EURO-PALLOTTOLE SPUNTATE – DELUDE LA SECONDA ASTA DI LIQUIDITÀ DELLA BCE: TRA SETTEMBRE E OGGI LE BANCHE HANNO CHIESTO SOLO 212 MILIARDI SUI 400 MESSI A DISPOSIZIONE DA DRAGHI – TUTTI ASPETTANO L’ACQUISTO DI TITOLI DI STATO
1. DELUDE L’ASTA DI LIQUIDITÀ DELLA BCE
Francesco Spini per “la Stampa”
L’attesa seconda tranche di Tltro - l’ostica sigla che indica le operazioni di rifinanziamento a quattro anni concesse alle banche della Bce «finalizzate» a pompare liquidità all’economia reale -, si è chiusa con 129,84 miliardi di euro assegnati a 306 istituti. Una cifra «inferiore alle attese» degli analisti, che erano di 148 miliardi, notano dall’Ufficio Studi di Intesa Sanpaolo. «All’interno delle stime della Bce e del mercato», invece, secondo l’interpretazione di Benoit Coeure, componente del board dell’Eurotower. Buona comunque la richiesta italiana, con le banche che puntano a sfruttare l’occasione e catalizzano il 20% delle risorse, ottenendo circa 28 miliardi.
A livello generale, non si può certo dire che questo Tltro sia stato un successo. Sommando i 130 miliardi di questa tornata agli 82,6 miliardi (di cui 23,3 finiti a istituti tricolori) richiesti nella prima tranche del 18 settembre, si arriva a un totale che supera di poco i 212 miliardi, circa la metà dei 400 miliardi messi a disposizione dalla Bce. Morale: il mercato si è convinto che, a questo punto, oltre ad acquisti di Abs, di covered bond e, appunto i Tltro, Mario Draghi per sostenere il Vecchio Continente a gennaio dovrà per forza di cose ricorrere al tanto discusso acquisto di titoli di Stato, un «quantitative easing» all’europea. Secondo l’ad di Unicredit Federico Ghizzoni, l’operazione chiusa ieri dà messaggi «positivi e negativi». Perché da un lato «le banche hanno un certo livello di liquidità», dall’altro però «la domanda di credito non è ancora quella che dovrebbe essere e questo potrebbe essere un messaggio alla banca centrale».
IL CANTIERE DELLA NUOVA SEDE BCE
L’Italia, nella partita del Tltro, ha comunque fatto la sua parte così come gli altri Paesi periferici (Spagna, Portogallo, Grecia, Irlanda), in risposta alla freddezza tedesca e dei Paesi del Nord. Nelle due aste gli istituti italiani hanno assorbito circa un quarto del totale, sfruttando la possibilità di ottenere finanziamenti allo 0,15%, 10 punti base oltre il tasso di riferimento. «Una ulteriore dimostrazione - fa notare il presidente dell’Abi, Antonio Patuelli - dell’intenso impegno delle banche in Italia per la ripresa».
Intesa Sanpaolo guida la pattuglia tricolore, con 8,59 miliardi (dopo i 4 della prima tornata), mentre Unicredit, che aveva esaurito il proprio “plafond” da 7,75 miliardi al primo giro, ha preso 2,2 miliardi principalmente per Bank Austria. E ancora, a Mps sono andati 3,3 miliardi, 1,5 a Bpm, 1,7 a Iccrea per le Bcc, 2,7 al Banco Popolare, 1,249 alla Popolare di Vicenza, 400 milioni per Banca Carige, 979 milioni per Veneto Banca, 200 milioni per Sella, 748 milioni per la PopSondrio.
2. LE BANCHE ITALIANE FANNO LA LORO PARTE . MA I SOLDI DI FRANCOFORTE FINISCONO IN BTP
Francesco Manacorda per “la Stampa”
Ma davvero, come dice il presidente dei banchieri italiani Antonio Patuelli, i miliardi chiesti dalle banche che operano nel nostro Paese nelle due operazioni di Tltro sono «ulteriore dimostrazione dell’intenso impegno delle banche in Italia per la ripresa»? È un dato di fatto che gli istituti italiani sono stati tra i più interessati a utilizzare i prestiti a bassissimo tasso concessi dalla Banca centrale europea: hanno preso poco 52 miliardi di euro di fronte ai 212 miliardi richiesti complessivamente dal sistema creditizio della zona euro. Ed è vero anche che i principali istituti italiani hanno «tirato» all’estremo delle loro capacità. Intesa Sanpaolo, ad esempio ha chiesto e ottenuto nelle due tranches del Tltro 12,5 miliardi, ossia il massimo che poteva avere. Lo stesso ha fatto Unicredit, con 7,75 miliardi per l’Italia dei quali - afferma - 4,5 miliardi sono già stati erogati alle imprese e i restanti sono «preaccordati».
A giudicare dagli ultimi dati della stessa Abi, però, questa cascata di liquidità che tra settembre e ieri è arrivata nei forzieri delle banche non si è finora riversata in prestiti alle imprese. Nei primi dieci mesi del 2014, infatti, i finanziamenti oltre il milione di euro si sono ridotti del 5% rispetto allo stesso periodo del 2013, mentre solamente quelli sotto il milione hanno dato un microscopico - stiamo parlando di un +0,2% - miglioramento. Le ragioni di un andamento così piatto o addirittura in discesa?
Qualsiasi banchiere, sottolineando che specie in un’epoca di tassi bassi come questa l’unica speranza per fare profitti sta proprio nel concedere prestiti, lamenta che in realtà ci sia poca domanda di credito da parte delle aziende. Per meglio dire, quello che banche e banchieri spiegano è che c’è poca richiesta di denaro da parte di imprese che abbiano progetti di investimento e di sviluppo e che offrano garanzie solide, mentre abbondano richieste di finanziamenti da parte di chi non pare avere troppe prospettive e chiede magari sostegni temporanei.
Del resto anche il presidente di Confindustria Giorgio Squinzi ha detto ieri che «il problema è vedere se le imprese hanno veramente bisogno di liquidità per gli investimenti, perché grandi percentuali della capacità produttiva sono inutilizzate».E un recente sondaggio di Uninpresa afferma che 6 Pmi su 10 si rivolgono al sistema bancario in cerca di prestiti per pagare le tasse. Insomma, domanda e offerta di credito paiono destinate a non incontrarsi, almeno fino a quando la ripresa resterà un miraggio.
Dove vanno allora i soldi che arrivano dalla Bce? Depositarli negli stessi forzieri di Francoforte da cui vengono non conviene più alle banche, visto che ormai i tassi di interesse della Bce sono negativi e quindi queste operazioni invece di rendere costano. Un dato interessante è invece quello che in ottobre, quindi dopo il primo Tltro da 26 miliardi, le banche italiane abbiano investito 18,4 miliardi in titoli di Stato. Un porto sicuro anche per loro mentre l’economia reale non dà segni di ripresa.