ILVA ALLA DE-RIVA - LA PROCURA DI MILANO METTE SOTTO INCHIESTA PER FRODE FISCALE I VERTICI DELL’AZIENDA - EMILIO RIVA E DUE COLLETTI BIANCHI INDAGATI CON UN DIRIGENTE DI DEUTSCHE BANK A LONDRA: 52 MILIONI IL PRESUNTO DANNO ALL’ERARIO - ILVA AVREBBE MESSO IN PIEDI UN GIOCO DI SCATOLE CINESI ALL’ESTERO PER ISCRIVERE A BILANCIO PERDITE FITTIZIE - E’ IL GIORNO DELL’AIA: OGGI LA FIRMA, IN ARRIVO ALTRI “AVVISI”?...
Luigi Ferrarella per il "Corriere della Sera"
A confronto del disastro ambientale che l'acciaieria ha causato negli anni, e per il quale in estate il giudice di Taranto ha disposto l'arresto di Emilio Riva e soprattutto il blocco degli impianti, la tegola giudiziaria che arriva all'Ilva dalla Procura di Milano sembra poter passare in secondo piano. Ma è la natura della contestazione, proprio per il contesto in cui cade, a pesare: aver frodato il Fisco, risparmiando di versare all'erario ben 52 milioni di euro che l'Ilva avrebbe invece dovuto pagare allo Stato.
Il patron dell'azienda con sede a Milano, Emilio Riva, i direttori finanziario e fiscale dell'Ilva, e un dirigente di Deutsche Bank a Londra, hanno infatti ricevuto l'«avviso di conclusione delle indagini» istruite a loro carico dal pm Carlo Nocerino su una complessa serie di operazioni montate all'estero nel 2007, specie a Madeira in Portogallo, tra Ilva e Deutsche Bank al fine - secondo l'accusa - di far figurare consistenti perdite che potessero valere come oneri passivi nelle dichiarazioni dei redditi.
Queste voci avrebbero finito per sfiorare i 150 milioni, determinando così un vantaggio fiscale per l'Ilva tradottosi del mancato pagamento di 52 milioni di euro. Una cifra notevole se si considera che, da quando in estate sulla insostenibile situazione ambientale sono intervenuti i magistrati tarantini, l'Ilva ha dichiarato di aver stanziato per interventi di vario genere 460 milioni di euro in tutto.
La contestazione tecnicamente scelta dal pm milanese è l'articolo 3 della legge 74 del 2000 che punisce (da 18 mesi a 6 anni) chi, al fine di evadere le imposte sui redditi, sulla base di una falsa rappresentazione nelle scritture contabili obbligatorie e avvalendosi di mezzi fraudolenti idonei ad ostacolarne l'accertamento, indica elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo o elementi passivi fittizi. E il caso dell'Ilva sarebbe appunto quest'ultimo, aver cioè «creato» elementi passivi fittizi per poter poi pagare meno tasse.
L'azienda, invece, ritiene di aver già trovato un'intesa con il Fisco per le questioni tributarie; e colloca le operazioni contestate dalla Procura nel grande ma controverso alveo delle operazioni di «ottimizzazione fiscale», destinate ad alimentare un altro processo-pilota (come nel caso di Unicredit o degli stilisti Dolce e Gabbana) attorno alla questione dell'«abuso del diritto», cioè di quelle architetture finanziarie che per i pm non rappresentano un reale investimento, ma solo operazioni interamente costruite per catturare la più favorevole legislazione fiscale estera e il vantaggio d'imposta legato a quei particolari prodotti finanziari.
Proprio oggi la Conferenza dei Servizi è chiamata a esaminare e dare il via libera alla nuova «Aia», l'«Autorizzazione integrata ambientale» con le nuove regole alle quali consentire o meno l'esercizio delle attività industriali dell'Ilva.
Le principali potrebbero essere un limite alla produzione a 8 milioni di tonnellate l'anno; la fermata e rifacimento dell'altoforno Afo 5 (che da solo vale più del 40% del ciclo produttivo) entro il 30 giugno del 2014; la copertura dei parchi minerali con progetto da presentare entro due mesi. E poi nell'immediato lo stop e rifacimento dell'Afo 1, dismissione di Afo 3, adeguamento di Afo 2 e 4, riduzione del 10% delle operazioni nei giorni ventosi, stop a uso di pet-cocke e catrame di cockeria, riduzione della giacenza media del 30%.
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