI SCAMBI MONDIALI, MENTRE GLI STATI UNITI SI ISOLANO…”
1. XI HA DECISO: GUERRA GLOBALE CONTRO GLI USA
Estratto dell’articolo di Laura Della Pasqua per “La Verità”
Pechino imbraccia il bazooka. La risposta del Dragone alla decisione del presidente Donald Trump di applicare dazi del 104% (ma ieri ha annunciato un ulteriore aumento al 125%) non si è fatta attendere. Da oggi le tariffe sui beni made in Usa salgono dal 34% all’84%. Ed è solo l’inizio. Una nota del ministero delle Finanze riferisce che altre questioni saranno implementate.
[…] L’impatto della guerra commerciale si fa già sentire. Una delle conseguenze più immediate, come racconta il South China Morning Post, è che si è ridotto il volume delle spedizioni dirette dalla Cina agli Stati Uniti, passando da 40-50 container al giorno a soli 3-6.
I timori della recessione, spiega il quotidiano, stanno spingendo alcuni esportatori cinesi a prendere la drastica decisione di abbandonare le spedizioni a metà viaggio e cedere i container alle compagnie di navigazione per evitare gli schiaccianti costi tariffari.
[…] Lunedì scorso mentre l’Europa si contorceva nel disegnare scenari drammatici, alcuni fondi finanziari cinesi speculavano sul ribasso delle materie prime. «In modo molto concreto e con grande rapidità, la finanza cinese ha colto al volo l’opportunità di acquistare futures di rame, alluminio, zinco, oro, argento e nichel a prezzi convenienti», spiega Gianclaudio Torlizzi, fondatore di T-Commodity e consulente del ministro della Difesa, che ricorda che Pechino già controlla il 90% circa delle scorte di rame e alluminio. […]
DETENTORI ESTERI DEL DEBITO USA
Ieri ha tenuto banco un altro fenomeno speculativo. I titoli di Stato Usa non sono più visti come un porto sicuro, sicché si è scatenata una «svendita» a ritmi che non si vedevano dalla crisi Covid. Il rendimento di quelli trentennali, nella mattinata di ieri, è arrivato a superare il 5%, in aumento di 30 punti da inizio settimana, mentre il decennale è al 4,35%, su di 36 punti.
In parallelo i prezzi, inversamente correlati ai rendimenti, crollano. E l’indice che monitora la volatilità sul mercato dei Treasury è balzato al livello più alto da ottobre 2023. La consegna di «sell» è scattata sulla paura che i dazi alla Cina mandino gli Stati Uniti in recessione e al tempo stesso spingano l’inflazione. Se la tendenza si consolidasse sarebbe un gigantesco problema per gli Usa che hanno un debito da 36.000 miliardi di dollari, pari al 123% del pil.
Qualche analista ha paventato che Pechino, in risposta all’offensiva commerciale Usa, abbia già iniziato a liquidare una parte dei quasi 800 miliardi di dollari di titoli del Tesoro Usa che ha in portafoglio per influenzare l’andamento delle prossime aste. Pechino è il secondo detentore di titoli pubblici americani dopo il Giappone.
I DAZI DI DONALD TRUMP - MEME BY 50 SFUMATURE DI CATTIVERIA
Torlizzi però frena su questa ipotesi. «A vendere sono piuttosto i fondi istituzionali che temono un aumento dell’inflazione» afferma. «Se la Cina facesse un’operazione di questo genere rischierebbe di deprezzare in modo consistente la propria moneta».
Invece al momento la svalutazione dello yuan procede in modo controllato. Bloomberg scrive che la Cina sta orchestrando un indebolimento ordinato dello yuan, con la Banca centrale in prima linea nel ridurre una parte dell’impatto economico della guerra sui dazi, senza destabilizzare i mercati finanziari. […]
La People’s bank of China (Pboc) ha fissato per il quinto giorno consecutivo un tasso di cambio di riferimento più debole per la valuta. Le banche statali, riferisce l’agenzia, hanno venduto dollari in grandi quantità per sostenere lo yuan nel mercato onshore. […]
LA CINA HA PRONTO UN ARSENALE PER LA GUERRA COMMERCIALE CHE PRENDE DI MIRA LE AZIENDE STATUNITENSI
Traduzione di un estratto dell’articolo di Lingling Wei per il “Wall Street Journal”
Negli anni successivi alla prima guerra commerciale del presidente Trump con la Cina, Pechino ha costruito un arsenale di strumenti per colpire gli Stati Uniti nei punti più vulnerabili. Ora si prepara a utilizzarli pienamente.
[…] Mentre Trump ha fatto delle tariffe la sua arma commerciale prediletta, la strategia cinese va ben oltre, puntando sulla forza di attrazione del mercato interno per colpire le aziende americane. L’idea di fondo è infliggere sofferenze a quelle imprese che fanno affidamento sui legami con la seconda economia mondiale.
XI JINPING CON I SOLDATI CINESI
Gli strumenti già utilizzati da Pechino […] includono controlli all’esportazione di materiali critici per la produzione di chip e componenti per la difesa, indagini regolatorie con l’obiettivo di intimidire e penalizzare aziende USA, nonché liste nere pensate per escluderle dal mercato cinese. Le autorità si stanno inoltre preparando a fare pressione sulle imprese statunitensi affinché cedano proprietà intellettuale strategica come condizione per continuare a operare in Cina.
Questo arsenale evidenzia la capacità del presidente Xi Jinping di impegnarsi in un conflitto economico prolungato con gli Stati Uniti. Mentre entrambe le capitali si muovono verso un processo di disaccoppiamento economico, aumentano i rischi per le aziende statunitensi che operano, investono o commerciano con la Cina.
