UNA FAMIGLIA FONDATA SUI DEBITI: LE SOCIETÀ DEI LIGRESTI CHE SERVIVANO PER SPOLPARE FONSAI
Ottavia Giustetti per "Repubblica"
Con pochissime risorse e una montagna di debiti la famiglia Ligresti ha mantenuto per dieci anni il controllo sulla terza compagnia assicurativa più importante del Paese attraverso un'intricata architettura di società con sedi in Italia e in alcuni tra i più gettonati paradisi fiscali. Decine di "figli" e "nipoti" sparsi per il mondo, direttamente o indirettamente imparentati fra loro, ma che, tutti, vivevano nell'indebitamento, e alle spalle di "mamma Fonsai", succhiando le ricchezze che la compagnia era in grado di produrre. E anche di più.
Fino a quando il prosciugamento continuo non ha invertito la curva dei guadagni e ha costretto l'azionista di maggioranza a imporre la falsificazione dei conti per non perdere il controllo sull'azienda e per continuare a mantenere i suoi avidi piccoli tra le Bahamas e il Lussemburgo.
Questo meccanismo apparentemente perfetto che ha portato invece al tracollo di Fonsai e, successivamente, all'apertura dell'inchiesta per falso in bilancio della procura di Torino, è descritto nel documento con cui i magistrati hanno chiesto l'arresto di Salvatore Ligresti e i suoi tre figli, insieme ai manager che, secondo l'accusa, hanno fornito il braccio armato per l'intera operazione.
Il cuore della famiglia è dentro alla holding Premafin, il punto di arrivo dell'intera catena societaria grazie alla quale negli anni l'imprenditore di Paternò è riuscito a sedere nei consigli di amministrazione di alcune delle più importanti società quotate nel panorama finanziario e industriale italiano, tra cui Cir, Pirelli, Italmobiliare, Italcementi e Agricola Finanziaria. E, agli inizi degli anni 2000, anche tra gli azionisti di Mediobanca.
Proprio in quegli anni il capostipite dovette cedere il passo ai figli, Jonella, Giulia Maria e Gioacchino Paolo, intestando loro circa il 30 per cento ciascuno di Premafin, e affidandogli i principali incarichi di gestione della holding. Fondiaria Sai nel 2010, l'anno per il quale la procura di Torino ipotizza il falso in bilancio, era nelle mani della famiglia Ligresti tramite Premafin.
La famiglia controllava, infatti, "ufficialmente" il 50,22% della capogruppo e i tre figli controllavano altrettante società con sede in Lussemburgo, titolari ciascuna del 10% circa della holding. Andando ad aprire, scatola dopo scatola, tutte le partecipazioni,
si scopre che in realtà , la percentuale in mano ai Ligresti sfiora il 100%.
Ma il castello di carte ha molti piani e si poggia su decine di fantasiose società : Starlife Sa, con sede in Lussemburgo, le romane Sinergia Holding e Immobiliare Costruzioni Im. Co., fino a 21 società estere residenti in Liechtenstein e nelle Bahamas e due trust regolati dalla legge delle Bahamas: The Heritage Trust ed Evergreen Security Trust. Tutte, per l'accusa, «opportunamente» indebitate con le banche.
Questo è l'assetto, secondo gli esperti della Guardia di Finanza che hanno studiato la catena societaria, che dimostra come l'azionista di riferimento abbia cercato nel tempo di conservare il controllo con il minimo impiego di risorse proprie, attraverso una struttura piramidale a più livelli, un massiccio ricorso ai finanziamenti bancari per ognuna delle società della catena e, ovviamente, grazie al tacito accordo tra i componenti della famiglia.
Dai dati raccolti, ecco il punto d'arrivo, essenziale ai fini del movente: il valore a bilancio della partecipazione in Fonsai è sistematicamente superiore al 130% del patrimonio netto, e quasi un quarto della partecipazione è finanziato dall'indebitamento bancario. La principale voce di costo della holding di famiglia è costituita dagli interessi passivi sui finanziamenti bancari.
E l'unica fonte di ricavo, per far fronte a tale spesa, dal 2005 al 2010 arriva dai proventi delle partecipazioni, quasi esclusivamente costituiti dai dividendi della controllata Fonsai. Infatti, se si guarda alla distribuzione nel tempo dei dividendi della compagnia, emerge chiaramente che il flusso di denaro da questa a Premafin è stato costante: 253 milioni fino al 2009. E quando Fonsai non ha realizzato utile si è dovuto alterare il bilancio sottostimando le riserve sinistri alle quali attingere per mantenere Premafin.
Con grande abilità , fin dagli anni in cui il core business dell'azienda di famiglia era l'immobiliare, Ligresti ha costruito una rete di partecipazioni, facendo un uso spregiudicato dei prestiti, che gli è valso un potere esponenziale rispetto alle risorse realmente in suo possesso. Come un pericoloso gioco d'azzardo.
L'operazione Atahotel nel 2009 ne è un esempio emblematico. Un capolavoro di spregiudicatezza, dal quale è nata la denuncia del fondo di investimenti Amber, azionista di Fonsai, da cui è partita l'inchiesta. Un «gioco» che costò alla compagnia assicurativa i 25 milioni di euro per l'acquisto dell'intero pacchetto azionario della catena alberghiera, ceduta a Fonsai dai Ligresti, ma che era solo un pozzo senza fondo (in rosso di 26 milioni sei mesi dopo l'acquisto) del quale la famiglia voleva liberarsi scaricando il peso su «mamma Fonsai».
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