LA FUSIONE TRA TELECOM E MEDIASET RESTERÀ SOLO UN TELE-SOGNO? - CON BOLLORÉ CHE STUDIA L’INGRESSO IN MEDIASET PREMIUM, L’IPOTESI TORNA IN CAMPO. MA GLI OSTACOLI SONO TROPPI - CIPOLLETTA: “PER TELECOM CI VUOLE LA CDP”
1.BOLLORÉ STUDIA IL DOSSIER MEDIASET - SUL TAVOLO LA PARTITA PER PREMIUM - SI GUARDA ALLA POSSIBILE INTESA TRA COLOGNO E TELECOM ITALIA
Simone Filippetti per “Il Sole 24 Ore”
L'autunno dei media ricomincia dalla pay-tv. Ossia da dove si era fermato prima delle ferie d'agosto. Mediaset e Vivendi sono i protagonisti. Ma l'esito finale potrebbe addirittura condurre molto più lontano: a Telecom Italia. A quel punto, accantonato per un ora un matrimonio Vivendi-Telecom, il leitmotiv che ha tenuto banco per tutta l'estate, ecco che tornerebbe in auge il mai sopito dossier di un aggregazione Telecom-Mediaset.
Complice un incontro in barca tra PierSilvio Berlusconi il finanziere bretone Vincent Bollorè, a fine luglio, si riaccendono intanto i riflettori su Mediaset Premium. Primo tassello di un puzzle molto più complesso. Ma andiamo con ordine. A inizio estate Telefonica, il colosso telefonico di Cesar Alierta, ha comprato il 10% della piattaforma pay del Biscione. Una mossa a sorpresa perché da quasi un anno si parlava di francesi (CanalPlus) e arabi (Al Jazeera) come potenziali soci. Alla fine l'hanno spuntata gli spagnoli, già alle prese con Mediaset sul dossier Digital+.
Ora tornano in auge proprio i transalpini di CanalPlus, interessati a entrare anche loro nel capitale di Premium. Ma sulla pay-tv italiana si gioca in realtà una partita molto più ampia, facendo intrecciare (nuovamente) le strade di Telecom e Mediaset. Per due motivi. Primo perché Canal Plus è di proprietà di Vivendi. Secondo, la stessa Vivendi sta trattando con Telefonica il possibile acquisto di Gvt in Brasile. Quindi si ritorna a Bollorè. Vivendi e Telefonica si sono dati un'esclusiva di 3 mesi per trovare un accordo. E la novità di ieri è che Vivendi e Mediaset hanno congelato fino a dicembre i colloqui su Premium. Coincidenze temporali.
Se e non appena si chiuderà la partita carioca, Vivendi si dedicherà al dossier Mediaset. A quel punto, partiranno anche le trattative sul fronte Premium. Con un Bollorè che mette un piede dentro Mediaset e il matrimonio Vivendi-Telecom sfumato, ecco che riprende quota l'idea di un merger Mediaset-Telecom. Cosa che forse non dispiacerebbe nemmeno a un Silvio Berlusconi da tempo molto in disparte e silente nell'agone politico. Un silenzio letto dal mondo della finanza come l'interesse dell'ex premier a che il Governo appoggi un'eventuale aggregazione.
marco patuano ad telecom italia
D'altronde di un matrimonio «Media-Tel» se ne parla almeno da dieci anni. Ma il disegno è rimasto sempre una chimera anche perchè il mercato andava nella direzione opposta: separazione dei business. La telefonia alle telco, la tv egli editori. Ora però la convergenza è realtà: gli smartphone sono le tv del nuovo Millennio. E il mercato spinge: le telco, schiacciate da margini sempre più risicati, hanno bisogno di contenuti pregiati, da vendere a prezzo premium. Dall'altro lato gli editori soffrono per un mercato pubblicitario che negli ultimi 4 anni ha perso il 30%.
La stessa Mediaset è finita in rosso per la prima volta nella sua storia (nel 2012) e ha messo in atto un piano di tagli lacrime e sangue. Le prospettive per il mercato pubblicitario però non sono rosee, e una soluzione strategica va trovata. Ecco che potrebbe essere dunque la volta buona per un matrimonio con Telecom. Anche perchè sono maturi i tempi di colossi integrati tlc-tv-editoria. Primo, la tecnologia: oggi il consumo di programmi televisivi passa per lo più da smartphone e tablet.
Un mercato in mano alle Telco. Secondo, il mercato sta andando nella direzione della conglomerata. La scorsa primavera negli Stati Uniti il gigante At&T, la Telecom Italia degli Stati Uniti, si è comprata DirectTv, un canale televisivo via cavo. Al momento, però, non c'è nulla di concreto: i banchieri d'affari vicini ai dossier di casa Berlusconi sono ancora in ferie, così come i manager della galassia Fininvest. In casa Mediaset respingono ipotesi in tal senso.