«La Cina ha assemblato sistematicamente un nuovo arsenale pensato per minimizzare i costi per sé stessa e massimizzare il dolore per gli Stati Uniti», ha detto Evan Medeiros, ex alto funzionario per la sicurezza nazionale sotto l’amministrazione Obama e ora professore alla Georgetown University. «Sono preparati in modo da godere di un vantaggio asimmetrico nella guerra commerciale».
[…] La Cina esporta molto più di quanto importi dagli Stati Uniti, ma è comunque il terzo maggiore acquirente di beni americani, tra cui soia, aeromobili e prodotti petroliferi.
Alcune opzioni rimangono poco probabili per ora, poiché avrebbero un impatto negativo anche sulla Cina stessa: ad esempio, una drastica svalutazione dello yuan o la vendita massiccia di titoli del Tesoro USA. Entrambe le mosse potrebbero destabilizzare i mercati finanziari cinesi e compromettere l’obiettivo strategico di rafforzare i rapporti commerciali con altri paesi.
Negli ultimi tempi, funzionari cinesi hanno avviato contatti con paesi del Sud-est asiatico come Cambogia, Laos e Thailandia per rafforzare il commercio e promuovere l’utilizzo dello yuan per le transazioni internazionali, secondo fonti informate. Durante questi colloqui, è emersa la volontà di mantenere stabile la valuta nazionale per favorire la «de-dollarizzazione» e aumentare l’uso internazionale dello yuan.
[…] Le più recenti contromisure cinesi evidenziano il crescente focus nel colpire le aziende americane, soprattutto quelle coinvolte nelle tecnologie avanzate. In questo braccio di ferro con Washington, Pechino continua a usare l’accesso al proprio mercato come leva, anche a fronte di una crescita economica interna rallentata.
Nonostante gli investimenti diretti esteri siano crollati negli ultimi due anni, sondaggi recenti mostrano che molte multinazionali — dalle case automobilistiche alle aziende farmaceutiche, fino ai produttori di semiconduttori — continuano a mantenere una presenza attiva in Cina.
Tuttavia, queste aziende risultano sempre più esposte ai rischi geopolitici legati al Paese. Un nuovo rapporto commissionato dalla U.S. Chamber of Commerce Foundation ha rilevato che la maggior parte delle circa 200 aziende statunitensi intervistate negli ultimi anni considera la Cina la principale fonte di rischio geopolitico.
Uno degli strumenti usati da Pechino per perseguire i suoi obiettivi è la normativa antimonopolio. Ad esempio, alcune acquisizioni da parte di imprese statunitensi — come la proposta di Intel di acquisire la israeliana Tower Semiconductor — sono naufragate a causa dei ritardi nell’approvazione da parte delle autorità cinesi.
In risposta agli ultimi dazi di Trump, la Cina ha avviato la scorsa settimana un’indagine antitrust sulle operazioni di DuPont nel paese, che nel 2023 ha generato il 19% del proprio fatturato dalla Cina continentale e Hong Kong, senza fornire spiegazioni ufficiali.
Il regolatore cinese sta inoltre valutando un accordo per il passaggio di controllo su due porti di Panama dal gruppo CK Hutchison — controllato dalla famiglia del magnate di Hong Kong Li Ka-shing — a un consorzio guidato da BlackRock. Anche se nessuna delle aziende coinvolte ha sede in Cina continentale, l’indagine cinese minaccia di bloccare l’intesa, già oggetto di tensioni geopolitiche tra Pechino e Washington. L’accordo ora rischia di saltare dopo che l’autorità di vigilanza di Panama ha accusato CK Hutchison di mancati pagamenti e irregolarità nei permessi.
XI JINPING - CONGRESSO NAZIONALE DEL POPOLO A PECHINO
Un’altra arma commerciale di Pechino è la cosiddetta «lista delle entità inaffidabili», equivalente alla lista nera statunitense che vieta rapporti commerciali con aziende o individui stranieri ritenuti una minaccia alla sicurezza nazionale.
La Cina ha creato questa lista nel 2019 dopo che gli Stati Uniti avevano inserito Huawei tra le entità soggette a restrizioni. Le imprese considerate «inaffidabili» vengono escluse da investimenti e scambi con aziende cinesi e possono subire anche restrizioni all’ingresso per i loro dirigenti.
Un nuovo studio di Evan Medeiros e Andrew Polk — cofondatore della società di analisi Trivium China — pubblicato sul Washington Quarterly mostra che la Cina ha finora adottato un approccio cauto nell’uso di questo strumento, ma sta cambiando rotta.
CINA - CRISI DEL MODELLO ECONOMICO
Ha iniziato a usarlo nel 2023, includendo Lockheed Martin e Raytheon Missiles & Defense per le loro vendite di armi a Taiwan. La mossa ha avuto un impatto limitato, poiché nessuna delle due ha un forte legame commerciale con la Cina continentale, e le filiali commerciali di Raytheon nel paese non sono state colpite.
Ma tra l’autunno 2024 e l’inizio del 2025, le autorità cinesi hanno intensificato l’uso di questa lista, sia in termini di frequenza che di ampiezza.
Più recentemente, […] Pechino ha esteso la lista a includere aziende americane non legate alla difesa, come PVH (la casa madre di Calvin Klein e Tommy Hilfiger) e la società biotecnologica Illumina. PVH è finita nel mirino dopo aver dichiarato che avrebbe escluso il cotone proveniente dallo Xinjiang per conformarsi alle leggi statunitensi; Illumina, invece, è sospettata di aver fatto pressioni per escludere i concorrenti cinesi dal mercato USA.
Fino all’inizio di questa settimana, secondo lo studio di Medeiros e Polk, la Cina ha inserito 38 entità statunitensi nella propria blacklist — e si prevede che ne aggiungerà altre nel quadro della sua competizione strategica con Washington.