
IL NUOVO ELDORADO MONDIALE E’ L’AEROPORTO DI DUBAI: 3400 ETTARI DI BOUTIQUE, ORO, SHOPPING, LUSSO SFRENATO, OSTRICHE, CHAMPAGNE, DOVE UNA BOTTIGLIA DI COGNAC COSTA 24 MILA DOLLARI
Alessandro Ferrucci per "il Fatto Quotidiano"
Il sonno è inopportuno, la povertà è peggio. Tra luci artificiali, oro sbattuto in faccia e ovunque, altoparlanti, televisori, una boutique, un’altra boutique, un’infinità di boutique, ristoranti e tutto l’impossibile, l’aeroporto di Dubai è una centrifuga ininterrotta, implacabile, ingannevole dello shopping perenne. Il più sfrenato, il più costoso, il più drogato.
Dove non c’è età, sesso, religione, attitudine sessuale, passione gastronomica che non trovi risposta, ogni situazione ha il suo compimento all’interno dei 3.400 ettari di terreno impiegati per questa mastodontica struttura. Struttura invasa da turisti, circa 66 milioni di viaggiatori, quanti ogni anno passano tra le piste degli Emirati Arabi, scendono da Emirates o altre compagnie e trascorrono il loro tempo con il dito puntato verso ogni desiderio, possibile o meno.
Davanti a loro ecco corridoi infiniti, a destra e sinistra le più grandi firme della moda, della gastronomia, degli accessori, sembra di sfogliare un catalogo o una rivista specializzata, a volte nella presentazione dell’oggetto non c’è neanche il garbo previsto dal prezzo, non c’è la sensazione dell’unicum, l’ovatta adatta per attutire il salasso economico.
Per i venditori l’acquisto è talmente scontato, vuoi per il target, vuoi per l’alta affluenza dei passeggeri, da lasciare sul palato dell’avventore la sensazione di merce all’ammasso. Chili di oro appeso. Centinaia di Rolex. Negozi di Ermés, Gucci e Chanel uno di seguito l’altro, enormi, colmi di mercanzia, pieni di clienti, molti italiani. “Mamma, mamma! Corri! Le collane costano meno che da noi, dobbiamo prendere qualcosa”. Come farsi scappare l’affare.
24.500 DOLLARI PER UN COGNAC
Nell’esercizio accanto, un’altra “gioielleria”. Bottiglia di cognac: 24.500 dollari, bella la custodia, per carità, altrettanto bella la forma della bottiglia, perfetta la luce che la illumina, ma restano sempre 24.500 dollari per 0,75 cl. “Signore, ma è uno dei marchi più pregiati al mondo – spiega il commesso, scocciato per una domanda colma di stupore – Ne esistono pochissime bottiglie, è qualcosa di unico, rarissimo, ogni sorso è poesia”. Di questo non avevamo dubbi.
Alle quattro del mattino come alle quattro del pomeriggio, non c’è differenza di trattamento, l’ora è relativa, conta soddisfare o solleticare un bisogno. Così non è raro incontrare qualcuno seduto alle cinque del mattino dentro al ristorante specializzato in caviale, e ordinare, e bere champagne, come ovvio, quindi chiedere un bis di uova nere per assaporare “l’iraniano” spalmato sul pane con un po’ di burro francese. Poco avanti una delle innumerevoli sale fumatori.
Sempre piene, quasi solo uomini al loro interno, sembrano un ricettacolo di estranei al mood dell’aeroporto, chi varca la soglia, spesso, è perché non è particolarmente abbagliato dagli “specchi” delle vetrine. Sì, dentro la saletta c’è qualche turista, ma la maggior parte sono i lavoratori dell’aeroporto, o viaggiatori arabi senza pretese, nessuna ostentazione, spesso in abbigliamento tradizionale bianco e sotto le ciabatte di pelle.
