
LA FED LASCIA I TASSI INVARIATI E MOSTRA TUTTA LA SUA INCERTEZZA: LE BORSE AFFONDANO (MILANO -1,6%) - LA BANCA CENTRALE AMERICANA NON ESCLUDE IL RIALZO A OTTOBRE, E FA CAPIRE CHE NAVIGA A VISTA DENTRO LA TRAPPOLA DELLA LIQUIDITÀ IN CUI SI È CACCIATA. PORTANDO DIETRO TUTTI GLI ALTRI
1.BORSA: EUROPA IN ROSSO DOPO FED, MILANO -1,6% CON LUSSO E INDUSTRIA
Radiocor - Apertura negativa per le Borse europee all'indomani della decisione della Federal Reserve di lasciare invariati i tassi di interesse americani. Decisione che i mercati, negli ultimi giorni, erano arrivati ad attendersi e quindi in gran parte gia' scontata. La Fed ha comunque sottolineato che la sua posizione generale sulla politica monetaria non e' cambiata e che almeno un rialzo dei tassi e' previsto da qui alla fine del 2015. A Piazza Affari il Ftse All Share cede l'1,24% e il Ftse Mib l'1,63%.
Perdite oltre il punto percentuale anche per Parigi (-1,31%) e Francoforte (-1%), mentre Londra limita i datti a -0,6%. Tutto in rosso il paniere delle blue chip milanesi, in cui la maglia nera e' Cnh (-2,47%), seguita da Moncler (-2,33%) e Prysmian (-2,3%). Sul mercato dei cambi, euro in deciso rafforzamento dopo lo status quo Fed a 1,1407 dollari (1,1306 ieri in chiusura). La moneta unica va le anche 136,36 yen (136,73), mentre il rapporto dollaro/yen e' a 119,55 (120,91). Perde terreno, infine, il prezzo del petrolio: il future ottobre sul Wti segna -1,11% a 46,38 dollari al barile.
2.BORSA TOKYO: CHIUDE IN CALO DEL 2% DOPO LO STATUS QUO DECISO DALLA FED
Radiocor - Chiusura in netto calo per la Borsa di Tokyo dopo la decisione della Federal Reserve americana di lasciare invariati i tassi. Una scelta che ha indebolito il dollaro rispetto allo yen, a svantaggio dei principali gruppi di esportazione giapponesi. L'indice Nikkei ha lasciato sul terreno l'1,96%, concludendo le contrattazioni a quota 18.070,21 punti. Nell'intera settimana l'indice ha ceduto l'1,06 per cento.
3.FED: YELLEN NON ESCLUDE RIALZO TASSI NEL 2015, OTTOBRE E' UNA POSSIBILITA'
Radiocor - La 'grande maggioranza' dei governatori membri del Federal Open Market Committee - il braccio di politica monetaria della Federal Reserve - 'crede che le condizioni economiche richiederanno un rialzo tassi entro la fine dell'anno'. Lo ha detto Janet Yellen, governatore della banca centrale americana durante la conferenza stampa che segue la riunione in cui si e' deciso di lasciare invariati i tassi di interesse allo 0-0,25%. Rispondendo a una domanda, la prima donna a guidare la Fed ha detto che il 27 e 28 'ottobre resta una possibilita'' per effettuare una stretta anche se in quell'occasione non e' prevista una conferenza stampa. La banca centrale americana puo' infatti convocare un'incontro con i giornalisti, magari in remoto.
4.COSÌ LA FED ALIMENTA L’INCERTEZZA
Franco Bruni per “la Stampa”
La banca centrale statunitense, dopo aver consentito settimane di incertezza quasi senza precedenti, ha lasciato invariati i tassi e non ha deciso di riassorbire dai mercati la liquidità che sovrabbonda. Lo ha fatto con un comunicato e una conferenza stampa molto vaghi, dove non c’è sforzo per orientare le aspettative dei mercati. Nonostante il buon tasso di crescita americano, si accenna a residue debolezze dell’economia che potrebbero giustificare il non rialzo dei tassi solo se questi fossero oggi a livelli normali, mentre sono a zero. Ma, anche senza alzare i tassi, ieri si poteva preannunciare con chiarezza un prossimo graduale percorso per normalizzarli.
