ZURICH, UN BIGLIETTO PER L’INFERNO - IN UNA LETTERA LE ACCUSE A JOSEF ACKERMANN DEL MANAGER SUICIDA

Marika De Feo per "Corriere della Sera"

A una settimana di distanza dalle dimissioni misteriose di Josef Ackermann, presidente del colosso assicurativo Zurich in seguito al suicidio del consigliere finanziario Pierre Wauthier, emergono primi dettagli di una vicenda che ha scosso la finanza svizzera. C'era stato uno scontro, fra i due top manager, in seguito a continue frizioni diventate quasi quotidiane.

Nei primi giorni erano solo supposizioni, sulla base delle accuse mosse dalle vedova quasi subito dopo la scoperta del decesso, di un trattamento «duro» di Ackermann nei confronti del marito. Ma poco per volta sono emerse indiscrezioni, raccolte ieri dal quotidiano americano Wall Street Journal, a proposito di una specie di stillicidio, di tensioni continue montate quest'estate fra il presidente del consiglio di amministrazione e il suo consigliere, addetto a far quadrare i numeri del bilancio.

Mentre ai due manager sembrava sempre più difficile riuscire a spiegare il «progresso deludente», sempre secondo il Wsj, nel tentativo di raggiungere gli obiettivi delle attività previsti dal gruppo. A dire il vero, secondo fonti interne, quella specie di «duello» fra i due manager non aveva colpito più di tanto gli altri manager, anche perché ritenuto quasi «normale» negli istituti svizzeri nei quali il presidente ricopre funzioni più «invasive» rispetto a quelle di istituti finanziari in altri Paesi.

E per questo il suicidio del manager franco-britannico aveva colpito la finanza svizzera come un fulmine a ciel sereno. Nei giorni seguenti, era stata ritrovata una lettera nella quale accusava Ackermann, di aver creato una pressione insostenibile negli ambienti di lavoro, trattando senza rispetto i colleghi.

E «Joe», come era chiamato in tutto il mondo l'investment banker purosangue, noto in tutto il mondo per aver guidato Deutsche Bank fuori dalla crisi, aveva dato le dimissioni con effetto immediato, pur senza ammettere la sua colpa. Ma spiegando ai colleghi, da buon colonnello della riserva svizzera, che la sua posizione stava diventando «intenibile». Del resto, la lettera è rimasta top secret. E un enigma il reale stato psichico del manager suicida, che fino a pochi giorni prima non aveva dato segnali d'allarme particolari.

D'altra parte, nel suo breve interregno come presidente, dal giugno 2012, il 65enne Joe era descritto come «una roccia», intento a un ruolo più operativo di quanto gli spettasse, ma sempre «professionale», anche quando criticava l'operato dei manager. Anche quello del 53enne Wauthier, in Zurich dal '96. Sul quale, pare, Ackermann aveva sfogato le sue frustrazioni per il ritardo nei target triennali. Mentre il primo si difendeva, sostenendo che comunque il gruppo andava nella giusta direzione.

Ma il 15 di agosto, in Zurich si dovette ammettere che sì, alcune unità erano in linea con le previsioni, per altre gli obiettivi rappresentavano una sfida maggiore. Il titolo cadde dell'1,6%. Una decina di giorni dopo, il fatidico lunedì 25 agosto, solo a casa - la moglie e il figlio erano negli Usa, la figlia in Inghilterra - Wauthier si sedette al tavolo e scrisse la sua lettera d'addio. In inglese.

Piena d'accuse per lo stile «duro» del presidente. Alle ore frenetiche dopo il ritrovamento della salma - una riunione del consiglio sotto Ackermann, costernato, dopo una lettura a voce alta della lettera, lo choc dei colleghi, l'aggiornamento della riunione al tardo pomeriggio - seguì in serata il silenzio del presidente. Poi, mercoledì mattina, la bomba.

Ackermann annunciò le dimissioni: «Ho ragione di credere che la famiglia ritenga che dovrei assumermi una parte di responsabilità, indipendentemente dall'obiettiva infondatezza» di quest'ultima. Inutili i tentativi di fargli sapere che forse non era colpa sua, che si erodeva la fiducia nel gruppo. Da allora, la famiglia non ha più aperto bocca.

 

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