“Daddy, what’s happening there?”, papà, cosa accade lì? domanda un piccoletto al genitore, e indica una decina di persone in fila. “It’s a lottery!”. Lì è il cuore dell’aeroporto, è la riffa organizzata dalla stessa società che gestisce la struttura, con stand posizionati esattamente al centro dello shopping, palloncini e cartelli, luci e dollari per attirare l’attenzione : ciò che non è possibile acquistare con le proprie forze, c’è chi prova ad accaparrarselo con l’aiuto della fortuna, una fortuna graduata a seconda di tasche, appetito o incoscienza.
Non c’è un solo premio, ne sono previsti cinque con differenti quote di partecipazione: per puntare alla Porsche 911 sono necessari 130 euro; per sognare il premio top, un milione di dollari, saliamo a 267. Ogni mille e trecento quote raccolte, si chiude, si estrae, foto di rito e gloria, poi si ricomincia.
Angolo preghiera. Soldi, oro, tentazioni, ma siamo comunque in un paese musulmano, le tradizioni vanno sempre rispettate. E tra un negozio e ancora un negozio si svelano dei piccoli luoghi di culto, chiusi, riservati, indicati solo da una sobria icona posizionata accanto a quella dei gabinetti pubblici. Il binomio è sistematico, ripetuto dentro tutto l’aeroporto, un lui e una lei, più una piccola moschea.
SIGARETTE E MASSAGGI
“Qui è tutto più caro rispetto all’Italia, conviene acquistare solo le sigarette!”, la lagna di un marito in viaggio di nozze. Non ha tutti i torti. I prezzi sono in dollari, e con il cambio meno favorevole di un tempo e i parametri locali in quanto a benessere, gli italiani sono declassati a rappresentanti di un ex paese ricco. A strappare sorrisi agli interessati, resta solo il vizio più spiccio, quello più minuto, impacchettato in Marlboro e affini: tre stecche costano poco più di venti dollari, il trionfo dei tabagisti.
Oppure c’è l’escamotage di un micro massaggio, o una doccia (gratis), poi la pedicure, questo è economicamente fattibile: 15 minuti di manipolazioni su schiena e collo costano circa 20 dollari, dopo magari si può andare a mangiare. Sono ottanta, sì ottanta, i ristoranti o bar presenti, le ostriche imperano, gli astici pure, la carne arriva da ogni angolo del mondo, c’è chi afferma di aver assaporato la giapponese Kobe, considerata la migliore al mondo, sicuramente è la più cara. E dopo mangiato cosa si fa? Il pisolino, certo, ed ecco gli hotel penta stellati.
“Guarda quella! A me fanno un po’ paura”. Una signora del nord Italia indica una donna in burqa, solo una fessura davanti agli occhi, un passo indietro al marito, la mano al figlio. Non è la sola vestita in abito tradizionale, sono molte, ma sono di più le donne arabe agghindate da occidentali e con il trucco agli occhi più accentuato del dovuto, amano il color turchese, adorano i tacchi, ambiscono i marchi del lusso italiano, li sfoggiano. Le occidentali guardano, alcune sorridono, un sorriso poco amichevole, carico di giudizio.
Altro lato dell’aeroporto, di nuovo la lotteria. Davanti al chiosco passano due uomini, un arabo e un nord-europeo. Il primo guarda, snobba, non si ferma. Il secondo guarda, legge, ci pensa, si fa irretire dal venditore ed estrae un portafogli traboccante di contanti. Punta sul milione di euro, meglio il cash, in caso di vincita trasportare l’automobile è troppo complesso.
Dlin dlon, “imbarco per il volo Emirates 986”, è dall’altra parte dell’aeroporto, l’indicazione dà 23 minuti a piedi, più un trenino da prendere. Questione di misure, di proporzioni. Così a Dubai hanno deciso che la struttura attuale non basta, meglio rilanciare, giusto giganteggiare con investimenti da 32 miliardi di dollari per un nuovo scalo, facile pensare ai prossimi viaggiatori in stile Tom Hanks in The Terminal, tutti chiusi dentro, ma convinti che il mondo dei sogni sia tra un finger e la poesia racchiusa in un sorso rarissimo di cognac.