La Fed continua invece a riservarsi la libertà di decidere a seconda dei dati congiunturali che verranno, senza spiegare come li leggerà. Libertà di navigazione a vista, e con una vista corta. Questa non è una banca centrale indipendente: è un’istituzione che non è in grado di prendere impegni.
Da tempo la politica monetaria americana si muove senza una regola chiara e fa annunci che poi non mantiene. Non si capisce quanto decida guardando all’inflazione, quanto al tasso di crescita dell’economia, alla disoccupazione, ai prezzi di borsa, alle bolle speculative, al cambio del dollaro, alle ripercussioni delle sue mosse sulle altre monete e sull’economia globale. Si intuisce che subisce pressioni dagli esportatori americani che preferiscono il dollaro debole, dagli operatori finanziari che non disprezzano prezzi di borsa rigonfi, e dai politici che vogliono finanziarsi a buon mercato e regalare credito facile a tutti.
In questo caso c’è stata anche la scusa di non voler peggiorare l’economia cinese, nei confronti della quale è ben nota la … solidarietà degli Usa. Quando una banca centrale decide in modo opaco e perde credibilità, la sua efficacia nell’influenzare l’economia diminuisce.
Ciò è tanto più grave nell’attuale situazione monetaria del mondo, che è anomala; gli operatori hanno bisogno di sapere quando e come verrà normalizzata. C’è un’eccessiva quantità di liquidità, che ristagna in modo inutile o alimenta speculazioni pericolose. I tassi di interesse a breve termine sono vicini allo zero o, addirittura, negativi. La liquidità gratuita non è un incentivo a trovare investimenti reali con elevata produttività.
Infatti la produttività ristagna quasi dappertutto e le prospettive di crescita a medio-lungo termine peggiorano. I debitori sono favoriti, mentre i creditori-risparmiatori hanno difficoltà a trovare impieghi che diano un rendimento decente senza costringerli a correre rischi imprudenti. Stampare più moneta e abbassare i tassi può servire a stimolare l’economia per un breve periodo, ma è un’arma che si spunta presto e si trasforma in una droga che addormenta la crescita, rallenta le ristrutturazioni e le riforme, peggiora l’allocazione delle risorse.
BERNANKE QUANTITATIVE EASING SOLDI DALL ELICOTTERO
In questa «trappola della liquidità» siamo caduti perché la crisi del 2008 ha richiesto una violenta espansione della liquidità e un abbattimento del suo costo. Ma la cura doveva durare poco e dovevano subentrare le politiche «reali», quelle davvero in grado di curare i mali della crescita instabile e diseguale: nuove regolazioni dei mercati finanziari, dei beni e del lavoro, correzioni di una distribuzione dei redditi da tutti giudicata ingiusta e insostenibile, riforme radicali delle tassazioni e delle finanze pubbliche, ristrutturazioni aziendali, incentivi all’innovazione e strategie di investimento, nuova cooperazione internazionale. Invece abbiamo insistito troppo a lungo con la moneta facile.
La politica della Fed americana è stata senza dubbio quella che ha finito per trascinare nella trappola tutte le altre.
Sarebbe ora suo il difficile compito di guidare, con prudenza ma con coraggio e chiarezza, il graduale cammino di uscita dalla trappola. Dovrebbe indicare la regola con cui muoversi in questa marcia verso la normalità. E dovrebbe poi seguire davvero la regola, in modo da recuperare la credibilità quando preannuncia le sue intenzioni. Non dev’essere una regola rigida e, probabilmente, fino a che la situazione non si normalizzerà, non può nemmeno essere la regola perfetta. Ma deve guardare lontano e non lasciare la banca centrale in completa balia dei dati di breve, senza predeterminare il modo con cui interpretarli. Il compito principale della politica monetaria è assicurare un’ancora alla stabilità monetaria e finanziaria. Purtroppo la decisione di ieri contribuisce invece ad alimentare l’incertezza e perciò l’instabilità.
franco.bruni@unibocconi.it