CIPPUTI E’ MORTO E PURE IL PRECARIO NON STA TANTO BENE – COM’E’ CAMBIATO E COME CAMBIERA’ IL MERCATO DEL LAVORO: CALANO I BAMBOCCIONI E CRESCE L’OCCUPAZIONE FRA LE PANTERE GRIGIE – NONOSTANTE I VARI JOBS ACT, IL POSTO FISSO RESTA UNA CHIMERA: BOOM DEI CONTRATTI A TEMPO DETERMINATO
Francesco Seghezzi per Il Sole 24 Ore
Che il lavoro stia profondamente cambiando è sotto gli occhi di tutti. Da anni ormai è impossibile affrontare il tema del lavoro senza declinarlo dal punto di vista della sua trasformazione che comprende diversi elementi: la tecnologia, i nuovi mercati, la demografia, il diritto del lavoro e soprattutto la crisi economica.
E non si tratta solo di un dibattito dai contorni spesso politici ed ideologici, esistono migliaia di dati ed indicatori che ce lo dimostrano. Indicatori che spiegano chiaramente i cambiamenti che tutti abbiamo in qualche modo visto negli ultimi 10 anni e che probabilmente caratterizzeranno i prossimi 10. Una disamina completa è impossibile, ma si può tentare di porre l'attenzione su alcuni elementi, concentrandoci sul nostro Paese.
1. L’occupazione giovanile. Si parla spesso dei problemi dei giovani nel mercato del lavoro, complice una crisi che ha privilegiato fasce d'età più elevate. Ma si fatica a capire la portata di questi problemi. Portata che emerge con chiarezza da un dato: se nel 2007 il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni era del 24,2%, oggi è del 17,7%. Dato ancor più in caduta per la fascia 25-34 anni il cui tasso di occupazione è passato dal 70,4% al 60,8%.
2. L’occupazione over 50. Parallelamente, complice l'invecchiamento della popolazione e la tendenza ad assumere persone già in possesso di competenze, è aumentata l'occupazione degli over 50. Anche in questo caso i dati parlano chiari: se nel 2007 il tasso di occupazione tra i 50 e i 64 anni era del 46,9%, oggi è del 59,4%. Si tratta di una anomalia? No, è un dato in linea (al contrario di quello sui giovani, e ancora un poco sotto la media, con gli altri paesi europei.
3. Le tipologie di contratti. Un altro dato che mostra chiaramente un'inversione di tendenza propria degli ultimi anni è quello sull'andamento dell'occupazione a termine rispetto a quella permanente. Il numero di occupati a tempo determinato infatti è cresciuto dal 2007 da 2,27 milioni a 2,92 milioni pari al 28,6%, quello degli occupati a tempo indeterminato da 14,85 milioni a 14,93 milioni, pari allo 0,6%. Anche questa una anomalia? Non sembrerebbe, tanto che il tasso di occupati a termine in Italia è solo leggermente più elevato della media europea.
4. Occupazione femminile. I bassi tassi di partecipazione al mercato del lavoro da parte delle donne è sempre stato un problema del nostro Paese. Nel corso degli ultimi 10 anni, complice la crisi che ha visto decine di migliaia di famiglie perdere la propria unica fonte di reddito, il trend è cambiato, anche se lievemente. Se nel 2007 il tasso di occupazione femminile era del 47,1% e il tasso di attività del 51,4% oggi siamo passati rispettivamente al 49,2% e al 56%.
5. Inattivi. Ma il problema principale, se proprio si vuole identificarne uno, del mercato del lavoro italiano è sempre stato l'elevato numero di persone inattive. Con questo termine si intendono coloro che non hanno una occupazione e che non sono alla ricerca. Questo blocco di persone è sempre stato superiore ai 14 milioni di persone, negli ultimi anni si è assistito ad un calo. Tra il 2007 ed oggi infatti il tasso di inattività è passato dal 37,1% (14,3 milioni) al 34,7% (13,4 milioni), con un calo di circa un milione di unità.
6. Meno operai, più tecnici. I cambiamenti della domanda di lavoro hanno inciso profondamente sulle tipologie di lavoratori. Pensiamo solo che a partire dal 2007 il numero di operai si è ridotto di oltre 1 milione di unità, e soprattutto si sono ridotti gli operai in professioni tecniche e qualificate di circa 500mila unità. Nello stesso arco di tempo si è assistito alla crescita sia di personale non qualificato (480mila occupati) sia di lavoratori in professioni esecutive nel commercio e nei servizi.
Fin qui un quadro di come è cambiato il mercato del lavoro in Italia. Ma è possibile individuare, sulla base degli studi e delle ricerche esistenti, anche qualche trend per il futuro prossimo.
7. Tecnologia. Si discute molto, spesso banalizzandolo, del ruolo che la tecnologia sta avendo e potrà avere nel determinare l'andamento dell'occupazione e della sua qualità. Tra le analisi più prudenti e ponderate troviamo i dati OCSE secondo i quali circa il 10% dei posti di lavoro sono ad alto rischio di automazione. Ma ancor più interessante il dato secondo cui il 34% sarebbe soggetti ad un profondo cambiamento delle mansioni, consegnandoci uno scenario di forte trasformazione che dovremo gestire e governare.
8. Demografia. Un ulteriore driver che guiderà la trasformazione del lavoro in Italia (ma anche in altri paesi) è quello dell'invecchiamento dell'età media dei lavoratori come conseguenza del calo delle nascite e dall'aumento dell'aspettativa di vita. Recenti dati della Banca Centrale Europea ipotizzano che se nel 2016 le persone nella fascia d'età tra i 15 e i 64 (quindi in età lavorativa) erano il 64,8%, nel 2030 saranno il 60,4% e nel 2070 il 56%.
9. Competenze mancanti. La tecnologia, e il basso ricambio generazionale dato dai trend demografici, rischia di generare una scarsità di offerta di lavoro rispetto alla domanda di competenze che si genererà. Già oggi secondo i dati di Unioncamere circa il 25% delle posizioni ricercate dalle imprese è di difficile reperimento ed è di pochi giorni fa l'allarme di Confindustria della mancanza di 280mila tecnici resi necessari dagli investimenti in tecnologia fatti grazie al piano Impresa 4.0.
10. Un nuovo lavoro. Grazie a tecnologia e competenze potrà cambiare profondamente il modo di lavorare. è probabile che nei prossimi anni fenomeni come lo smartworking e modelli flessibili e dinamici di organizzazione del lavoro troveranno più spazio e diffusione, a causa dei profondi mutamenti nei modelli di business delle imprese (pensiamo solo a Industria 4.0 o alla gig economy). Questo potrà significare anche mutamenti nelle relazioni industriali, come già si nota dall'alto numero di accordi relativi ai premi di produttività che iniziano ad essere depositati negli ultimi anni.