I MISTERI DI SPIRO IL GRECO. ORA ALL’ASSALTO DI UBI INTERNATIONAL – IL PADRE ERA RICCO COME ONASSIS E NIARCHOS, ED ORA IL FIGLIO SI E’ LANCIATO NELLA FINANZA EUROPEA – HA GIA’ COMPRATO LA BANCA DELLA SVIZZERA ITALIANA, FINITA PURE NEI PANAMA PAPERS - IL NIPOTE HA AVUTO UN FLIRT CON PARIS HILTON – E PER LOBBISTA S’E’ PRESO BARROSO…
Vittorio Malagutti per “l’Espresso”
Finora, anche nell' alto dei cieli della finanza, se ne sono accorti in pochi, ma c' è un miliardario greco che fa incetta di capitali italiani in giro per il mondo. Capitali offshore. Denaro nero, per lo più. Il miliardario in questione si chiama Spiro Latsis, ha 70 anni ed è l' erede di un patrimonio immenso. Suo padre Yannis, armatore e molto altro, gareggiava spalla a spalla con i Niarchos e gli Onassis, oligarchi di una Grecia che non c' è più, travolta dal progresso e dalla crisi economica. Oggi l' impero di Spiro comprende imprese di costruzioni e linee aree, compagnie petrolifere e navi mercantili, oltre a yacht e palazzi principeschi a Londra, Montecarlo e Ginevra.
Da anni, però, la ricchezza di famiglia si fonda soprattutto sulla finanza. Ed è qui che la trama partita da Atene finisce per incrociarsi con l' Italia. Efg international, la banca che fa capo al magnate greco, poche settimane fa ha comprato la Bsi di Lugano e ora si prepara a rilevare anche Ubi international. Bsi sta per Banca della Svizzera italiana, storico rifugio di capitali in fuga dalla Penisola. Mentre Ubi international è la filiale in Lussemburgo del gruppo Ubi di Brescia, il quinto istituto di credito nazionale.
Il doppio colpo si porta in dote un tesoro che vale decine di miliardi di euro, capitali che in gran parte provengono dal nostro Paese. Tutti questi soldi non atterrano però ad Atene, ma a Zurigo, dove si trova il quartier generale di Efg. Da tempo ormai i Latsis hanno fatto della Svizzera il centro principale dei propri affari. Tutto in gran segreto, con una vera ossessione per la privacy e la sicurezza. A differenza del padre Yannis, esuberante e presenzialista, il primogenito Spiro, studi filosofici a Londra, una lunga gavetta all' ombra del patriarca, fa vita mondana lo stretto indispensabile. Lo stesso vale per le due sorelle, Marianna e Margarita.
La seconda generazione dei Latsis non ha bisogno di mettersi in mostra. Dal fondatore del gruppo, scomparso nel 2003, hanno ereditato una rete di relazioni ad altissimo livello. Nel 2005, per dire, il quotidiano tedesco Die Welt rivelò che l' allora presidente della commissione europea, Manuel Barroso, trascorse una settimana di vacanza sullo yacht dei padroni della banca Efg.
Gli stessi che, tra l' altro, possiedono una flotta di navi mercantili che ha beneficiato di aiuti di Stato autorizzati dalla Ue. Il politico portoghese Barroso è solo una delle tante frequentazioni eccellenti dei Latsis. Il loro panfilo, in passato, ha ospitato il presidente degli Stati Uniti, George Bush (il padre) e il segretario di Stato americano, Colin Powell. Molto stretti anche i rapporti con Carlo d' Inghilterra, mentre l' amicizia di lunga data con la famiglia reale saudita ha spianato la strada a molti affari in campo petrolifero.
Business e relazioni d' alto bordo corrono sotto traccia, comunque. La famiglia più ricca di Grecia non ama la pubblicità. Figuriamoci la stampa. Pochissime le interviste, quindi. E articoli solo in rare occasioni ufficiali. Alla regola dell' understatement fa eccezione l' irrequieto Paris Latsis, classe 1979, figlio di Marianna. Una decina di anni fa le cronache rosa raccontarono del fidanzamento del giovane Latsis con una sua famosa omonima, la bionda ereditiera festaiola Paris Hilton.
La storia è durata in tutto qualche mese e ora Paris (il greco) vive a Los Angeles dove investe nel cinema un po' dei soldi di mamma e papà. Lo zio Spiro invece, se proprio è costretto a uscire allo scoperto, lo fa di preferenza indossando i panni del benefattore. La sua famiglia finanzia tra l' altro un paio di fondazioni accademiche in Svizzera e più volte ha dato pubblicità a importanti donazioni, in Grecia e altrove.
Molto meno noto, invece, è l' intreccio di società nei paradisi fiscali da cui dipendono la banca Efg di Zurigo e le altre attività del gruppo. Si parte da Malta, dove ha sede la holding European Financial Group. Poi c' è l' Efg di Lussemburgo. E infine l' omonimo istituto di credito elvetico. La specialità della casa è la gestione di patrimoni, con un menù di servizi esclusivi riservati a una clientela che non si accontenta di un buon rendimento.