Lo scenario «Media-Tel» è suggestivo, ma deve superare ostacoli non di poco conto. Ci sarebbero problemi Antitrust e regolatori; la governance sarebbe un altro nodo difficile; e infine gli assetti azionari.
2.LA CHIMERA DELLA FUSIONE CON TELECOM
Antonella Olivieri per “Il Sole 24 Ore”
L'ipotesi Telecom-Mediaset era già stata studiata, ma dalla fusione Fininvest sarebbe uscita con una quota annacquata al 7-8% e, secondo fonti addentro alla vicenda, il piano si sarebbe arenato sulla contrarietà dei Berlusconi-figli. Oggi i problemi del settore potrebbero avere ammorbidito le posizioni. D'altra parte anche il mondo delle tlc è in cerca di nuove frontiere.
Ma si fa presto a dire telecom-media: bisogna intendersi. AT&T-Directv non è l'esempio giusto: qui si parla dell'integrazione tra una compagnia telefonica e una piattaforma distributiva, nelle suggestioni italiane si tratterebbe di mettere insieme un produttore di contenuti con una telco.
E i precedenti – vedi quello infelice di Telefonica-Endemol – non depongono a favore. «Bisognerebbe chiedersi se Mediaset può essere d'interesse per Telecom e se Mediaset è in vendita: probabilmente non ci sarebbero risposte incontrovertibili», osserva un banchiere vicino alla tematica. Perchè Telecom che ha appena ceduto La7 dovrebbe farsi carico di un'altra tv generalista?
Ma il vero scoglio, sul quale già si erano infranti i sogni rimasti nel cassetto, è di natura regolamentare: la rete d'accesso è una utility e non può essere monopolio di un solo emittente. Tanto più che Telecom ha già stretto un accordo (commerciale) con Sky. La fusione parrebbe da escludere, ma è da vedere che sviluppi avrà il tavolo Vivendi-Telecom che, secondo alcuni, ha come convitato di pietra proprio il gruppo della famiglia Berlusconi.
3.PERCHÉ LA FUSIONE CON MEDIASET NON È UNA SOLUZIONE PER TELECOM. PARLA CIPOLLETTA
Valeria Covato per www.formiche.net
Una trattativa andata male, il disinteresse dell’azionariato e un futuro tutto da riscrivere. È questo secondo Innocenzo Cipolletta, economista, già direttore generale di Confindustria e ora tra l’altro presidente del Fondo Italiano d’Investimento, lo stato dell’arte del gruppo telefonico presieduto da Giuseppe Recchi e guidato dall’amministratore delegato, Marco Patuano.
Un’azienda che, in una conversazione con Formiche.net, Cipolletta definisce senza mezzi termini “in vendita”.
CHE SUCCEDE IN TELECOM
“Telecom è un’azienda in cui i principali azionisti hanno dichiarato di voler uscire – commenta Cipolletta – Hanno promesso di farlo gli istituti finanziari presenti in Telco alla scadenza del patto di sindacato, e lo ha annunciato Telefonica una volta chiusa la partita in Brasile con l’acquisto di Gvt”.
Ed è a causa del disinteresse dei grandi azionisti, e non per l’assenza di un azionista di controllo, c’è ancora Telco, che secondo Cipolletta Telecom Italia può definirsi quindi una “public company”.
LE IPOTESI IMPROBABILI
In merito alla proposta di Telefonica di cedere metà delle sue quote in Telecom a Vivendi Cipolletta evidenzia l’improbabilità di un possibile coinvolgimento di Vincent Bollorè visto il suo recente disinteresse per la telefonia che può evincersi dalla dismissione dell’ultima compagnia telefonica posseduta in Brasile.
E Cipolletta esclude anche che una delle soluzioni possibili per Telecom sia racchiusa in una fusione con il gruppo Mediaset: “Il problema di Mediaset resta sempre il riferimento a un personaggio politico che muove una forza politica non secondaria”, commenta il presidente del Fondo Italiano d’Investimento.
LA SOLUZIONE SECONDO CIPOLLETTA
Pur riconoscendo l’importanza strategica di una convergenza tra telefonia e contenuti, Cipolletta non reputa però tale sinergia determinante per le sorti di un operatore telefonico. E allora? “In questo settore c’è un’esigenza di accorpamento già in atto nel resto dell’Europa”, commenta l’economista.
“Se ci sarà un disegno di aggregazione per Telecom sarebbe opportuno ci sia un fondo, pubblico o privato, che possa collaborare alla definizione di una strategia che oggi gli azionisti non hanno”. “Eventualmente il Fondo Strategico Italiano” controllato dalla Cassa depositi e prestiti, puntualizza l’ex dg di Confindustria. E per Cipolletta i tempi sono maturi: “Sarebbe opportuno avere un operatore più forte e meno indebitato”.