L' obiettivo numero uno è risparmiare sulle tasse, anzi, se possibile, non pagarle del tutto. Nessun problema, la banca dei Latsis è in grado di offrire soluzioni offshore per tutti i gusti. Mete caraibiche come Nassau (Bahamas), Cayman islands e Bermuda. Poi c' è Panama in Centro America, Hong Kong e Singapore in Asia, mentre chi preferisce la vecchia Europa può scegliere tra Liechtenstein, Montecarlo e le isole del Canale. Bilanci alla mano, il gruppo Efg viaggia da tempo nella pattuglia di testa degli istituti specializzati nel private banking. Adesso però la banca zurighese ha fatto il pieno di carburante per fare il salto di qualità. La sola Bsi può vantare capitali in gestione per circa 76 miliardi di franchi (81 miliardi di euro), che si aggiungono ai 93 miliardi di franchi (circa 100 miliardi di euro) che a fine 2015 facevano capo a Efg.
Di gran lunga inferiore è l' apporto della filiale lussemburghese di Ubi. In mancanza di dati ufficiali, si può supporre che quest' ultima operazione possa fruttare solo pochi miliardi di nuovi asset, ma, in compenso, apre nuove opportunità di mercato nel nostro Paese per il gruppo controllato dalla famiglia Latsis. L' acquisizione, annunciata nella primavera scorsa, non è ancora arrivata alla firma definitiva, prevista nel secondo trimestre dell' anno. Nel frattempo l' Ubi di Lussemburgo ha finito per trovarsi al centro di voci e sospetti per via del suo coinvolgimento nel caso dei Panama Papers, la lista dei clienti dello studio legale Mossack Fonseca, con sede nel Paese centroamericano, che avevano esportato capitali nei più diversi paradisi fiscali.
In quell' elenco segreto, svelato un anno fa in esclusiva per l' Italia dall' Espresso, ricorreva molte volte il marchio della banca bresciana e soprattutto la sua filiale nel Granducato, presieduta fino a giugno del 2016 da Pietro Gussalli Beretta, l' industriale delle armi. In totale, erano almeno una quarantina le sigle offshore legate all' istituto lombardo via Lussemburgo e nelle carte erano custoditi anche i resoconti dei colloqui tra gli inviati dello studio Mossack Fonseca e i manager di Ubi in merito alla gestione dei clienti. A suo tempo la banca negò ogni coinvolgimento in episodi di evasione fiscale, ma intanto il provvidenziale arrivo di Spiro Latsis in veste di compratore ha l' effetto di allontanare l' ombra dei Panama Papers.
L' imbarazzante eredità dello scandalo offshore finisce però per scomparire di fronte al colossale imbroglio che ha travolto la Bsi. Una truffa internazionale da un miliardo di dollari andata in scena sul palcoscenico di tre continenti, tra Stati Uniti, Europa e Asia. L' epicentro del crack si trova a Singapore, dove a partire dal 2010 la banca di Lugano si era lanciata in una lunga serie di affari.
All' epoca l' azionista di controllo dell' istituto erano le Assicurazioni Generali, che a settembre del 2015 hanno venduto le loro azioni a un rampante uomo d' affari brasiliano, André Esteves, capo del gruppo Btg-Pactual. Giusto sei mesi prima della cessione erano emersi i primi tasselli del gigantesco scandalo destinato a colpire in pieno la Bsi. Grazie alla testimonianza di un banchiere svizzero, Xavier Justo, nel frattempo arrestato a Bangkok, in Thailandia, viene alla luce un complicato gioco di scatole cinesi che ha permesso a un gruppo di spregiudicati finanzieri di far sparire oltre 700 milioni di dollari dalle casse del fondo 1Mdb, controllato dal governo della Malesia.
mossack (sinistra) fonseca (destra)
L' intrigo ruota attorno a una società di Ginevra, la PetroSaudi international (alle cui dipendenze lavorava il "pentito" Xavier Justo) e all' uomo d' affari malese Joh Low, legato al primo ministro di Kuala Lumpur, Najib Razak. In pratica, i soldi del fondo a controllo pubblico sono in gran parte transitati su conti alla Bsi di Singapore per poi disperdersi in mille rivoli. Colpito da improvviso benessere, Joh Low rimbalzava tra feste e vacanze esotiche. Per coltivare la sua immagine di finanziere rampante era anche approdato a Hollywood dove aveva in parte finanziato "The Wolf of Wall Street" il film del 2013 con Leonardo DiCaprio che racconta una storia di avidità e truffe alla Borsa di New York. Tempo un paio di anni e la fiction è diventata realtà.
Nel 2015 le autorità di Singapore, quelle svizzere e anche l' Fbi americana hanno messo sotto accusa Low e i suoi complici, finendo per svelare anche il ruolo centrale giocato dalla Bsi. A Lugano hanno tentato di chiamarsi fuori dichiarando di non sapere nulla di quegli affari sporchi in Asia, operazioni che pure avevano fruttato colossali profitti.
Niente da fare: la sanzione è stata pesantissima. L' istituto è stato di fatto costretto a cedere la propria licenza bancaria. Nel frattempo anche il nuovo azionista di controllo, il finanziere Esteves era finito nei guai, coinvolto nello scandalo Petrobras che ha travolto politici e uomini d' affari in Brasile. A questo punto è sceso in campo Latsis comprando la Bsi travolta dalla bufera asiatica.
Già che c' era, come indennizzo per i danni contabili e d' immagine causati dallo scandalo, il miliardario greco nel novembre scorso ha spuntato anche uno sconto sul prezzo d' acquisto: 1,06 miliardi di franchi invece degli 1,33 miliardi pattuiti otto mesi prima. Con la fusione nella nuova casamadre Efg, il marchio Bsi pare destinato a sparire. Nella speranza di cancellare per sempre il ricordo di uno dei peggiori scandali della finanza svizzera. Non sarà facile, neppure per Spiro il greco.